Pubblicato su Politica Domani Num 15/16 - Giu/Lug 2002

Afghanistan
GUERRA DURATURA
Cala il silenzio su un altro conflitto

Giorgio Innocenti

Che ne è della guerra in Afghanistan? Dopo un inizio roboante - intese amplissime e spiegamenti di truppe, dimostrazioni di solidarietà e proclami bellicosi - Enduring Freedom sembra proseguire in sordina. Le notizie da quel fronte compaiono qua e là sempre più sporadiche e con meno evidenza. Nei primi mesi del conflitto i giornali riempirono pagine su pagine con interessanti questioni geopolitiche, descrizioni delle sofisticate tecnologie in campo, commenti zampillanti di retorica ma di notizie sul reale andamento del conflitto poche tracce: le cronache di azioni militari apparivano scarne, spesso prive di dati sulle vittime.
L'inizio delle ostilità un certo interesse l'aveva suscitato: c'eravamo tanto infervorati alla notizia che avrebbe partecipato alle operazioni anche l'esercito italiano. L'Italia, al fianco dell'alleato americano, contro le forze del male: ripeteva il disco del tutti-uniti-contro-il-terrorismo. Persino i pacifisti erano tutti eccitati: finalmente una guerra vera. Già pregustavano marce su marce, manifestazioni in opposizione all'impiego dei nostri soldati contro il popolo afgano. Poi ci si è accorti che gli unici militari italiani dispiegati in Afghanistan - circa 400, tra esercito e carabinieri - sono impegnati in compiti di polizia e mantenimento della pace nell'ambito dell'ISAF (International Security Assistance Force). Soldati che mantengono la pace: quanto basta per accontentare guerrafondai e pacifisti.
Placate le polemiche si rischiava di tornare alla banalità di una guerra tanto lontana quanto difficile da raccontare. Serviva una chiosa adatta alla pomposità dell'esordio. La presa di Kabul è arrivata all'uopo: i liberatori entrano in città, le donne abbandonano i burqua, le radio libere spuntano dal nulla; tutto un tornare alla vita. Poi il riacutizzarsi della crisi palestinese: su "Libertà duratura" è calato un velo.
Felici crediamo alla favola dell'Afghanistan libero. Dell'occidente portatore della "Civiltà". Non ci chiediamo: a quale prezzo? Quale libertà? Se davvero l'avvenire dell'Afghanistan si prospetta roseo? Se sarà mai possibile una democrazia imposta con la forza - per di più da potenze straniere? Alle domande sul futuro potremo dare una risposta definitiva solo un domani. Il prezzo che l'umanità paga per la "Lotta del bene contro il male" però qualcuno tenta già oggi, giorno per giorno, di calcolarlo sbirciando dalla cortina informativa che circonda le operazioni. Marc Hero è arrivato a contare oltre tremila vittime civili, dal sette ottobre ad oggi: effetti collaterali di quella che è stata presentata come una operazione di polizia internazionale.
Polizia internazionale, intelligence, le parole usate contribuiscono a creare un'immagine distorta della realtà: pensiamo a truppe speciali che, con strumenti sofisticati, tentano di stanare dei criminali. La realtà viceversa è fatta di bombardamenti da alta quota, bombe a grappolo, inevitabili "errori", vittime innocenti. Solo in un secondo momento sono intervenute le truppe di terra.
Nei bombardamenti i nostri militari rischiano pochissimo: perdono la vita migliaia di civili. Un intervento di terra permetterebbe una maggiore selettività: molti soldati rimarrebbero uccisi. L'opinione pubblica dei paesi occidentali non accetterebbe un alto numero di perdite, così si baratta la vita dei soldati con quella dei civili afgani. All'Italia forse basterebbe anche un solo caduto perché il consenso verso la "guerra giusta" si tramuti in protesta: in breve il governo sarebbe indotto a ritirare le truppe. Di questa, che molti considerano debolezza, si potrebbe fare un vanto, se non fosse che il valore supremo è attribuito solo alla vita degli occidentali. Siamo rimasti sconvolti di fronte alle migliaia di vittime l'undici settembre, ora ne abbiamo aggiunte altre migliaia - e continuiamo - senza battere ciglio.
Quando ci sarà presentato il conto di questa guerra che sosteniamo apertamente e delle altre decine, a varie latitudini, che provochiamo indirettamente? Dobbiamo dire NO. NO alla guerra come soluzione dei problemi internazionali - tanto meno del terrorismo. NO all'imposizione etnocentrica (cruenta o meno) di modelli politici, economici o culturali.
Il nostro NO a questa guerra lo possiamo far sentire con "Uno straccio di pace", iniziativa che Emergency ha lanciato alcuni mesi fa e che, dopo l'indignazione iniziale, è stata dimenticata. Uno straccio bianco appeso alla porta, alla borsa, sull'auto di chi è contrario a questa guerra.
Un solo NO sarà pure uno squittio impercettibile, milioni di squittii fanno un boato.

 

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