Pubblicato su Politica Domani Num 13 - Aprile 2002

Ambiente
KYOTO DICE CHE …
I punti fondanti del protocollo di Kyoto

Claudia Mariani

L'11 dicembre del 1997, con la firma del Protocollo di Kyoto, si è conclusa una delle più importanti tappe del processo di negoziazione per il controllo del cambiamento climatico, iniziato con la Conferenza di Rio nel 1992.
Il Protocollo di Kyoto ha come obiettivo la lotta ai cambiamenti climatici del pianeta con la riduzione dell'emissione di sei gas ad effetto serra (anidride carbonica, metano, biossido d'azoto, idrofluocarburi, idrocarburo perfluorato, esafluoruro di zolfo), responsabili del riscaldamento del pianeta. Esso è stato approvato e ratificato dal Consiglio dei Ministri dell'UE il 7 giugno 2001, senza l'adesione dell'attuale Presidente degli Stati Uniti G.W. Bush, che ha sconfessato il precedente Presidente Clinton.
I Paesi soggetti a vincoli di emissioni sono più di trenta ed il tasso di riduzione delle emissioni è differenziato per ogni Paese.
Nel Protocollo, diviso in 28 articoli, i Paesi aderenti dichiarano d'impegnarsi nella riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra di almeno il 5% nel periodo 2008-2012, prendendo come valori di riferimento quelli del 1990. Durante il periodo che precede il 2008, essi s'impegnano a compiere progressi nella realizzazione dei loro impegni non oltre il 2005 e a fornirne le prove. Un primo esame degli impegni è infatti previsto entro il 2005. Per le emissioni di idrofluocarburi, idrocarburo perfluorato ed esafluoruro di zolfo, le parti possono prendere come anno di riferimento il 1995 invece del 1990.
Per il raggiungimento di questo obiettivo, il Protocollo prevede una serie di mezzi, come lo sviluppo di nuove forme di agricoltura e quello di fonti energetiche rinnovabili (parte integrante delle normative volte a rafforzare o ad iniziare le politiche nazionali di riduzione delle emissioni dei gas nocivi), fino alla collaborazione con gli altri Paesi, attraverso scambi di esperienze e informazioni, o attraverso alcuni meccanismi di cooperazione quali l'"Emission Trading", il "Joint Implementation" e il "Clean Development Mechanism".
In base all'"Emission Trading", i Paesi in grado di ridurre l'emissione al di sotto del livello imposto dall'accordo possono vendere l'ammontare mancante ai Paesi che possono aver bisogno di un livello di emissioni più alto di quello consentito (art.17). Il "Joint Implementation" prevede invece la collaborazione dei Paesi nel raggiungimento dei loro obiettivi, attuando sul territorio di un altro Paese progetti finalizzati a ridurre le emissioni di gas serra (art.6). L'ultimo meccanismo di cooperazione previsto è il "Clean Development Mechanism": i governi e anche i privati dei Paesi più industrializzati possono realizzare progetti di riduzione delle emissioni nei territori dei Paesi in via di sviluppo ed ottenere così una "certificazione" nella quale si attesta come il Paese che ha realizzato il progetto abbia comunque partecipato alla generale riduzione delle emissioni. (vale a dire: visto che non riesco a ridurre le emissioni nocive nel mio Paese lo faccio in uno di quelli in via di sviluppo e ottengo, in cambio, la mia brava certificazione, ndr.)
Il Protocollo prevede che le parti inoltre istituiscano un sistema nazionale di valutazione delle emissioni e dei pozzi di assorbimento di tutti i gas-serra.
I principi guida del Protocollo sono il "principio di precauzione" e quello della "responsabilità comune ma differenziata". Il primo esclude che un intervento per eventuali gravi danni, possa essere ritardato per mancanza di puntuale e completa comprensione scientifica. Il secondo afferma che la priorità d'azione nella lotta al cambiamento climatico spetta ai Paesi industrializzati, per il rispetto dovuto ai bisogni dei Paesi in via sviluppo.

 

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Num 13 Aprile 2002 | politicadomani.it