Pubblicato su Politica Domani Num 13 - Aprile 2002

La storia del nostro cinema
NELLA BUFERA DELLA GUERRA
Dal 1940 alla fine del fascismo

Giorgio Razzano

Nel 1940 l'Italia entra in guerra contro la Francia e l'Inghilterra, ma a Cinecittà la chiamata alle armi si fa attendere. Eppure una battaglia era già stata vinta: era stato creato un monopolio cinematografico italiano, era stata bloccata la produzione americana e si era messa in atto quella che da molti fu definita 'una vera e propria baldoria produttiva'.
I numeri testimoniano la crescita di incassi (per i soli film italiani): dal 1938 al 1940 si passò dal 13% al 34% e già nel 1942 si arrivò al 50%. In controtendenza rispetto al calo della produzione americana, dal 63% al 22%, le nostre produzioni crebbero vertiginosamente: nel 1938 si fecero 45 film, 86 nel 1940, 91 nel 1941 e, nel momento più difficile della guerra, il 1942, si arrivò a quota 100, sfiorando l'obiettivo di 120 fissato dal governo fascista. È incredibile come un'intera nazione in guerra passasse il tempo andando al cinema; a vedere poi solo film italiani, per giunta comici o commedie divertenti. Ma tutto era parte di un'abile regia attuata dal fascismo: gli sforzi del governo puntavano a indirizzare le masse popolari verso il cinema che assorbiva così l'80% di quanto gli italiani spendevano per i divertimenti. Nel 1940 furono aperte circa 200 sale rurali e nel 1941, nonostante difficoltà di ogni genere, furono aperte altre 258 nuove sale. Le case di produzione, passano da 25 a 54 e nel 1941 mettono sul mercato ben 91 film.
L'America in quegli anni produceva film di propaganda: produttori, registi, attori e maestranze si arruolarono e partirono per andare a combattere. In Italia si diceva 'bisogna fare cinema di guerra' ma ben pochi avevano voglia di mettere in scena le drammatiche scene di guerra e, piuttosto che esaltarne la triste realtà, preferivano farne dimenticare gli orrori.
Effettivamente c'era un grosso problema dietro la realizzazione italiana di un film bellico: nella realtà si andava al fronte equipaggiati male, i soldati non erano preparati ad esperienze così dure e il morire in guerra era ormai cosa quotidiana. Così era quasi impossibile una qualsiasi celebrazione di efficienza militare come invece facevano, nello stesso periodo, i film tedeschi, sovietici, e di lì a poco quelli americani. Ridotta la retorica e il trionfalismo, si puntò sul tono medio delle rappresentazioni e sui motivi umani; si preferì privilegiare l'osservazione dell'uomo nel privato, piuttosto che l'osservazione della macchina militare.
Certi film di propaganda che alcuni registi tentarono, per fare forse più un piacere al fascismo che al pubblico stesso, ebbero un tono, un alone non di avventura gloriosa, ma di mesta rappresentazione della vita che scorre, nella quale ci si può anche imbattere in qualcosa come la guerra.
D'altronde il fascismo preferiva usare tecniche di pressione e di propaganda indiretta, più efficaci in quel momento di crisi dei consumi, piuttosto che sistemi autoritari e aggressivi con il pubblico.
Il regime doveva inoltre sostituire i film americani, che erano di genere cappa e spada, western e pirati, con surrogati non pienamente riusciti, come nel filone di trascrizione dei romanzi salgariani, o a carattere storico o pseudo-storico, prodotti soprattutto da Scalera. Anche i divi italiani dovevano sostituire quelli americani; fu così creato un gruppo di attori capace di finiree nei favori del pubblico. Il tentativo era destinato a fallire perché già dagli anni trenta l'unico divo, che gli attori potevano e dovevano in un certo senso imitare, era proprio Mussolini. Alcuni registi, come Alessandro Blasetti, delusi dagli ideali di regime, lavorarono per un cambiamento sostenendo di dover rappresentare qualcosa di più vicino alla realtà, e con le loro opere davano al pubblico una immagine nuova della realtà italiana.
Nel 1943 uscì "Ossessione" di Luchino Visconti che cambiò il cinema italiano. L'8 settembre di quello stesso anno cadde il regime fascista. Fascisti e nazisti operarono un totale e quanto mai curioso rastrellamento e recupero di tutte le apparecchiature di Cinecittà, con il quale fuggirono, grazie alle autorità tedesche, su di un treno di 16 vagoni verso la Germania, ma senza una destinazione precisa. Si disse che il treno era diretto a Praga. Alla fine si fermò a Salò, dove si ebbe l'ultima resistenza. Da lì i materiali trafugati non sarebbero mai più ritornati in dietro.

 

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