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Pubblicato su Politica Domani Num 12 - Marzo 2002
L'intervista
Risponde TINA ANSELMI
(intervista fatta a febbraio 2002)
versione Integrale PD: Come è avvenuto il suo incontro con la politica?
Il mio incontro con la politica è avvenuto attraverso il mio
incontro con la guerra. Fino a quando non scoppiò la guerra non
c'erano impegni politici anzi eravamo obbligate dal regime fascista
ad incontrarci il sabato pomeriggio e in quella occasione ci veniva
illustrata la dottrina di Mussolini. Ma allora eravamo lontane dal prevedere
le conseguenze di quella dottrina. Dopo l'8 settembre in seguito alla
firma dell'armistizio, i tedeschi conclusero che noi avevamo tradito
l'alleanza ed allora si sviluppò con più ferocia e determinazione
la loro rappresaglia. Noi vedevamo passare per i nostri paesi i carri
bestiame pieni di giovani dei nostri paesi rastrellati, portati in prigione
e poi impiccati o fucilati nei viali. Facevo l'ultimo anno delle superiori,
eravamo una quarantina di ragazze, quando ci portarono ad assistere
all'impiccagione di un certo numero di ragazzi, c'erano anche dei nostri
amici e c'era anche il fratello della mia compagna di banco. A parte
il trauma che ciascuna di noi subì, fu subito naturale interrogarsi
sulla liceità di quello che stava accadendo. La dottrina fascista
diceva, nel primo articolo, che lo Stato è fonte di eticità,
niente è sopra lo Stato, niente è contro lo Stato, niente
è al di là dello Stato; dunque questo articolo giustificava
quello che avveniva e le rappresaglie che erano consumate. Naturalmente
nacquero tra di noi discussioni molto violente: chi era per la non liceità
da parte dello Stato di impiccare persone innocenti del reato per cui
venivano condannate e c'erano quelli che dicevano che lo Stato lo poteva
fare questo ed era lecito che l'avesse fatto. Da queste domande derivarono
delle risposte che andavano sostanzialmente ad affermare che anche se
si era in guerra gli ostaggi erano innocenti e non potevano essere uccisi;
da ciò venne come conseguenza il fatto che se uno Stato governa
con questi metodi, è uno Stato che non si può accettare.
Ecco, io ho incontrato la politica così. Quando sono tornata
a casa dopo avere visto le impiccagioni dei ragazzi, sapendo che quello
che avevamo visto si sarebbe chiaramente ripetuto, la prima scelta che
ho fatto è stata di dire: uno Stato che legittima queste uccisioni
non è uno Stato che si può accettare, occorre impegnarsi
per abbatterlo e per abbatterlo occorre perdere la guerra, combattere
per la pace, perché dopo la pace si possa realizzare una società
dove eccidi, uccisioni e barbarie non siano più ammessi. Ricordo
sempre un treno, uno dei tanti treni che passava sempre per la stazione
del mio paese con tutti i carri piombati, dentro c'erano ragazzi che
gridavano, avevano bisogno di acqua, avevano bisogno di cibo, facevano
passare per le fessure dei carri bestiame biglietti con gli indirizzi
delle loro famiglie perché li avvisassimo. Ecco sono queste cose,
tante cose che si possono rievocare, che segnano il confine terribile,
tra una dottrina e le sue conseguenze; una dottrina che, quando ci veniva
insegnata, non pensavamo che potesse essere portatrice di tanti delitti,
di tante cattiverie, di tante morti.
Voglio aprire una parentesi per dire che quella cultura, non è
finita con la guerra e la caduta del fascismo. Ancora oggi nel mondo
ci sono Stati che vogliono legittimare le barbarie, la pulizia etnica,
l'uccisione d'innocenti, con la giustificazione che ci sono leggi dello
Stato che questo ammettono. Pensiamo al processo dell'AIA contro Milosevich
nel quale per la prima volta si afferma che delitti contro la dignità
e la vita dell'uomo non sono giustificabili e ne risponde chiunque li
abbia voluti, anche il capo di uno Stato, con una responsabilità
che è anche personale e non solamente collettiva. Quanto è
avvenuto, e ancora avviene in tante parti del mondo, è la continuazione
di una dottrina i cui effetti, che noi vedemmo in quegli anni, non sono
ancora terminati se è vero come è vero che si tenta di
giustificarlo dicendo: "Ma questa è la legge dello Stato,
dunque io devo applicarla e per questo non sono certo colpevole".
