Pubblicato su Politica Domani Num 14 - Maggio 2002

Integrazione europea
POLITICA DI DIFESA COMUNE
Tra speranze e perplessità

Giorgio Innocenti

L'unione europea rappresenta ormai una potenza economica non indifferente. Al potere economico non corrisponde però un peso politico adeguato, esemplare è il ruolo giocato in Medio Oriente. Questa situazione è dovuta in buona parte all'assenza di una politica estera comune dei quindici.
In realtà già il "trattato di Maastricht" definiva una "Politica estera e di sicurezza comune" (PESC). Se il PESC non ha dato i frutti voluti, si deve alla paura dei paesi membri di cedere sovranità in questa materia. A definire gli orientamenti della PESC è il "Consiglio europeo", formato dai capi di stato e di governo dei quindici più il presidente della Commissione. In conformità a queste linee guida, il "Consiglio dell'Unione europea", formato dai rappresentanti a livello ministeriale di ciascuno stato membro, adotta le azioni comuni e le posizioni comuni. Fatte salve rare eccezioni, il Consiglio dell'Unione decide all'unanimità. A differenza delle politiche comunitarie (su agricoltura, ambiente, commercio, trasporti, etc.), la PESC non dispone di strumenti come le "direttive" o i "regolamenti". Ciò rende ogni decisione piuttosto macchinosa: la Politica estera e di sicurezza comune è più un'enunciazione di principio che una realtà consolidata.
Nel dicembre 1999, a Helsinki, durante uno dei periodici vertici dei capi di stato e di governo, si è deciso di creare entro il 2003 una "forza di reazione rapida europea". Questa forza dovrebbe avere un comando unico ma sarebbe sottoposta al controllo politico dei paesi membri. La "politica di difesa comune" - di cui peraltro già si parlava nel trattato di Maastricht- rappresenterebbe, secondo molti, un grosso passo avanti nella percezione dell'Europa come un'unica entità e perciò procurerebbe all'Unione un accresciuto peso politico nel panorama internazionale. Un corpo unico europeo - nella misura in cui possa preparare la creazione di un esercito unico che soppianti quelli nazionali - è cosa auspicabile. Bisogna però ricordare che non basta un esercito per fare una politica di difesa. Chi sarebbe a prendere le decisioni in materia di difesa comune? Ancora il Consiglio dell'Unione - con gli svantaggi già descritti per la PESC - o la Commissione ed il Parlamento europei, istituzioni sul piano formale rappresentative della volontà popolare ma assai poco sentite dai cittadini? Si potrebbero presentare due scenari contrapposti. Il primo vedrebbe il comando militare del tutto assoggettato ad un potere politico dilaniato da divisioni di partito e dall'orgoglio nazionale; in questo caso la forza di reazione rapida vegeterebbe in un'impasse perenne. Un'altra possibilità sarebbe un comando militare forte che, non trovando un'adeguata controparte nelle deboli istituzioni europee, rosicchierebbe terreno alla politica; una simile situazione determinerebbe una crescente pressione del potere militare sui processi decisionali delle istituzioni democratiche. La seconda ipotesi mi pare poco verosimile ma, poiché procurerebbe conseguenze disastrose, è bene tenerla in considerazione.
È parere di molti che un esercito unico contribuirebbe alla creazione di un sentimento unitario tra gli europei; ciò contribuirebbe a rendere sempre più forti - poiché considerate tali dai cittadini - le istituzioni politiche dell'Europa. Fino ad ora effettivamente l'Europa è stata costruita "dall'alto", con accordi tra gli stati membri, i cittadini hanno cominciato a sentirsi "europei" nel momento in cui hanno cominciato a scontrati con direttive, regolamenti e moneta europei.
Rimane un dubbio: come mai noi, gli occidentali, che ci fregiamo d'istituzioni democratiche e di una religiosa sottomissione al diritto nei nostri paesi, in politica estera adottiamo la forza (economica o militare) come unico linguaggio universalmente riconosciuto. Se è vero che molti regimi sparsi per il mondo non sanno udire che il tuonare dei missili ed il tintinnare dei dollari, è altrettanto chiaro che le nazioni ricche privilegiano istituzioni, come il G8, il consiglio di sicurezza dell'ONU, la NATO, nelle quali la rappresentatività è data dalla forza rispetto ad altre, come l'assemblea dell'ONU, le quali tentano di privilegiare criteri democratici dando voce a tutti i paesi membri (anche se non tutti i paesi presentano rappresentanti eletti democraticamente).
Una forza che abbia l'obiettivo di soppiantare gli eserciti nazionali, che sia sottoposta ad un potere democratico forte e che si sottometta al diritto internazionale (ad esempio riconoscendo la Corte Penale Internazionale) deve avere tutto l'appoggio della società civile; se ciò che andiamo a costituire deve essere un ulteriore strumento dell'egemonia occidentale, bastano due parole: no grazie.

 

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Num 14 Maggio 2002 | politicadomani.it