Pubblicato su Politica Domani Num 15/16 - Giu/Lug 2002

Politica unilateralista dell'amministrazione Bush
USA OUT OF ORDER
Dopo Kyoto gli Stati Uniti si ritirano anche dalla Corte Penale Internazionale

di Marianna Bartolazzi

La Corte Penale Internazionale (CPI) è stata costituita con un accordo firmato a Roma nel 1998 e ha competenza sui crimini di guerra, il genocidio e i crimini contro l'umanità. Il trattato di Roma è effettivo dall'11 aprile 2002 e la Corte dovrebbe entrare in funzione a partire dall'anno prossimo, con sede all'Aja.
Il governo americano ha deciso di ritirarsi dalla Corte Penale Internazionale (CPI), il cui trattato di costituzione aveva firmato ma mai ratificato. In supporto a questa decisione, nei primi giorni di maggio, un'importante commissione della Camera ha votato l'autorizzazione per il Presidente di rifiutare qualsiasi contributo militare alle nazioni che ratificano il trattato. La misura, proposta dal deputato Tom De Lay, repubblicano del Texas, fa parte di un più ampio disegno di legge sulle appropriazioni supplementari d'emergenza, riguardanti 29,4 miliardi di dollari per spese militari e sicurezza nazionale. De Lay ritiene che questo provvedimento sia necessario perché la nazione non debba essere costretta a vedere mai "un soldato americano o un leader eletto secondo le leggi, venire trascinato di fronte a questa corte", che egli chiama una "corte truffa". Vale la pena notare a questo proposito che il trattato di fondazione della CPI è stato firmato da 139 nazioni e ratificato da 66, incluse la maggior parte delle nazioni democratiche. De Lay afferma di aver parlato personalmente con il segretario alla difesa Donald H. Rumsfeld e con il segretario di Stato Colin L. Powell e che entrambi hanno accettato il provvedimento nella sua interezza. Mr. Rumsfeld in persona ha inoltre affermato che la Corte permetterebbe che i militari fossero sottoposti al rischio di "persecuzioni politiche". Sean McCormack, il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale conferma l'approvazione della Casa Bianca per la proposta di De Lay, avendo lavorato con lui alla sua stesura.
La proposta di legge viene a sostenere la già annunciata politica dell'amministrazione Bush, volta a rifiutare una qualsiasi cooperazione con la Corte e ad impedire l'estradizione di chiunque sia perseguito dalla Corte. Con questa legge inoltre gli USA si esimono dalla partecipazione ad operazioni di pace nelle quali i militari americani potrebbero trovarsi nella condizione di essere soggetti alla giurisdizione della Corte.
Il perno della discussione negli Usa, ruota, come confermato anche dalle dichiarazioni di Rumsfeld, intorno al rischio che la Corte possa rappresentare un ostacolo per la lotta al terrorismo. Douglas Davidson, il Responsabile Affari Esteri alla U.S. Mission all'OSCE, elenca le ragioni per cui gli USA ritengono che il trattato presenti "significativi difetti", difetti che limiterebbero la buona volontà degli stessi Stati Uniti e forse anche di altre nazioni ad essere coinvolti in operazioni militari, come le operazioni di pace.
A questo punto vi è il ragionevole timore che anche le nazioni che hanno firmato e ratificato il trattato, attraverso l'arma degli emendamenti, potrebbero aggirare le loro responsabilità riguardo a qualsiasi crimine possa essere stato commesso, incluso il crimine di aggressione. Questo porterebbe alla formazione di un sistema di discriminazione che eroderebbe l'importanza della Corte stessa.
Naturalmente, la proposta De Lay è stata attaccata da più parti, fra le diverse componenti dell'opinione pubblica e dell'opposizione politica americana.
Dopo la negata ratifica del trattato di Kyoto di qualche mese fa, è difficile non parlare di unilateralismo della politica estera americana. Gli USA, neanche troppo lentamente, sembrano volersi tirare fuori da una politica di cooperazione mondiale, adducendo motivazioni discutibili e mettendo in pericolo il futuro della cooperazione internazionale e il regime di alleanze con i paesi europei.
Il mancato appoggio degli USA alla CPI pone una pesante ipoteca sul tanto auspicato migliore dei mondi possibili a cui aspira la nostra generazione.

 

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