Cosa questa che dovrebbe poi portare all'assoluzione di chi ancora,
in questi anni, in nome della pulizia etnica e in nome degli odi razziali,
porta questi principi ad una soluzione che speriamo venga cancellata
una volta per tutte.
PD: Da donna attiva politicamente fin dall'inizio della Repubblica,
come giudica l'attuale situazione politica italiana?
La politica è e deve essere partecipazione perché il paese
dove viviamo è il nostro paese e noi dobbiamo costruirlo cancellando
gli orrori e tutto quanto ha concorso a distruggere le case, le cose,
e soprattutto la vita di quei 60 milioni di morti dell'ultima guerra.
Non dobbiamo mai dimenticare per non ripeterlo, e per non ripeterlo
occorre che ogni cittadino si assuma le sue responsabilità. Non
si può delegare agli altri ciò che è una nostra
responsabilità, la delega è la rinuncia a partecipare;
ogni volta che nella storia i popoli hanno rinunciato a decidere della
loro vita e del loro futuro hanno pagato un prezzo altissimo. Ecco perché
mi preoccupa che in questi giorni ci sia quasi una cultura che esalta
la non partecipazione. Tanti pensano che il rifiuto di andare a votare
sia un segnale giusto, io penso che questo sia l'inizio di una fase
discendente della vita politica del nostro paese. Abbiamo il diritto
di voto come strumento per decidere con gli altri cittadini della nostra
vita e del nostro futuro; ebbene non dobbiamo abbandonare questo strumento
perché poi non avremmo più quel diritto di cittadinanza
che ci permette invece di orientare, di dire, di scegliere un futuro
che sarà tanto meno gravido di problemi e di pericolo quanto
più noi, tenacemente, non rinunceremo a questo strumento ma ci
abitueremo giorno per giorno a determinare con le nostre scelte quelle
che saranno poi le scelte di tutta la comunità. Mi preoccupa
che in queste ultime elezioni la gente abbia votato in misura così
scarsa. Quasi a giustificazione viene richiamata l'idea che i partiti
non sanno assolvere al loro compito e non sanno selezionare la classe
dirigente. Conosco anch'io queste obbiezioni, ma il giorno che noi rinunciassimo
veramente ad assumerci delle responsabilità ci troveremmo di
fronte ad un paese che deve correggere gli errori dei partiti, che deve
spingere i partiti ad una responsabilità, che deve custodire
la vita politica perché non cada nella corruzione, perché
non si apra una questione morale che delegittima la politica. Correggere
questi mali che la politica, anche in Italia, ha messo in evidenza non
significa liberarci dalla responsabilità di avere, anche attraverso
l'azione dei partiti, una guida del paese che permetta di risolvere
i problemi del paese, rimanendo ogni cittadino capace di vivere nella
libertà, capace di assumersi, attraverso il sistema democratico,
quelle responsabilità che altrimenti delegheremmo non sappiamo
a chi. PD: Quali opportunità sono state offerte
alle donne per partecipare al sistema democratico e alla vita politica
del paese?
Noi donne siamo state presenti nella guerra di liberazione in 32 mila,
abbiamo avuto 2500 donne uccise, impiccate, torturate. Non è
allora che queste stesse donne, finita la guerra, fossero disposte a
rinunciare ad una partecipazione che non voleva più dire rischio
di morte o di tortura, ma che era una partecipazione che impegnava ciascuna
di noi a portare avanti la libertà e, nella pace, la vita del
nostro Paese. Nel gennaio del 1945, quando la guerra era terminata,
fu riconosciuto a noi donne, solo nei territori dove era finita la guerra,
il diritto di partecipare ed esercitare la vita democratica. Noi donne
partecipammo sapendo di concorrere a costruire nel nostro Paese una
vita dove la libertà, la pace, la partecipazione fossero un patrimonio
garantito a tutti. Ci fu anche, è logico, un'azione delle associazioni
e dei partiti. Tutti gli strumenti di partecipazione furono attivati
perché le donne si facessero avanti. In quegli anni c'era tutto
da scoprire, tutto da fare ma c'era anche tanta passione e tanta volontà
di non lasciare cadere questa grande occasione. Pensiamo ai problemi
che viviamo in questi giorni. Grandi problemi perché il mondo
cammina verso una unità, e nessuno può garantire la soluzione
dei problemi della comunità nazionale, europea e internazionale.
