Pubblicato su Politica Domani Num 17/18 - Set/Ott 2002

Analisi
L'AUTUNNO DELLA FIAT
Dietro il piano delle banche

Raffaello A. Doro

La Fiat è indebitata per 6,5 miliardi di euro e si accinge a varare un'operazione di dismissioni, tagli e risparmi che dovrebbero portare nelle sue casse 4,5 miliardi. Il tutto entro il 2005. La scadenza coincide con il termine entro il quale la famiglia Agnelli dovrà decidere se vendere o no l'80% della Fiat Auto al colosso statunitense General Motors (tecnicamente esercitare il "put"). Il colosso americano, con gli accordi di due anni fa, ha già acquisito il 20% dell'azienda. La recente intesa del gruppo Fiat con un pool di banche (Banca Intesa, Banca di Roma, San Paolo Imi, Unicredito, Bds, Bnl, Mps, Abn Amro, Toscana e Bnp Paribas) conferma l'effettivo stato di crisi del gruppo. La manovra ha come obiettivo principale il risanamento del bilancio ottenuto mediante il taglio dei debiti; una manovra che è centrale nella "operazione ripresa" del vertice Fiat. L'accordo con le banche impone all'azienda del Lingotto di ridurre il debito netto dai 5,8 miliardi di euro di fine giugno, a 3 miliardi di euro per la fine dell'anno. La Fiat, inoltre, si impegna a tagliare il debito lordo (concentrato soprattutto nella Fidis, la società di servizi finanziari per l'auto), di almeno 12 miliardi di euro entro la data di approvazione del bilancio del 2002, e a mantenere la sua esposizione finanziaria (il debito globale) al di sotto dei 23,6 miliardi. Le banche insistono perché il debito lordo sia ridotto di altri 5 miliardi, in modo che l'indebitamento lordo scenda al di sotto dei 18,6 miliardi.
L'impressione è che nei prossimi mille giorni, da qui al 2005, sia in gioco il futuro stesso della Fiat.
Con le banche la Fiat sta trattando la cessione del 51% di Fidis: in questo modo il debito lordo scenderebbe a 8 miliardi. È in atto una consistente dismissione dei "beni di famiglia": è già stato venduto il 34% di Ferrari, è stata operata la divisione di Teksid, e il Lingotto sta valutando la possibilità di procedere ad altre operazioni. "Ma in questa fase il mercato favorisce chi compra rispetto a chi vende. Quindi bisogna essere cauti con le dismissioni", nota giustamente il nuovo amministratore delegato Gabriele Galateri, sostituto di Paolo Cantarella.
Le difficoltà del gruppo sono evidenti: la Fiat è passata dal 60% di vendite in Italia (anni '80) al 45% (inizio anni '90), fino al 30% attuale. La Fiat non riesce quasi più a vendere in Italia, ad eccezione dell'Alfa Romeo. Tutto ciò si riflette pesantemente sulla borsa. Dopo l'11 settembre il titolo Fiat ha perso ben il 43% mentre i titoli delle altre case automobilistiche sono saliti in media del 14%. Nel 1998 il capitale Fiat valeva 19 miliardi di euro; oggi ne vale 8,8 e la casa ha debiti per 6,5 miliardi di euro. Se la Fiat vendesse a General Motors in queste condizioni andrebbe a perdere un mucchio di denaro, nonostante tutte le clausole di tutela previste. Né sembrano esserci grossi margini d'intervento per aiuti esterni. Un aiuto diretto da parte del governo italiano non è possibile perché vietato dalle norme europee, e nuovi incentivi per la rottamazione rischierebbero di favorire le marche straniere piuttosto che la Fiat.
In passato gli aiuti pubblici goduti dalla Fiat (il piano autobus degli anni '70 e la rottamazione dei '90), sono serviti ben poco a migliorare la presenza del gruppo sul mercato: i vertici Fiat non hanno saputo investire nella ricerca finalizzata al miglioramento della qualità, della tecnologia e della salvaguardia dell'ambiente. L'investimento dell'azienda nella ricerca è andato via via calando; oggi la Fiat Auto investe nella ricerca l'8% del fatturato e le vendite concorrono sempre meno a coprire queste spese (negli anni '80 il costo della ricerca era coperto per il 94% dai profitti generati dalle vendite di "Uno" e "Tipo").
Una situazione, questa, che promette di essere soltanto la punta dell'iceberg di una crisi molto profonda. I risvolti economici, politici e sociali sono molti e andranno seguiti con sempre maggiore attenzione perché la Fiat non è solo un'azienda ma è un pezzo importante del nostro paese.

 

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