Pubblicato su Politica Domani Num 19 - Novembre 2002

Burocratici eccessi
La censura censura se stessa
Il difficile recupero di vecchie pellicole

Giorgio Razzano

La censura ha sempre giocato un ruolo fondamentale nel tutelare i costumi della società. Grazie ad essa certe immagini, ritenute offensive per il pubblico, sono state tagliate consentendo la pubblica visione dei film nelle sale cinematografiche e nelle nostre abitazioni.
Naturalmente col passare del tempo molte scene, una volta ritenute violente o scandalose per la morale, oggi risultano scene normali visibili da tutti. Questo curioso effetto del tempo ha fatto sì che la commissione di censura migliorasse nelle sue decisioni, e diventasse più malleabile di fronte a certi spettacoli ritenuti un tempo eccessivi. Oggi per la televisione la famosa legge Mammì 223/90, consente la messa in onda di film vietati ai minori di 14 anni in seconda serata (dopo le ore ventidue e trenta), e vieta la messa in onda di film vietati ai minori di 16 o 18 anni. Per quanto riguarda il cinema la censura è molto meno rigida: permette infatti di vietare la visione fino a 16 anni, ma non interviene con tagli di immagini violente o di sesso come accadeva in passato. Tornando alla Tv, che è il mezzo più frequente di fruizione dei film del passato, oggi si scopre un particolare tanto delicato quanto triste di cui lo spettatore non è a conoscenza: questa maggiore tolleranza della censura non ha restituito al grande pubblico i film che in passato erano stati tanto inutilmente (per oggi) quanto gravemente mutilati. Va detto per prima cosa che chiunque violi la legge Mammì incappa in pesanti sanzioni e quindi le reti televisive, sia Rai sia Mediaste, hanno copie fornite di vistosi nullaosta rilasciati dalla commissione di censura. I nullaosta sono però quelli risalenti all'uscita del film e se, per esempio, il film è "Totò e Carolina", uscito nel 1953, sottoposto a sei commissioni di censura fino al 1958 e tagliato per ben 200 metri di pellicola, noi spettatori lo vediamo in quella visione fatta di tagli e correzioni.
Naturalmente c'è una soluzione al problema: chi ha le pellicole originali può portarle alla commissione di censura italiana e chiedere un riesame delle scene tagliate e qualora il film fosse approvato, sarebbe libero da divieti. È chiaro che i film del passato oggi supererebbero qualsiasi esame della commissione censura; eppure quanti film degli anni sessanta, vietati ai minori di 18 anni, oggi non possono essere trasmessi in Tv, bloccati da questa legge che non tiene conto dei cambiamenti della società? Tante, forse tantissime, pellicole italiane e straniere, basterebbe che fossero riesaminate per liberarle dai divieti. Ma ecco che si presenta un triste problema: reperire i film integrali, prima cioè dei tagli, e ottenere le autorizzazioni da parte degli autori o degli eredi. Se il primo passo è arduo il secondo è un labirinto inestricabile. Basta pensare ad esempio a un titolo della Metro-Goldwyn-Mayer o della Fox o della Warner Bros -case produttrici americane- per capire le difficoltà economiche e pratiche del chiedere le pellicole originarie, del ripagare i diritti agli autori o agli eredi, per ottenere nuovi permessi. Ed ecco che tutto si ferma di nuovo, facendoci ripiombare dal 2002 all'origine della censura.
Si scopre così che la censura, inconsciamente, ha operato non tanto per censurare delle scene per il pubblico, ma per se stessa; tagliando fotogrammi ritenuti eccessivi, ha violato l'arte che avrebbe dovuto tutelare riducendo a brandelli e spazzando poi via materiale che avrebbe dovuto tenere in serbo. Il pubblico, poi, ignaro di tutto vede, ma non sa e, soprattutto, dimentica; e questo non ricordare diventa un alibi per la censura stessa che, sforbiciando senza cura, non ha avuto l'accortezza di conservare quei fotogrammi per una possibile ricostruzione delle opere originali per gli anni a venire.
Una burocrazia miope ha dato vita ad un maciullamento impressionante e l'ignoranza di chi non considera i film come opere d'arte, ha assecondato il misfatto a danno di un pubblico passivo e inconscio. Il mercato non conosce la nozione del tempo, esso compra e vende, ma non si accorge mai di ciò che fa, poiché se sapesse con esattezza i risultati delle proprie azioni mediterebbe di usare un altro tipo di concetto di copra-vendita chiamato qualità e rispetto.
Noi pubblico potremmo anche essere d'accordo sull'operato della commissione di censura per l'epoca in cui si muoveva, ma non potremmo mai approvare ciò che fece del materiale di scarto.

 

Homepage

 

   
Num 19 Novembre 2002 | politicadomani.it