Pubblicato su Politica Domani Num 15/16 - Giu/Lug 2002

Editoriale
I CONTI IN TASCA
Dobbiamo preoccuparci per le cifre ufficiali?

Maria Mezzina

1.353.835 milioni di euro di debito pubblico. Questo il dato nudo e crudo, che va interpretato. E qui comincia il valzer delle cifre e il pluralismo, tutto italiano, delle interpretazioni.
Partiamo da una premessa: le fonti ufficiali delle informazioni sono la Banca d'Italia, l'Istat e il Ministero dell'Economia e della Finanza (ex Tesoro). Ai dati si affiancano relazioni, commenti e studi di valutazione (Censis, Cnel, Osservatorio Economico e stampa); così anche le "aride" cifre riescono a tingersi di rosa o di nero. I grandi mezzi di comunicazione - dove la lunghezza della notizia non deve superare i 30 secondi - riescono a dare solo il dato più eclatante, la sintesi estrema. Al più sul dato, in omaggio alla "par condicio" dovuta allo stato di perenne mobilitazione elettorale che questo Governo è riuscito ad assicurare, viene presentato il breve quanto inutile e scontato commento di chi dice che si tratta di un boccone amaro e di chi invece sostiene che è solo l'inizio di un periodo di prosperità e di benessere.
Cerchiamo di capire e facciamo anche noi due conti, partendo da lontano.
La famiglia. In dieci anni i matrimoni sono diminuiti (-12,3%). Separazioni e divorzi sono aumentati (+46,8% e +22,3%). L'età media per il matrimonio è cresciuta, da 28,6 a 30 anni per gli uomini e da 25,8 a 27,1 anni per le donne. Il 43,5% delle famiglie vive anche o solo di pensione o di indennità.
Il lavoro. Dal 2001 è diminuito (-4,6%) nelle grandi industrie manifatturiere (il -3,1% dei primi tre mesi è sceso ad aprile a -6%, l'ultimo dato è conseguenza della grave situazione alla Fiat) e nella produzione di energia, gas e acqua (-10,7%).
Non si riesce a ridurre il lavoro sommerso, valutato intorno al 19,8% del Pil (Censis 2001), per un totale di oltre 59 miliardi di euro. Gli sforzi di Tremonti, inventore di perdoni e condoni a favore delle imprese che avessero deciso di uscire dal sommerso (la scadenza per l'operazione è stata prorogata al novembre 2002), ha convinto solo le grandi imprese. Le piccole continuano a rimanere sommerse perché i controlli non sono efficaci, perché si risparmia sul costo del lavoro e sulle tasse e perché l'emersione non aiuta a superare le difficoltà economiche dell'impresa.
Tre milioni di dimostranti in piazza, i padri accanto ai figli, in difesa della sicurezza sul lavoro (Articolo 18), quella "stranezza" del sistema italiano che è il reintegro sul posto di lavoro di chi è stato licenziato senza giusta causa; manifestazioni di lavoratori "atipici" (gli ultimi); cortei di immigrati lavoratori "in nero" e senza permesso di soggiorno (gli ultimi fra gli ultimi). I dati relativi a questi eventi non compaiono in nessuna statistica ufficiale, eppure sono il segno esterno di una realtà pervasa da un profondo malessere, misurabile e misurato con il numero di ore perdute per conflitti di lavoro: passate da 6,2 milioni nel 2000, a 7,2 milioni nel 2001, a 5,1 milioni nei primi tre mesi del 2001 (sciopero generale escluso).
Il PIL è in crescita quasi zero (+0,1% rispetto al 1° trimestre 2001). Il Tesoro prevede una crescita annua dell'1,8% (-1% rispetto alle previsioni). L'Unione Europea consiglia l'Italia di tenere sotto controllo le spese e di non ridurre le entrate. Ma su ambedue i fronti le notizie non sono esaltanti: il saldo negativo fra le entrate e le uscite nelle amministrazioni pubbliche è passato da -12.197 milioni di euro nel 2000 a -59.141 milioni di euro nel 2001. A fronte dell'aumento di alcune tasse (Irpeg +66,9%; Irpef +3,4%; Iva +6,3%), sono venute a mancare le entrate sui redditi da capitale (-9,2%), le imposte sulla produzione (-1,7% quella sulla fabbricazione degli oli minerali), altre imposte sostitutive (-50,1%).
Sembrano prevalere i colori che tendono al grigio scuro.
Eppure le aspettative sono positive: delle famiglie intervistate, 74,7% contro 23,1% ritengono che il proprio reddito aumenterà o rimarrà stabile. Una strana forma di ottimismo, visto che le stesse famiglie sanno di dover spendere di più per l'istruzione e per la sanità, proprio i due settori dove in passato era prevalente l'intervento dello Stato.
Salari e stipendi continuano ad aumentare (+3,2% rispetto al marzo 2001) ma non per tutti nello stesso modo: +3% nell'industria, +1,8% nei servizi, + 5,1% nella pubblica amministrazione.
Intanto l'inflazione ha ripreso a crescere (+2,5%) e noi non riusciamo a toglierci di dosso un sottile senso di preoccupazione e di malessere.

[Fonti: Istat, Banca d'Italia, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Cnel, Censis]

 

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