Ebbene io qualche volta penso alla grandissima occasione che è
data a tutti, anche alle donne, di costruire un mondo nuovo con la presenza
delle donne. È la prima volta nella storia dell'umanità
che la donna può partecipare nel costruire la storia, non solo
per subirla, come era avvenuto nel passato. È importante che
le donne, che sono più della metà del cielo, siano una
forza trainante di questo cambiamento che oggi è possibile. Allora
oggi occorre essere presenti più ancora che ieri e pensare al
ruolo della donna. Basta pensare all'insistenza con cui Papa Giovanni
Paolo II insiste sulla partecipazione della donna e sul valore che ha
questa partecipazione. È arrivato a dire, qualche mese fa che
se la donna fallisse nel suo ruolo di educatrice alla tolleranza, al
rispetto, al confronto, al dialogo, l'umanità perderebbe la battaglia
per la libertà e la democrazia.
Purtroppo le donne hanno votato in misura minore che gli uomini. Dobbiamo
stare attenti che non diminuisca, non solo la partecipazione politica,
ma anche la partecipazione alla vita sociale e culturale, perché
poi il Paese è la somma di tutte queste scelte, di queste assunzioni
di responsabilità che non dobbiamo in nessun caso lasciar cadere.
Allora partecipare oggi significa vivere come in un mondo, stavo per
dire quasi affascinante, perché è proprio così,
se sappiamo guardare al mondo di oggi e a quante potenzialità
ci sono in esso, a quante cose possono esser fatte, a come è
cambiata la cultura, la mentalità; è vero sono anche caduti
i valori, ma possiamo recuperarli se avremo la volontà di assumere
la parte di responsabilità che ci è affidata. Diceva John
Kennedy in un suo discorso: è democratica la società dove
nessun cittadino si sente inutile, perché nessun cittadino è
lasciato inutilizzato. Ecco, gli strumenti di partecipazione della democrazia
sono a nostra disposizione, non facciamoceli scippare, doppiamo conservarli,
dobbiamo potenziarli garantendo tutte le libertà e dobbiamo essere
molto attenti che non ci sia una manipolazione della libertà,
una manipolazione della partecipazione, perché oggi si è
accanto agli strumenti della vita democratica e c'è il pericolo
che, soprattutto i mezzi d'informazione, manipolando la verità,
manipolando la conoscenza, portino il Paese non a crescere nella responsabilità
ma portino invece il Paese a una caduta di libertà là
dove la libertà non è sostenuta dalla conoscenza e dalla
partecipazione. Ci sono donne di frontiera: dovunque sono andata ho
trovato donne di grande coraggio e di grande tenacia, donne con una
vita dedicata agli altri, al servizio degli altri. Occorre potenziare
tutto questo perché se la partecipazione non è diffusa
la democrazia può essere messa in pericolo. Non a caso non è
un problema solo italiano, noi in Italia abbiamo questo problema: là
dove la conoscenza non precede le scelte, le scelte sono determinate
da chi è in grado di gestire il Paese perché ha in mano
i mezzi economici, perché ha in mano il sistema audio-visivo,
perché ha in mano strumenti che se non sono collegati ad una
reale partecipazione possono vedere il nostro paese in tempi molto brevi
perdere parte della sua libertà e della sua partecipazione.
PD: Crede che si possa parlare oggi, dopo 30 anni, di una vera e reale
uguaglianza legislativa e giuridica tra uomo e donna?
C'era una cultura nel Paese che vedeva con difficoltà un processo
paritario nei confronti delle donne soprattutto se pensiamo alle professioni
dalle quali la donna era stata esclusa: la magistratura, le cattedre
universitarie e l'attività, per esempio, di polizia. C'erano
professioni che automaticamente venivano scartate perché non
femminili quindi l'azione che abbiamo dovuto fare è stata di
assicurare l'accesso a queste professioni anche per le donne, e in questo
i movimenti delle donne hanno agito collegialmente per la più
parte d'accordo sulle soluzioni da dare a questi problemi. Tuttavia
siccome le leggi non cambiano da sole, in un paese c'è bisogno
anche di una cultura che affianchi e promuova la ragioni delle leggi,
basta pensare, a mio giudizio, al modo distorto in cui si sta affrontando
il problema delle case di prostituzione. Diciamo che c'era nel Paese
una cultura da rimuovere, da cambiare, e che è stato possibile
fare questo cambiamento perché abbiamo cercato in parallelo alle
leggi che di volta in volta venivano fatte anche di promuovere un cambiamento
culturale che qualche volta era un ostacolo non solo nei confronti degli
uomini ma era un ostacolo anche nei confronti delle donne.
