Pubblicato su Politica Domani Num 15/16 - Giu/Lug 2002

Islam e Cristianesimo II
DANTE E MAOMETTO
Un legame tra Divina Commedia e letteratura araba?

Alberto Foresi

La Divina Commedia di Dante Alighieri viene usualmente messa in relazione con il contesto storico e culturale del Medioevo latino europeo, meno intuitivo è porre in relazione la Commedia con la letteratura arabo-islamica.
Sulla base di un versetto coranico (XVII, 1), si sviluppò in ambito islamico una vasta letteratura di carattere devozionale e popolare riguardante il mi'raj, l'ascensione celeste compiuta da Maometto a cavallo di un alato destriero, sotto la guida dell'arcangelo Gabriele. L'ascensione consentirà al Profeta la visione dell'abisso infernale, la salita dei sette cieli, attraverso una luminosa scala dorata, da cui il nome di Libro della Scala usato nelle traduzioni occidentali.Dall'analisi del testo emergono molteplici punti di contatto con la Divina Commedia: la natura immateriale del paradiso, cori angelici ed armonie celesti, il ruolo dell'arcangelo Gabriele, guida ed intercessore presso Dio, che sembra condensare in un'unica entità i danteschi Virgilio e Beatrice… E, elemento forse più significativo, le reazioni emotive di Maometto di fronte alla Luce divina, l'offuscarsi della vista, l'incapacità di descrivere la visione di Dio, aspetti questi che ricordano quanto narrato da Dante.
Primo ad accorgersi di tali singolari coincidenze fu l'orientalista spagnolo Asìn Palacios, il quale, nel 1919, diffuse le sue ipotesi e congetture in un libro, Dante e l'Islam, tuttora fondamentale per affrontare tale tematica, suscitando, per l'originalità della sua tesi dell'influenza islamica sulla Commedia e, più in generale, sulle letterature neolatine e romanze, un immediato dibattito tra i fautori di tale ipotesi, prevalentemente orientalisti, e coloro che la ritenevano inverosimile, soprattutto dantisti. Il dibattito era senza dubbio influenzato dal timore che, ammettendo questa influenza estranea al Cristianesimo ed alla tradizione culturale occidentale, venisse in qualche modo sminuita anche l'importanza dell'opera del poeta fiorentino.
La tesi del Palacios, pur nella sua verosimiglianza, presentava, in effetti, un punto debole: la mancanza di un elemento di contatto attestabile (una traduzione), tra tali testi arabi e Dante, il quale, nonostante i sospetti suscitati dal primo verso del canto VII dell'Inferno - "Pape Satàn, pape Satàn aleppe" - versi oscuri che potrebbero derivare dall'arabo, non risulta che conoscesse questa lingua. La mancanza di una prova non nega in sé la possibilità che ciò fosse possibile, in considerazione anche della permanenza del suo maestro Brunetto Latini, ambasciatore in Spagna presso il re di Castiglia Alfonso X il Savio per alcuni mesi del 1260. In quell'occasione egli potrebbe avere ricevuto qualche rudimento di arabo da trasmettere al suo allievo o essere venuto in possesso di una qualche traduzione non giunta fino a noi. Tuttavia, l'ipotesi del Palacios, proprio per il suo aspetto innovativo e finanche rivoluzionario, non poteva essere suffragata da un sostegno tanto debole ed indimostrabile e così il dibattito di fatto si prolungò, tra innumerevoli e contrapposti studi, senza che si potesse pervenire ad alcuna conclusione più che plausibile. Come spesso accade, una svolta in tale controversia avvenne in modo inatteso e casuale, allorché uno studioso italiano, il Cerulli, scoprì nella biblioteca Bodleiana di Oxford e nella Nazionale di Parigi due codici contenenti le traduzioni in latino e in francese del Libro della Scala, dimostrando in tal modo la circolazione di questo testo in ambito europeo non arabizzato. Il dibattito fu riacceso da tale ritrovamento, si rinfocolarono le polemiche e nuovamente non si poté giungere ad alcuna conclusione certa in quanto, benché la possibile influenza arabo-islamica risultasse allora più probabile, niente comunque dimostrava che l'Alighieri avesse avuto materialmente tra le mani quel volume. E tale è tuttora lo stato del problema.
La dantistica attuale, purtroppo, sembra sempre più confinata nell'ambito degli studi di letteratura italiana e sempre meno interessata a mettere a confronto l'opera dantesca con le diverse e molteplici suggestioni che l'autore potrebbe avere ricevuto. Al di là delle opposte ragioni sostenute da chi riteneva possibile il contatto e chi lo negava recisamente, una osservazione, forse marginale, merita di essere fatta: gli oppositori alla tesi Palacios-Cerulli, in sostanza, vedevano la figura di Dante sminuita da tale eventualità. Perché, invece, non vedere in ciò, se fosse vero, un ulteriore merito di Dante, il quale non sarebbe più legato esclusivamente alla tradizione religiosa e letteraria europea ma poeta aperto a nuove culture ed influenze?


Bibliografia essenziale:
Il Libro della Scala di Maometto, Mondatori, Milano 1999.
M. Asìn Palacios, Dante e l'Islam, 2 voll., Pratiche Editrice, Parma 1994.
E. Cerulli, Il "Libro della Scala" e la questione delle fonti arabo-spagnuole della Divina Commedia, Città del Vaticano 1949.

 

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