|
Pubblicato su Politica Domani Num 17/18 - Set/Ott 2002
Europa: promesse
d'infedeltà
Patto di Stabilità
Deficit troppo alti per i paesi dell'Euro Marianna Berti Le voragini dei conti pubblici registrate
a Roma, Berlino, Parigi e Lisbona rischiano di travolgere il patto di
stabilità, l'accordo che regola il deficit di bilancio dei paesi
dell'euro. Qualcuno parla di riformarlo; a qualcun altro, come il cancelliere
socialdemocratico Schroeder, non interessa più; Tremonti, il
nostro ministro dell'economia, risolve la questione con un secco ultimatum:
"stop ai tecnocratici o addio Europa".
Eppure il patto ha fatto la storia dell'Unione Europea e pensare di
cambiarlo, solo un anno fa sarebbe stato un sacrilegio. L'accordo, nasce
a Dublino nel 1996 - quattro anni dopo Maastricht - ma entra in vigore
nel 1999. Esso impone ai dodici paesi dell'Euro un rapporto tra debito
pubblico e prodotto interno lordo non superiore al 3% e prevede che
ogni paese concordi con la Commissione e con il Consiglio un "programma
di stabilità". Lo scopo è di arrivare al pareggio
entro il 2004, porre un freno all'inflazione e difendere l'Euro. I paesi
che non osservano il patto, dapprima vengono richiamati, poi scatta
una sanzione pecuniaria (una specie di "multa europea), tranne
che nel caso di eccezionale recessione.
Il nome completo è "Patto di Stabilità e di Crescita",
poiché favorisce il funzionamento del mercato all'interno di
un solido meccanismo di cooperazione europea. Per almeno due anni, dal
1999 fino al 2001, per quanto possibile, è stato rispettato.
Le crepe si sono aperte dopo l'arrivo dell'euro, in un clima di relax
finanziario: raggiunta la moneta unica molti paesi, Francia in pole
position, hanno pensavato che quel patto potesse ormai andare in pensione.
Intanto, con il peggiorare della congiuntura internazionale che indebolisce
le entrate, la convenzione, oltre che pretestuosa, viene accusata di
essere da intralcio alle politiche di riforma (sanità, pensioni,
scuola e lavoro) che incidono pesantemente sui conti pubblici.
Ecco così che il deficit del Portogallo schizza al 4,1%, quello
della Germania al 2,8%, della Francia al 2,6%, seguita dall'Italia con
il 2,2%. Inizia con queste cifre l'attacco al patto; al grido liberista
di Tremonti si uniscono Pera, Bottiglione, Pezzotta e Bossi. Dall'altra
parte ci sono Prodi, Solbes, Aznar, Duisenberg, Visco, Dini; per loro
l'Europa ha bisogno del patto perché, come dice il presidente
della Commissione Europea:"Il patto serve a garantire gli interessi
di tutti".
C'è spazio per rivederlo e meglio applicarlo per esempio escludendo
dal conto del deficit le spese per gli investimenti - una buona medicina
per rilanciare l'economia -, per riformare la scuola, le pensioni, per
migliorare le condizioni e i rapporti di lavoro. L'importante è non cercare di difenderlo sotto una campana, che poi sarebbe di vetro.  
| |
|