Pubblicato su Politica Domani Num 13 - Aprile 2002

Tutela dell'ambiente e ragioni economiche
MULTINAZIONALI NEL TERZO MONDO, E NON SOLO…
Anche l'occidente è a rischio


Daniele Proietto/Maria Mezzina

Il futuro della popolazione mondiale, noi inclusi, sarà condizionato, sia dai prossimi anni, dalla soluzione che si riuscirà a dare a due fra i più drammatici problemi che già interessano numerose e vaste zone del pianeta: l'acqua e l'inquinamento. L'inquinamento ambientale in particolare impegna studiosi e politici e su di esso sono sorti partiti e si sono svolti referendum. Come accade quasi sempre però, agli studi degli esperti e alle dichiarazioni dei politici di turno non hanno fatto seguito politiche di intervento adeguate. I problemi o non sono stati risolti o sono stati trasferiti nei paesi del terzo mondo, la cui situazione ambientale è diventata quanto mai critica.È in uso da parte delle grandi aziende, soprattutto multinazionali, chiudere le fabbriche situate nei paesi industrializzati per poi riaprirle in quelli più poveri. Il vantaggio sta nel fatto che in questo modo si risparmia sul costo della manodopera. Si tratta di cifre rilevanti perché si risparmia sui salari, che sono molto bassi, sugli oneri sociali, quasi inesistenti in alcuni paesi, e sulla sicurezza sul lavoro. Soprattutto, però, si risparmia sulle normative sulla salvaguardia dell'ambiente che, se applicate, costringerebbero le multinazionali a costosi accorgimenti tecnologici e rigidi controlli.
Nei paesi poveri infatti mancano leggi rigorose di tutela ambientale, i controlli sono quasi inesistenti e, se anche ci sono, sono facilmente "addomesticabili". Gli impianti nocivi da noi, in determinate condizioni quali la vicinanza ai centri abitati o alle falde acquifere, sono fuorilegge e hanno bisogno di investimenti di milioni di euro per essere messi a norma. Nel terzo mondo invece possono tranquillamente produrre (e inquinare). I governi di questi paesi, e l'Africa è fra i più colpiti, non negano l'esistenza del problema; mantengono però un atteggiamento ambiguo e cercano sempre di evitare una chiara presa di posizione per due ragioni fondamentali: perché le multinazionali sono sempre pronte a pagare ciò di cui hanno bisogno e perché temono che provvedimenti vincolanti di tutela ambientale o di qualsiasi altra natura, potrebbero scoraggiare gli investitori stranieri e rallentare, se non persino compromettere lo sviluppo economico del paese.
Investire in Africa o in America Latina, presenta un altro vantaggio: si risparmia sul tempo degli adempimenti burocratici necessari per la concessione dei permessi. I Paesi ospitanti sono infatti disposti a velocizzare i tempi di espletamento delle pratiche, pur di foraggiare le casse (vuote) dei loro paesi con capitali stranieri.
L'intervento delle multinazionali non crea però né benessere né progresso. A causa dei debiti contratti in passato, quando l'industrializzazione sembrava essere la panacèa di tutti i mali, i soldi appena guadagnati vengono praticamente restituiti ai paesi avanzati; le fabbriche appena insediate non creano posti di lavoro in quanto giungono già del tutto automatizzate; e infine le zone prossime agli impianti industriali subiscono danni irreparabili, fino alla contaminazione delle falde acquifere.
Esiste una chiara correlazione fra inquinamento ambientale e povertà anche in Europa. In Gran Bretagna il 66% dei cancri sono causati dalle emissioni di sostanze da parte di industrie chimiche. Le industrie pericolose sono presenti nel 10% delle zone più povere del paese; è stata rilevata la presenza di 662 industrie in aree il cui reddito famigliare è inferiore alle 15.000 sterline annue e di sole 5 industrie in aree con reddito famigliare superiore alle 30.000 sterline; nel Nord-Est del paese l'80% delle industrie altamente inquinanti si trova in zone con reddito famigliare inferiore alla media nazionale; a Londra questa percentuale supera il 90%.
In Italia un mix di corruzione nella cessione dei permessi per la costruzione di impianti pericolosi nella vicinanza di centri abitati, campi coltivati e bacini idrografici, e di irresponsabilità nel controllo della sicurezza degli impianti e della eliminazione della spazzatura industriale (scarichi inquinanti, materiali di risulta, rifiuti tossici), hanno permesso la tragedia di Seveso, continuano ad inquinare le acque di Porto Marghera e l'aria di Venezia, stanno uccidendo l'ecosistema marittimo dei grandi insediamenti portuali.
(Dati e approfondimenti: www.foe.co.uk; www.greenpeace.it)

 

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Num 13 Aprile 2002 | politicadomani.it