Pubblicato su Politica Domani Num 15/16 - Giu/Lug 2002

La storia del nostro cinema
I GENERI DEGLI ANNI '50
Totò, Sordi e la Loren. Zampa, Lattuada, De Santis, Germi

Giorgio Razzano

In tutto il mondo da New York a Parigi, da Londra a Tokyo, il cinema italiano era identificato con i film neorealisti; non così in Italia. Nel dopoguerra, accanto a opere di grande impegno morale e attualissimi nelle rappresentazioni, furono prodotti anche film appartenenti al genere della pura evasione che rilanciarono la nostra produzione.
È singolare notare come la trasposizione scenica di certe situazioni quotidiane, che era al cuore del realismo, denotava la voglia di una netta rottura con il passato e con la cultura del paese. Tuttavia le opere prodotte risultavano comunque legate alla tradizione del precedente decennio fascista: gli sceneggiatori, i registi, i caratteristi e tutte le maestranze erano nati, cresciuti e, soprattutto, avevano lavorato in quell'epoca e ora, tra la fine degli anni '40 e per tutti i '50, stavano per dare origine - o meglio continuità - ad un filone che in fondo era già iniziato e si era sviluppato negli anni '30 secondo certe impostazioni dettate dal fascismo. Alla fine della guerra, l'Italia, a differenza di altre nazioni, sapeva creare film di ogni genere (drammatico, comico, realista, storico, lirico, commedie, ecc..) e quello che riusciva meglio, era sì il filone neorealista (ma servivano autori per continuarlo, e la vena creativa si stava esaurendo), ma soprattutto il filone del cinema d'evasione. Vecchi volti del passato come Aldo Fabrizi, Anna Magnani e Vittorio De Sica si riciclarono in nuove formule per allietare un tipo di pubblico desideroso di trovare nei film qualcosa di divertente. Intanto nascevano altri personaggi, come Alberto Sordi, l'attore prototipo del nostrano genere italico, e Sophia Loren, tipica florida bellezza del Mediterraneo.
Lentamente, dal 1944 al 1950, si passò da una produzione di 18 a una di 104 film con una media prima costante e in seguito in progressivo aumento.
Due generi si contendevano all'epoca le preferenze del pubblico: il comico e il feuilleton. Nel primo era maestro Totò, con la sua esuberante vena partenopea, interprete di farse e parodie girate a ritmo convulso, tanto pressante era la richiesta di nuove pellicole da parte di produttori e di esercenti. Al genere feuilleton appartenevano alcune trasposizioni di memorabili romanzi ottocenteschi d'appendice, ai quali si affiancavano "sceneggiate napoletane", film poveri e strappa lacrime, con apparato canoro, capaci di appassionare le platee e fatti per dare ai nuovi autori la possibilità di riscrivere per il cinema testi teatrali e lirici.
Sarà comunque l'ondata di registi legati al neorealismo a innovare più in profondità i canoni del nostro cinema (e a sostenerne la produzione) con il duplice intento di non perdere i contatti con le trasformazioni della realtà sociale e politica del Paese e di rimanere legati a un tipo di racconto capace di conquistare il pubblico. Certi registi, anche con un racconto dalla trama a volte molto esile e semplice, davano allo spettatore l'opportunità di riflettere sul valore della vita, sulle differenze degli uomini, sui loro vizi e sulle loro virtù.
I protagonisti del botteghino furono quattro: Luigi Zampa, Alberto Lattuada, Giuseppe De Santis e Pietro Germi, ognuno dei quali seppe maturare una propria linea cinematografica, tenendo alto il prestigio dell'Italia in tutto il mondo. Zampa mise in scena commedie di costume amaro e disincantato da cui traspariva una marcata repulsione verso certi vizi nazionali. Lattuada si schierò accanto agli uomini e alle donne umiliate e offese dagli eventi della storia, e lo fece sempre con stile elegante. De Santis unì un istinto cinematografico di primo ordine con una profonda sapienza registica, mettendo in risalto il mondo rurale, teatro di conflitti e tensioni sociali e umane. E infine Germi che, avendo assimilato la lezione impartita dal poliziesco e dal western americano, diede alla narrazione uno stile così personale, inconfondibile, fatto di disagi morali, di malesseri e crisi famigliari, ma anche e soprattutto di indagine su alcuni fenomeni tipicamente italiani come la mafia, il flusso migratorio dei disoccupati meridionali e la delinquenza giovanile nelle classi medie.
Questa scia così florida si spense con l'inizio degli anni '60, ma già una nuova generazione di autori e sceneggiatori stava emergendo, pronta a dare un nuovo personalissimo contributo all'arte cinematografica.

 

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