Pubblicato su Politica Domani Num 13 - Aprile 2002

Legge 626/94
SICUREZZA NEGLI AMBIENTI DI LAVORO
Bilancio ancora pesante su infortuni e malattie di lavoro

Giacomo Virgilio

Ogni anno nell'UE ottomila persone muoiono per infortuni sul lavoro. Dei circa 120 milioni di lavoratori dell'Unione, dieci milioni subiscono infortuni industriali, o malattie professionali. Complessivamente i casi di infortuni denunciati all'Inail sono stati 1.094.939 nel '94, cifra scesa a 1.053.567 nel '98. Di questi la maggior parte (863.225) è concentrata nel settore dell'industria e nel terziario, dove si è registrata una contenuta ripresa del fenomeno infortunistico rispetto al '97. Migliore, invece, la situazione in agricoltura. Qui gli incidenti sono stati 95.587 nel '98, diminuiti rispetto ai 103.877 incidenti del '97. In confronto al resto dell'Europa la gravità media degli incidenti nel nostro paese è più elevata: i casi mortali hanno una frequenza pari a 5,3 per centomila lavoratori, contro una media U.E. pari a 3,9. Nuovi fenomeni di rischio sono legati ai cicli lavorativi e all'uso di sostanze di cui non sono noti gli effetti. Inoltre, aumentando le forme di flessibilità del lavoro, si allarga l'area delle fasce meno protette di lavoratori.Osservando queste cifre, il bilancio non appare confortante, nonostante l'introduzione nella legislazione italiana delle norme sulla sicurezza del lavoro, in particolare il decreto legislativo 19 settembre 1994, n.626 e successive modificazioni. Se infatti, nel corso degli anni Novanta sono stati ottenuti miglioramenti, specie nell'area del lavoro tutelato dal sindacato, nel periodo più recente il numero degli infortuni e delle malattie professionali risulta addirittura in crescita; gli incidenti mortali sul lavoro sono sostanzialmente stabili, mentre sono in aumento le malattie correlate al lavoro denunciate ma mai riconosciute. Naturalmente non possiamo sapere ciò che sarebbe avvenuto in assenza del decreto 626/94 che, nonostante tutti i suoi limiti e le sue ambiguità, ha innovato notevolmente la materia della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro, nonostante l'introduzione di elementi di flessibilità nella prestazione lavorativa e il diffuso ricorso al lavoro nero.
Il decreto legislativo prevede, infatti, l'introduzione della figura del responsabile aziendale del servizio di prevenzione e protezione e del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, da istituire in tutti i luoghi di lavoro. Questo segna, dunque, il passaggio culturale dalla logica del risarcimento del danno a quella della prevenzione.
Sta di fatto che molti degli obiettivi che si erano prefissi nel decreto non possono dirsi raggiunti.
Occorre interrogarsi sul perché, sui motivi principali che non hanno portato a nessun miglioramento positivo, sulle responsabilità dei vari soggetti coinvolti, ben sapendo che non basta emanare una legge perché cambino automaticamente le logiche e le culture organizzative. Tutto ciò va approfondito, non per sollevare sterili critiche o suscitare pessimismo ma, al contrario, per trarre nuovo impulso per contribuire alla soluzione di un problema sociale ed umano, quello delle morti e dell'invalidità sul lavoro, le cui dimensioni sono intollerabili per un paese che si ritiene civile.

 

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