Pubblicato su Politica Domani Num 15/16 - Giu/Lug 2002

Energie alternative
QUALI CENTRALI ELETTRICHE?
Tra sviluppo e difesa della qualità della vita

Giorgio Nanni

La recente liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica, ha dato la possibilità ad imprese private di entrare in un mercato fino ad oggi di tipo monopolistico. Questa apertura è stata subito recepita dalla grandi imprese che fiutando l'affare si sono tuffate nella mischia. Infatti, le richieste per la realizzazione di nuovi centrali, in particolare termoelettriche, sono arrivate a 137 in tutta Italia. Il decreto legge Marzano, definito "sblocca centrali", prevede facilitazioni di tipo normativo per la costruzione di centrali superiori ai 300 MW elettrici (1 megawatt = 1 milione di watt); un tale impianto sarebbe capace di soddisfare le richieste energetiche di 300 mila persone. Se queste opere venissero realizzate sarebbero in grado di dare energia a più di 55 milioni di utenti. La cifra lascia facilmente immaginare quale sia il business sottostante. Molti ritengono queste opere la panacea per tutti i mali, economici ed energetici. Tali centrali infatti allontanerebbero, ancora di più, un improbabile rischio di black-out, renderebbero le bollette, almeno in teoria, meno care e farebbero aumentare i posti di lavoro.
Tuttavia i problemi e i dubbi restano.
Prima di tutto, il Governo italiano non ha promosso un piano di programmazione energetico, che valuti l'effettiva richiesta della popolazione e individui le aree da destinare alle nuove centrali. Così facendo si lascia questo compito al privato, che non può garantire una razionale gestione delle risorse. Spesso accade che per liberalizzazione s'intenda l'abolizione di qualsiasi regola, nella convinzione che il mercato sia in grado di trovare da solo il suo equilibrio.
Le centrali, inoltre, gravano sull'ambiente e sulla salute dei cittadini; e i vantaggi economici in termini di profitto e di occupazione che si possono avere nel lungo periodo, sono tutti da dimostrare. L'interesse della gente riguarda soprattutto le tematiche sanitarie. È molto difficile però avere informazioni sulla relazione fra qualità della vita e inquinamento causato dalle centrali; sembra quasi che su questo argomento regni l'omertà assoluta. Di più facile accesso sono invece i dati sulla produzione di polluzione. Le principali emissioni di una centrale da 400 MW elettrici - nell'ipotesi che l'impianto funzioni per 8.000 ore l'anno -, sono costituite da 840.000 kg/anno di ossido di azoto, 200.000 kg/anno di monossido di carbonio, 30.000 kg/anno di ossido di zolfo e, infine, una produzione di goccioline di vapore acqueo di oltre 1 metro cubo/ora, con un potenziale effetto nebbia. Gli elementi emessi combinandosi con l'acqua presente nell'atmosfera formano acidi (per esempio acidi solforici e acido nitrico) che cadono sul suolo dando luogo alle "piogge acide", responsabili dell'acidificazione dei laghi e di gravi danni alla vegetazione, alle coltivazioni, alle foreste e all'ambiente in generale, ma anche agli edifici e ai monumenti. Queste sostanze che si diffondono nell'ambiente sono pericolose per l'uomo: entrano nell'organismo direttamente, tramite le vie respiratorie e la pelle, e indirettamente attraverso la catena alimentare. Anche l'inquinamento acustico è importante: una centrale a turbogas del tipo descritto ha macchine che producono un rumore elevato, che spesso supera i limiti notturni fino a 200-300 metri dall'impianto.
Di norma questi impianti, hanno sistemi di raffreddamento ad acqua. Questo comporta elevati prelievi di acqua (l'equivalente del consumo medio di 31.000 abitanti). Nel caso di raffreddamento ad aria i consumi idrici sono ridotti, ma la centrale funzionerebbe da enorme termosifone.
Se poi una centrale si trova nelle vicinanze di altre grandi fabbriche industriali, è reale la possibilità che le sostanze disperse nell'aria prodotte dai diversi impianti formino un cocktail chimico il cui effetto sull'uomo potrebbe essere persino letale.

 

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