Io direi che da un punto di vista giuridico la legislazione italiana è buona nel senso che non abbiamo leggi discriminatorie, la parità
da un punto di vista legislativo è stata realmente realizzata.
Ogni tanto c'è qualche ritorno, più di carattere culturale,
che dobbiamo essere molto attenti a non lasciar passare, perché
alla parità giuridica non sempre corrisponde una parità
di fatto. E su questo spaccato qualche volta c'è un ritorno all'indietro,
basta pensare ad alcune sentenza che ci sono state ultimamente (il marito
che può prendere a sberle la moglie quando la sberla è
rieducativa, il problema dei jeans,
). Ogni tanto il paese denuncia
che non c'è una sostanziale parità però questo
più come effetto di una cultura e di un costume che non per i
dati di carattere giuridico-formale.
Parto da una considerazione: c'è una pari dignità dell'uomo
e della donna che non va mai cancellata. Questa pari dignità
esige che il problema della prostituzione non sia un problema solo di
donne. Non è un problema solo di donne, è un problema
di uomini e di donne e quindi dobbiamo essere attenti a come ci muoviamo
perché, per esempio, citare come si continua a fare il problema
della prostituzione come un problema di tutela sanitaria vuol dire imbrogliarci
e imbrogliare il Paese perché nessuno di noi può immaginare
che la prostituzione a livelli sociali più bassi sia una prostituzione
che non nasconda veramente condizioni di schiavitù: esplicitamente
e brutalmente se una donna deve portare al suo protettore il corrispettivo
di 30/40 rapporti al giorno allora io dico che non solo questa è
una schiavitù, ma una realtà disumana. Questa realtà
però ha anche come conseguenza che non è vero che ci sia
una tutela da un punto di vista sanitario perché 30 rapporti
al giorno non garantiscono che l'uomo non possa essere infettato, anzi.
Allora con quale giustificazione si vogliono le case chiuse quando coprono
una situazione di schiavitù, di disumanità e non mettono
certamente l'uomo nella condizione di essere garantito? A parte il fatto
che voglio sapere per quale ragione la stessa tutela e la stessa garanzia
non deve essere data per la donna. Dobbiamo ragionare su tutti questi
aspetti e non darli per scontati. Chi garantisce che l'infezione viene
trasmessa col secondo, col terzo, col decimo rapporto se la media dei
rapporti va dai 30 ai 40? Questo è uno degli aspetti dove, dal
punto di vista culturale, si trovano difficoltà anche con le
donne, parlo delle donne che ti dicono "piuttosto che mio marito
cada nelle grinfie di una donna che poi lo ricatta meglio che stanno
lì, non disturbano nessuno". Pensa a quel ragazzo della
mia provincia qui di Treviso che si è ucciso perché la
polizia l'aveva fermato con una prostituta. C'è ancora una cultura
che reagisce negativamente. E però l'altra domanda terribile
che dobbiamo farci è come mai in una società permissiva
come è la nostra aumenta la domanda di sesso a pagamento? Insieme
all'interrogativo sanitario sono due le domande alle quali nessuno ha
dato una risposta.
PD: Quali sono state le commissioni a cui lei
ha preso parte e al cui lavoro è stata maggiormente interessata?
Quale è stato il lavoro svolto nell'ultima commissione di cui
lei ha fatto parte? Quali sono gli episodi di cui è venuta a
conoscenza durante i lavori di questa commissione che maggiormente l'hanno
colpita?
In questi anni ha avuto, al di là dell'incarico di Governo, che
però per me è stato un incarico molto significativo e
che dovevo vivere con molta attenzione perché era la prima volta
che una donna faceva il ministro e quindi su come lo facevo si specchiava
anche una parte dell'opinione pubblica e soprattutto era attento alla
mia esperienza il mondo femminile.
Le commissioni a cui ho partecipato: sono stata Presidente della commissione
d'inchiesta sulla Loggia Massonica P2, sono stata Presidente della commissione
per le pari opportunità fra uomo e donna, sono stata Presidente
del Comitato Italiano presso la FAO, sono stata membro della commissione
per i fatti succedutisi in Somalia da parte dei soldati italiani e un
mese fa ho chiuso la mia Presidenza della commissione che ha indagato
sull'impatto che le leggi razziali hanno avuto nella vita della Comunità
Ebraica Italiana. Ho finito il lavoro della commissione sugli ebrei,
ho già pubblicato il rapporto consegnato al Governo. Detto tra
parentesi, questo Governo che ha ereditato questa commissione non è molto interessato a far conoscere i risultati. Allora voi mettetelo
come auspicio: si auspica che il Governo diffonda e valorizzi il rapporto
conclusivo altrimenti (questo lo dico io) abbiamo lavorato tre anni
e mezzo per niente. PD: Parliamo di globalizzazione: che significato ha per lei tale vocabolo?
