Pubblicato su Politica Domani Num 14 - Maggio 2002

SCUOLA DI FORMAZIONE SOCIO-POLITICA

Paolo Palazzi a Velletri
IL LIBERO MERCATO NON ESISTE
La conferenza organizzata dalla SFSP e dal comitato Tobin Tax

Giorgio Innocenti

Lunedì 15 aprile si è tenuto presso il teatro Aurora, a Velletri, l'incontro dal titolo "Tassa Tobin, una tassa giusta?".
Paolo Palazzi, docente d'Economia dello Sviluppo presso la facoltà di Scienze Statistiche di Roma La Sapienza, ha condotto i presenti lungo una disamina dell'instabilità che caratterizza il mercato monetario odierno.
Nel 1971 cessa la convertibilità del dollaro in oro. Le riserve in dollari, nelle banche centrali dei vari paesi, mantengono un valore puramente nominale. L'anno seguente segna la fine del cambio fisso tra le valute nazionali: il valore è ora determinato da diversi fattori, primo fra tutti la legge della domanda e dell'offerta. Ciò implica delle fluttuazioni delle valute in relazione alla domanda. Scommettendo sull'andamento di queste fluttuazioni è possibile realizzare guadagni rilevanti, guadagni cui non corrisponde produzione di ricchezza reale. James Tobin, già negli anni settanta, ravvisò il pericolo intrinseco nell'instabilità delle divise nazionali: se le stesse unità deputate alla valutazione ed allo scambio di beni sono soggette a repentine fluttuazioni di valore, s'innesca un circolo vizioso in cui è impossibile sapere a quanto sarà possibile vendere un prodotto all'estero. Così l'economista statunitense -premio Nobel nel 1981- propose di tassare le transazioni finanziarie. Prelevando per ogni transazione una percentuale minima della cifra scambiata, sarebbe possibile dissuadere gli speculatori che devono, per avere profitto, scambiare valuta in continuazione. Allo stesso tempo una tassa dello 0,5% o dello 0,1% (com'è nell'attuale proposta) inciderebbe in modo del tutto irrilevante su chi è costretto a cambiare moneta per commercio o per viaggi di piacere.
L'idea di Tobin non ha, per lungo tempo, trovato seguito. Si partiva dal presupposto che le speculazioni non arrecano danno all'economia: gli speculatori giocano tra loro, alcuni vincono, altri perdono, la ricchezza totale rimane la stessa. In realtà la speculazione non è un puro gioco d'azzardo: la pallina della roulette non è influenzata dalla quantità di puntate su un dato numero, al contrario il valore di una moneta è determinato anche in relazione alla domanda. Nel momento in cui scommettono sull'andamento del mercato, gli speculatori lo influenzano. Si prenda ad esempio il caso di un paese che si presuma essere sull'orlo di una crisi economica: gli speculatori, immaginando una svalutazione della moneta, tenderebbero a vendere, ciò provocherebbe, di fatto, una svalutazione, questa si ripercuoterebbe sull'economia reale del paese determinandone la definitiva crisi. Si potrebbe definire questa catena d'eventi una sorta di profezia autoverificantesi: è il fatto stesso di puntare su un evento che contribuisce a determinarlo. Se l'evento in questione implica la crisi di un intero paese e la povertà per un popolo, è facile capire perché ci si debba opporre a questa possibilità.
Alcune grosse crisi determinate dalle speculazioni hanno riportato in auge la proposta di Tobin. Ad essa è stata aggiunta, nelle recenti formulazioni, la possibilità di creare con i proventi della tassa un fondo per lo sviluppo dei paesi poveri. Anche se, come molti sostengono, questa tassa non fosse sufficiente a fermare le speculazioni, il fondo raccoglierebbe una gran quantità di denaro (si consideri che gli scambi di valuta sono stimati in 1250 miliardi di dollari ogni giorno). A questo punto si presenterebbe la questione dell'utilizzo dei fondi raccolti. La gestione degli "aiuti allo sviluppo" che gli stati occidentali destinano ai paesi poveri non costituisce in effetti un precedente edificante.
Nel rispondere alle domande del pubblico, il relatore ha mostrato l'infondatezza di alcune comuni obbiezioni. Allo stesso tempo ha mostrato quanto la materia sia complessa ed ha lui stesso manifestato alcuni dubbi sulla possibilità di porre un freno alla speculazione, "Mi piace però che venga combattuto il pensiero che far profitto sia comunque buono. Va chiarito come si fa profitto".
A chi chiedeva se imporre troppe regole non contrastasse con il libero mercato ha risposto: "Il libero mercato non esiste. Il concetto stesso di mercato implica la presenza di norme, si tratta solo di decidere quali adottare."

 

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Num 14 Maggio 2002 | politicadomani.it