Pubblicato su Politica Domani Num 17/18 - Set/Ott 2002

Rai
SCIUSCIÀ
Il figlio ribelle di Mamma Rai

Roberto Palladino

Ognuno di noi svolge il proprio lavoro: studente, artigiano, avvocato, operaio e quant'altro, ma immaginiamo per un momento di svolgere un mestiere unico e ambito: il Direttore Generale della Rai. Ebbene, se voi foste il responsabile di un'azienda così importante, chiudereste un programma che costa 180.000 euro a puntata e ne raccoglie 300.000 in pubblicità?
Porreste fine ad una trasmissione che conta sei milioni di telespettatori e che quindi contribuisce al successo della vostra azienda?
La logica prevede una risposta negativa. Ma il profitto ed il successo di pubblico non sono bastati per salvare Sciuscià dalla chiusura, e così il 30 agosto il Consiglio di Amministrazione della Rai ha posto fine al programma di Michele Santoro in onda fino alla scorsa stagione su RaiDue. Le origini della chiusura del programma di Santoro nascono da lontano, da quando il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi stilò, in occasione di un viaggio in Bulgaria, una celebre lista di 'indesiderabili' della tv di stato che includeva Michele Santoro, Enzo Biagi ed il comico Daniele Luttazzi, "rei" di aver fornito, stando alle accuse del Premier, un'informazione di parte e non pluralista.
"Non fare prigionieri", questa la parola d'ordine con la quale il centrodestra ha costruito la 'propria' Rai. E prigionieri non sono stati fatti. E così Santoro e Biagi, Luttazzi già non risultava nel palinsesto Rai della scorsa stagione, si sono ritrovati da un giorno all'altro degli illustri disoccupati.
"Berlusconi chiudendo Sciuscià, mostra la sua vera faccia, quella di un monopolista autoritario […] uno che per aver ragione deve proprio chiudere tutto", ha scritto Michele Santoro sulle pagine di Micro Mega, in un articolo durissimo che accusa il premier di voler abbassare il livello qualitativo della Rai per favorire Mediaset.
Contro le scelte del Cda della Rai si sono organizzate molte iniziative da parte della società civile; tra queste una petizione promossa dall'Associazione "Articolo 21", che ha portato alla consegna di migliaia di firme ai Presidenti di Camera e Senato a favore della rimessa in onda di "Sciuscià" e di "Il Fatto" la cui soppressione è stata percepita come una indebita ingerenza, un vero e proprio attentato alla libertà di scelta e di espressione. Lo stesso Santoro è stato ospite di incontri nelle università, e la troupe di Sciuscià ha ripreso, con proprie attrezzature, la manifestazione dei girotondi del 14 settembre a Roma mandandola in diretta su moltissime reti private italiane. Insomma un vero e proprio scontro senza precedenti tra la Rai e il gruppo di una delle sue stesse più seguite trasmissioni, una trasmissione che sembra voler dimostrare di poter avere propria vita anche al di fuori dell'azienda.
Ma tutto questo è normale? Può la Rai, che è titolare di un contratto di servizio pubblico, fare e disfare il proprio palinsesto in base alle richieste del premier? Le risposte vanno cercate nell'analisi di un sistema radiotelevisivo i cui equilibri sono tutti da rifare, in un paese in cui il Premier è titolare di tre televisioni, case editrici e giornali in un mondo delle telecomunicazioni continuamente sconvolto dalle intrusioni della politica. "In Italia si pensa che tutti siano in grado di fare e parlare di tv, come tutti si credono commissari tecnici" afferma dalle pagine del Corriere della Sera Angelo Guglielmi, storico direttore della Rai Tre più innovatrice, quella di un decennio fa, accusando di scarsa preparazione professionale gli attuali quadri dirigenti dell'Azienda di Stato.
A queste ragioni si aggiungono poi le polemiche suscitate dal disegno di legge di riforma del sistema radiotelevisivo presentato dal Ministro Maurizio Gasparri. Fa discutere l'ipotesi, contenuta nel disegno di legge, di un rafforzamento del ruolo dell'esecutivo nella nomina del Consiglio di Amministrazione. Attualmente i membri del CdA sono nominati dai Presidenti di Camera e Senato; con la nuova legge questi ultimi avrebbero solo un ruolo consultivo. La lista con i nomi dei papabili al consiglio di amministrazione sarebbe decisa dal Ministro del Tesoro e votata poi dall'assemblea degli azionisti, inclusi gli azionisti privati.
La domanda è: questa Rai sarà davvero più competitiva, oppure si rischierà di danneggiarla ancora di più? La fine degli 'scomodi programmi di successo' di Biagi e Santoro sembra essere un'inquietante risposta.

Il saluto di Biagi

Non posso far altro che dire grazie a tutti,
Grazie a chi, in un momento difficile del mio lavoro, ha voluto testimoniarmi quella che io considero amicizia. Qualcuno ha detto che il destino di un uomo è il suo carattere. Credo sia importante cercare di avere rispetto di sè, e soprattutto degli altri. Grazie ancora e buona fortuna a tutti.

(Enzo Biagi - Il Fatto. 2 maggio 2002)

 

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