Pubblicato su Politica Domani Num 19 - Novembre 2002

Nobel per la Pace
A Carter un premio contro gli USA
Il premio Nobel assegnato a Jimmy Carter mette in discussione la politica USA

Roberto Palladino

Ogni anno a Stoccolma cinque persone si riuniscono nelle stanze di uno splendido edificio dei primi del '900, con il delicato compito di riconoscere il merito di chi più si è distinto in vari campi del sapere come la medicina, la fisica, la letteratura. Il premio consiste in una medaglia, un diploma, un assegno corrispondente a circa un milione di Euro e la gratitudine dell'umanità intera. Ma c'è una sezione che ogni anno suscita più attesa e polemiche delle altre. È quella che premia persone od enti distintisi per la loro opera di pace nel mondo. Un riconoscimento assegnato a personaggi passati poi alla storia come Martin Luther King, Mikhail Gorbachev, Henry Kissinger, ma anche ad organizzazioni internazionali quali la Croce Rossa e le Nazioni Unite.
Quest'anno il premio Nobel per la pace è stato assegnato all'ex Presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter. Tutto questo, con i venti di guerra che gonfiano la bandiera a stelle e strisce negli ultimi tempi, ha creato un certo imbarazzo nell'amministrazione Bush, che ha visto premiare il più pacifista fra gli inquilini vissuti nella Casa Bianca. Le ragioni del premio nascono nei quattro anni della presidenza Carter, dal 1977 al 1981, anni in cui gli Stati Uniti furono al centro della diplomazia mondiale. Fu grazie a Carter che nacquero i patti di Camp David, il tentativo fino a questo momento più credibile per riportare la pace tra Israele e Palestina. Altre importanti conquiste diplomatiche furono non solo il trattato di non proliferazione nucleare con la Russia ed il conseguente inizio della distensione tra il Blocco Atlantico e quello Sovietico, ma anche la battaglia per i diritti umani in Sud America, la riapertura delle relazioni diplomatiche con la Cina, la ratifica del trattato per il canale di Panama. Un'attività diplomatica senza precedenti, che ebbe seguito anche dopo il termine del mandato presidenziale. Jimmy Carter fondò infatti nel 1982, con la moglie Rosalynn, il Carter Centre, un centro per la diffusione dei diritti umani e per lo sviluppo della diplomazia.
"Cercare la pace, combattere le malattie, costruire la speranza", questa la missione del centro che si avvale del lavoro di oltre 150 persone le quali, ogni giorno, dalla sede di Atlanta, svolgono attività di monitoraggio ed assistenza per centinaia di situazioni di conflitto nel mondo. Molto spesso delegazioni dell'associazione, guidate dallo stesso Carter, si recano nei luoghi "caldi" del pianeta. Lo hanno fatto come osservatori indipendenti nelle elezioni in Nicaragua, e in Bosnia, dove l'attività di Carter diede una spinta fondamentale alla ripresa dei colloqui di pace. Il Carter Centre è un'associazione non governativa e apolitica, che si fonda quasi esclusivamente sui contributi dei privati, cosa questa che consente di mantenere una posizione equidistante ed indipendente sia rispetto al governo degli Stati Uniti, sia rispetto agli altri stati.
E proprio l'attività del suo centro è stata, unitamente al suo impegno di Presidente degli Stati Uniti, il motivo dell'assegnazione del premio Nobel a Jimmy Carter. In molti hanno avuto la sensazione che a pochi mesi da una probabile guerra Usa-Irak, assegnare il premio Nobel al più pacifista dei Presidenti Usa fosse un messaggio per l'amministrazione Bush. Sensazione che Gunter Berge, Presidente del comitato dei cinque saggi che assegnano il Nobel, ha confermato dichiarando pubblicamente che l'assegnazione del premio a Carter: "dovrebbe essere interpretata come una critica all'attuale politica dell'amministrazione [americana]. Un forte segnale per tutti quegli stati che seguono la stessa linea degli Stati Uniti"
Un concetto ripreso seppure in forma più soft anche dal Premier Norvegese Bondevik, che ha parlato di Carter come esempio di come sia possibile risolvere situazioni di possibile conflitto con la diplomazia, specie in periodi contrassegnati dalle minacce della violenza.
Cosa ne pensa Carter dell'odierna politica estera USA? L'ex Presidente e deputato del Parlamento Usa ha dichiarato la propria contrarietà all'intervento armato in Irak, ed ha accusato Bush di aver fatto precipitare la politica degli Stati Uniti nel Medioriente ai livelli precedenti il 1967.
Una posizione di duro dissenso, quindi, di un uomo a cui il premio Nobel ha dato ora ancora più indipendenza e una maggiore libertà di potere indicare la propria via soluzione ai conflitti, una via che passa attraverso i tavoli del negoziato piuttosto che negli accampamenti militari del deserto. In una intervista al Washington Post Carter ha dichiarato: "Voci di guerra e di divisione sembrano prevalere in questo momento a Washington. È fondamentale che lo storico senso di responsabilità americano prevalga per la pace, la giustizia, i diritti umani, l'ambiente e la cooperazione internazionale".

 

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Num 19 Novembre 2002 | politicadomani.it