E cosa pensa del movimento "no-global"?
Rispetto al movimento dei "no global" io mi auguro che siamo
tutti molto attenti a quello che sta avvenendo. Ho pensato a una frase
di Moro, stavamo uscendo dalla contestazione, stavamo uscendo dal terrorismo
politico e Moro in un suo discorso disse una cosa che mi sembra molto
attuale: "prima di condannare i giovani per come ci domandano il
cambiamento domandiamoci come abbiamo risposto alla domanda di cambiamento".
Anche questo movimento di "no global" non si può fermare,
non si può condannare punto e basta, è un movimento che
va guidato perché diversamente se il cambiamento avviene attraverso
la distruzione dei valori essenziali, se il cambiamento avviene sotto
il segno della violenza, è profondamente sbagliato; se invece
avviene attraverso una ricerca serena, obbiettiva, rispettosa della
libertà del contributo di tutti allora il cambiamento sarà
un passaggio importante, purché la frontiera della libertà
e della partecipazione sia una frontiera che poniamo il più avanti
possibile. Ma cosa sarà il movimento dei "no global" dipende in larga misura anche da quello che noi tutti sapremo essere
e sapremo fare.
PD: Che cosa
pensa dell'immagine di donna che ci trasmettono attualmente i mass-media?
Che cosa pensa invece delle "donne di frontiera" che molte
volte perdono la vita per i valori in cui credono?
È sempre la cultura della donna oggetto, un oggetto di cui gli
altri dispongono. Qualche volta anche lei stessa lascia che dispongano,
perché c'è anche una sua responsabilità. Dobbiamo
rifiutare questo modo di presentare la donna. Ma guarda, nel 90% di
ciò che viene trasmesso la donna è sempre un oggetto che
veicola prodotti, comportamenti. Da questo punto di vista anche la cultura
delle donne è in arretrato perché diversamente, se venisse
rifiutato questo ruolo, molte cose cambierebbero automaticamente. Questa
donna oggetto è solo un prodotto del sesso e per il sesso. PD: Che cosa
pensa della situazione israelo-palestinese?
Per quanto riguarda la situazione palestinese chiunque di noi ne parla
con ignoranza totale o quasi totale del problema. È una cosa
troppo delicata, non voglio neanche rispondere. Prima di tutto perché
oggi, tanto per dire, ho sentito la televisione, cambiano continuamente
proposte, giudizi. Qui non sappiamo veramente sin dove questi corrano
alla distruzione. Speriamo che la proposta di Perez venga fatta valere;
ma neanche questo è sicuro. Quindi questa domanda non ha una
risposta; l'unica cosa che uno potrebbe dire è che il conflitto
arabo-palestinese è un conflitto che non può trovare soluzione
con la violenza e una guerra che si prolunghi, che va cercata la pace
perché, qualunque sia il prezzo che si paga per la pace, sarà sicuramente un prezzo minore di quello che paghiamo continuando questa
guerra terribile. Piccola Biografia di Tina Anselmi Tina Anselmi Nata a Castelfranco Veneto nel 1927,
insegnante. Partecipò personalmente alla Resistenza come staffetta della
brigata autonoma "G. Battisti" e del comando regionale del Corpo Volontari
della Libertà. Nel 1944 si iscrisse alla DC e prese attivamente parte
alla vita del suo partito. Nel dopoguerra è stata dirigente sindacale,
incaricata dei giovani nella DC, vice presidente dell'Unione Europea
femminile. Parlamentare dalla V alla X legislatura, eletta nella Circoscrizione
Venezia-Treviso, ha fatto parte delle commissioni Lavoro e Previdenza
Sociale, Igiene e Sanità, Affari Sociali, occupandosi dei problemi della
famiglia e della donna. Ha presieduto per due volte la commissione parlamentare
d'inchiesta sulla Loggia massonica P2, il Comitato Italiano presso la
FAO, è stata membro della commissione per i fatti della Somalia e ha
terminato da appena un mese la Presidenza della commissione che ha indagato
sull'impatto che le leggi razziali hanno avuto nella vita della Comunità
Ebraica Italiana. È stata tre volte sottosegretario al Ministero del
Lavoro e della Previdenza Sociale. È stata Ministro del Lavoro e due
volte Ministro della Sanità. | |
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