Pubblicato su Politica Domani Num 17/18 - Set/Ott 2002

Giustizia
IL MIO VICINO, TERRORISTA
Il caso Persichetti

Roberto Palladino

Chissà che faccia deve aver fatto, la notte del 24 agosto scorso, la vicina di casa di Paolo Persichetti quando gli agenti della Polizia francese hanno portato via il suo dirimpettaio. Chissà lo sgomento nel sapere che quello era stato un terrorista. "No, niente a che vedere con Bin Laden, vecchie storie italiane" l'avrà rassicurata il poliziotto parigino, riassumendo in poche parole l'inizio della nuova politica francese nei confronti dei terroristi italiani rifugiati in Francia. Difatti l'11 settembre, due settimane dopo l'arresto di Persichetti, il governo italiano ha stabilito una nuova convenzione con il governo d'oltralpe che renderà molto più semplice l'estradizione dei terroristi da quel paese all'Italia. E cominciano così a tremare gli oltre 140 ex terroristi, perlopiù di sinistra, che si rifugiarono in Francia tra gli anni settanta e gli anni ottanta e che lì spesso si sono rifatti una vita. Persichetti insegnava alla facoltà Paris VIII, dove figurava, con il suo vero nome e cognome, nell'elenco dei docenti, con tanto di orario di ricevimento per gli studenti. Lo stesso nome, il suo, Persichetti lo aveva scritto sul citofono e per questo sorridono gli avvocati francesi dell'ex B.R. alla definizione di "brillante operazione", data dal governo italiano a commento dell'arresto dell'ex terrorista. D'altronde come disse tempo fa Michele Serra: "Montmartre riabilita più di Rebibbia". E come smentirlo? In molti tra terroristi latitanti italiani rifugiati in Francia, occupano posizioni di rilievo nella società civile. Sono medici, insegnanti, architetti. Spesso sono sposati, titolari di conti in banca e mutui. Hanno case, frequentano teatri e cinema, portano a scuola i propri figli. Vivono in pienezza la loro vita; sono, come si dice in tempi di globalizzazione, "integrati". A cosa è dovuta la tolleranza finora dimostrata dal governo francese nei confronti degli ex terroristi italiani? Bisogna risalire agli anni ottanta, quando l'allora Presidente della Repubblica Francese, Francois Mitterand, assicurò a questi ultimi uno status più o meno palese di immunità rispetto alle richieste di estradizione provenienti dall'Italia. Estradizioni raramente concesse dalla magistratura francese, per una serie di incompatibilità tra i reati contestati dalla magistratura italiana - ad esempio il concorso morale ad un reato di terrorismo -, assenti invece nel codice penale francese.
Ma ovviamente alla base delle "inconciliabilità" dei rispettivi ordinamenti giuridici, c'era una "copertura politica" per gli ex terroristi, tant'è che, almeno fino al caso Persichetti, le poche estradizioni concesse non avevano mai avuto seguito con un arresto.
Qualcosa evidentemente è cambiato. Ma perché proprio adesso? Perché proprio Persichetti? Le ragioni vanno trovate principalmente nelle recrudescenze delle Brigate Rosse che, con gli omicidi Biagi e D'Antona, hanno dimostrato di essere ancora attive, di riuscire a creare nuove cellule, spesso proprio attorno a membri della "vecchia guardia" ancora latitanti; ma anche nel nuovo clima da "11 settembre" che ha portato ad una "internazionale della tolleranza zero" nei confronti del terrorismo, fosse anche politico o legato ad eventi lontani nel passato.
E proprio il fattore tempo è una componente essenziale del nuovo accordo sulle estradizioni tra l'Italia e la Francia. Difatti il governo italiano ha di fatto "rinunciato" a richiedere l'estradizione per fatti anteriori al 1982, salvo casi da considerare gravissimi. Si spiegherebbe così l'arresto di Persichetti, condannato per l'omicidio del generale dell'aeronautica Giorgieri nel 1987: come un'anticipazione, una sorta di "prova generale" della nuova convenzione Italia-Francia approvata due settimane dopo il suo arresto. Ma la polemica monta, sostenuta sia dalla stampa francese ("Le Monde" ha dedicato una pagina intera all'arresto dell'ex B.R.), che da quella italiana. Così, con una lettera inviata dal carcere di Rebibbia al quotidiano "Il Manifesto", Persichetti, che fin dal suo arresto ha proclamato la sua estraneità alle nuove Brigate Rosse, si definisce un capro espiatorio, vittima esemplare di un asse giustizialista tra l'Italia di Berlusconi ed il neo governo di centro destra del francese Jean Pierre Raffarin. Una polemica quindi ben lontana dall'essere risolta, che sta intanto riaprendo vecchie ferite, specie tra i parenti delle vittime del terrorismo, che hanno visto la loro vita distrutta da chi aveva deciso di provare a cambiare il mondo non con la forza delle idee ma con quella delle armi.
Viene così da più parti la richiesta di arrivare ad una soluzione politica della questione dei terroristi latitanti. Una soluzione che di certo creerebbe non pochi problemi in Parlamento, dove a causa delle diverse anime garantiste e giustizialiste, si crerebbero crepe sia nella coalizione di governo che nell'opposizione. C'è il rischio reale che manchi ancora quella serenità di giudizio riguardo gli anni di piombo, che portò alla stagione del garantismo francese, sorto per tutelare coloro che, nell'opinione di Mitterand, non avrebbero avuto la possibilità di avere un equo processo in patria.

 

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