Pubblicato su Politica Domani Num 12 - Marzo 2002

Storia e costume
CASA (chiusa) E CHIESA
La prostituzione nell'antichità e nel medioevo

Alberto Foresi

Nihil novi sub cielo. La prostituzione, questo fenomeno che sembra accompagnare lo scorrere della storia umana sin dai suoi albori, non cessa di suscitare polemiche e prese di posizione. Al di là degli aspetti più propriamente criminali legati a tale pratica, aspetti che spesso sfociano in una sostanziale riduzione in schiavitù, è infatti riemersa un'antica querelle che vede contrapposti due schieramenti: uno che auspica, ritenendo la prostituzione ineliminabile, una rinnovata regolamentazione del fenomeno, un altro che, mirando a moralizzare i costumi della società, spinge in favore di una generale criminalizzazione di prostitute e clienti, contro i quali si invocano più rigorose sanzioni. Rilevante peso hanno in questo schieramento noti esponenti della Chiesa cattolica, i quali, nella loro missione, sembrano tuttavia dimenticare le ben diverse posizioni assunte nel passato dalla Chiesa romana, posizioni forse non più sostenibili ma che almeno non dimenticavano il fatto che l'uomo, per sua natura, è incline al peccato.
Nella società romana il meretricio, ampiamente diffuso, era ritenuto attività lecita, anche se chi lo praticava non godeva di particolare considerazione nella società, e i lupanari erano indistintamente frequentati da appartenenti a tutti i ceti sociali, dai membri dell'aristocrazia senatoria finanche agli schiavi. Con la progressiva cristianizzazione del mondo romano e il parallelo diffondersi di una visione negativa di quanto connesso alla corporeità e, in particolar modo, alla sessualità, fu avvertita l'esigenza di regolamentare la prostituzione, esigenza che troverà riscontro nel Diritto, basti ricordare le norme contenute nel Codici Teodosiano (promulgato nel 438 dall'imperatore Teodosio II) e Giustinianeo (pubblicato da Giustiniano nel 534) ove, pur tollerando la prostituzione, veniva duramente represso il lenocinio e, contemporaneamente, si prendevano iniziative volte a sottrarre le giovani da tale professione. Contemporaneamente furono soppresse le tasse sul meretricio, decisione questa che fu tuttavia di breve durata giacché esse furono prontamente reintrodotte al fine di garantire anche da tale voce gli introiti fiscali, indice questo del fatto che, Cristiani o meno, i clienti dei bordelli non scarseggiavano. E proprio la necessità di non privarsi di tale fonte di reddito sarà uno dei motivi che, nel corso del Medioevo, spingeranno esponenti della Chiesa a impegnarsi nella conduzione o nel controllo dei bordelli: nel 1309 il vescovo di Strasburgo ne fece costruire uno a sue spese, nel 1347 la regina Giovanna d'Angiò ne fece erigere uno ad Avignone, allora sede papale, organizzato a mo' di convento; papa Giulio II, agli inizi del Cinquecento, ne costruirà uno simile a Roma. Non solo. In molte città italiane sorgevano le "stufe", bagni pubblici eredi delle terme romane che spesso nascondevano ben altre attività, controllati talvolta dal Comune, talaltra, proprio per i rilevanti guadagni, tramite appalti a privati, dalla Chiesa locale e persino da abbazie.
A parte questi aspetti, connessi in fondo a cause contingenti e alla continua necessità di denaro, meritano particolare attenzione i giudizi espressi dai massimi pensatori cristiani, quali S. Agostino e S. Tommaso, in merito alla prostituzione. Costoro, infatti, attribuivano un ruolo in qualche modo positivo alla prostituzione proprio al fine di salvaguardare la moralità pubblica. Agostino, che aveva provato su se stesso la forza trascinante della concupiscenza, come ampiamente rievoca nelle Confessiones, riteneva che proprio l'esistenza dei lupanari, in cui era possibile sfogare le passioni carnali, avrebbe tutelato la virtuosità delle donne. Preoccupazioni simili si riscontrano in tutto il Medioevo allorché, di fronte alla possibilità di vietare ogni forma di meretricio, si contrapponeva il timore dell'aumento dei casi di stupro. La prostituzione era altresì vista quale garanzia della solidità dell'unione coniugale in quanto, scindendo gli aspetti ludici dalla sacralità del matrimonio, consentiva a quest'ultimo di mantenersi all'interno della morale cristiana senza indebite ingerenze. È in tale prospettiva che Tommaso giustifica la prostituzione, poiché, se mancasse una fogna ove dar sfogo alle basse pulsioni sessuali umane, "si riempirebbe di escrementi lo stesso palazzo". Sia ben chiaro, nessun teologo ha mai approvato in senso stretto la prostituzione: tale pratica viene vista solamente quale male minore di fronte alla concupiscenza umana e come deterrente dell'omosessualità maschile. Tali posizioni, pur nella condanna, sembrano riconoscere l'esistenza di pulsioni fisiche talmente forti da poter essere superate solo da pochi al termine di un lungo e faticoso cammino ascetico. Per gli altri uomini la tentaz ione è sempre in agguato e, pertanto, è più opportuno che sia indirizzata in modo da non arrecare eccessivi danni. Emerge, infine, una scissione nella società e, in particolar modo, nella visione della donna. La donna è o Eva, colei che cedendo al peccato e irretendo Adamo aveva provocato la perdita della purezza originaria, o Maria, colei che, concependo vergine il Cristo, aveva ritrovato, secondo Agostino, la primigenia armonia di Eva: sembrano non esservi, almeno in teoria, posizioni intermedie. E, in qualche modo, tale frattura la ritroviamo nella contrapposizione tra prostituta e moglie, che altro non è, in fondo, se non la riproposizione del contrasto manicheo tra tenebre e luce, materiale e spirituale.


PER SAPERNE DI PIÙ

- Peter Brown, Il corpo e la società. Uomini, donne e astinenza sessuale nei primi secoli cristiani, Einaudi, Torino 1992.
- Jacques Rossiaud, La prostituzione nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari 1984.

 

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