Pubblicato su politicadomani Num 105 - Luglio 2010

La manovra europea

di Marco Vitale

La mia risposta esprimeva un parere netto e quindi potevo chiuderla lì. Ma il rispetto del lavoro prezioso che Tu fai con “politicadomani” mi induce a darti, con calma, una risposta più articolata e approfondita. Innanzi tutto osservo che Tu mi chiedi una riflessione sulle “misure decise dall’Europa per “superare la crisi””, ed io Ti ho risposto a caldo con un commento sulla manovra finanziaria italiana che, solo per semplificazione, chiameremo manovra Tremonti. Questa apparente confusione è molto significativa. Infatti tra le misure decise dall’Europa e la manovra finanziaria di Tremonti esiste uno stretto legame. Sono due momenti della stessa politica. Sono entrambe figlie della stessa necessità primordiale: non buttare via i frutti migliori degli sforzi di integrazione europea che sono la realizzazione più importante degli ultimi 60 anni; non distruggere l’euro che è l’unica cosa buona che lasciamo ai nostri figli, pur con le sue insufficienze e debolezze; sopravvivere.

L’Europa è sotto attacco
L’Europa è sotto attacco e siamo ad alto rischio. è sotto attacco perché non ha saputo rispondere, con la necessaria convinzione, alla grande chiamata della Storia che proprio la crisi finanziaria le ha inviato, come spiego, nel capitolo 10 del mio libro. La Storia non fa mai sconti. Quando non si risponde alle sue chiamate, si paga sempre il prezzo del rifiuto. L’Europa e l’euro sono sotto attacco per cinque motivi di fondo. Perché l’Europa non ha risposto alla chiamata della Storia che la crisi le ha inviato; perché a finanze pubbliche già deboli si è aggiunto il costo dei salvataggi bancari e degli interventi di sostegno al lavoro ed alle imprese necessari per non essere travolti dalla congiuntura; perché la crisi ha messo a nudo le debolezze delle economie prevalentemente monoprodotto tipo Spagna (costruzioni), Inghilterra (finanza), Grecia (turismo); perché, cogliendo tutte queste debolezze, la speculazione finanziaria, si è mossa contro l’euro e contro l’Europa. La speculazione è fatta da migliaia di operatori che fanno il loro dovere: cogliere i punti deboli del sistema e scommettere contro, alla ricerca di “capital gain” nell’interesse dei loro clienti. La speculazione è un anticorpo fisiologico, utile al sistema. Pensiamo al 1992 quando la speculazione internazionale e solo la speculazione internazionale costrinse il governo italiano ad approvare l’unica finanziaria veramente forte degli ultimi venti anni, i sindacati ad assumere una posizione responsabile, gli imprenditori a tirarsi su le maniche e ristrutturare le imprese. E l’Italia si salvò e riuscì a rimanere attaccata al carro europeo. Non oso neanche pensare che fine avremmo fatto, altrimenti. Anche ora la speculazione internazionale ha avuto anche effetti positivi: ha, almeno in parte, ricompattato l’Europa costringendo tutti (ad eccezione della solita Inghilterra), sia pure con fatica, a farsi carico dei problemi comuni; ad improvvisare misure di intervento che, forse, rappresentano una violazione del trattato di Maastricht (come dicono i professori tedeschi) ma che sono un grande passo avanti politico nel processo di integrazione europea; a darsi una linea comune di interventi di riduzione della spesa pubblica contro i deficit correnti, la cui determinazione ed applicazione è lasciata ai singoli paesi, ma che, nel loro insieme, rappresentano una politica comune.

Obama contro i nababbi di Wall Street
Ma, questa volta, il pericolo è molto più elevato e persistente. Prima di tutto, perché la speculazione non è inquadrata in nessuno dei vincoli e limiti seri che fanno la differenza tra un mercato ed un casinò (anche se in verità anche i casinò hanno delle regole e dei vincoli seri, per cui è più giusto parlare di casino, senza accento). Se non creiamo un mercato serio, dovremo sempre fronteggiare la violenza selvaggia di un mercato che assomiglia sempre di più ad una giungla che ad un mercato. In secondo luogo perché la vicenda europea rappresenta anche un fronte dello scontro durissimo in corso in America tra i nababbi di Wall Street ed il popolo americano, rappresentato dal presidente Obama. Come ho scritto nel capitolo 9 del mio libro, Obama ha mostrato una incredibile debolezza verso i nababbi di Wall Street ed ora che questi sono stati risanati con i soldi dei contribuenti e sono ritornati più forti ed arroganti di prima, si trova in grande difficoltà. Pressato dal popolo, che gli ha già mandato segnali di insoddisfazione e preoccupato dalle prossime scadenze elettorali, Obama sta cercando di ricuperare lo spazio perduto. Per la prima volta, direttamente ed attraverso la SEC ed altre agenzie federali, ha mandato dei segnali di severità nei confronti dei nababbi di Wall Street. E questi, a loro volta timorosi di vedere intaccato il loro smisurato ed irresponsabile potere, cercano di allargare il fronte, per confondere le acque, per tirare altri nella mischia, per distrarre e diluire l’attenzione del governo americano, per spaventarlo ed insieme a lui spaventare gli altri governi. Per questo l’attacco contro l’Europa è così virulento e tornerà alla carica quanto prima. Per questo Obama si è schierato a fianco dell’UE. Perché ha capito, finalmente, che senza l’Europa non andrà da nessuna parte e che lui stesso è al governo del paese più indebitato del mondo. Non parliamo di congiure. Ma come esisteva sino a poco fa il c.d. “consensus di Washington” che ha ispirato la linea economica negli ultimi venti anni, oggi esiste un “consensus di Wall Street”, i cui esponenti (poche decine di persone che vivono vicino, leggono gli stessi giornali, si trovano a colazione negli stessi club, vanno in vacanza negli stessi luoghi, hanno interessi ed una visone comune e la capacità di indirizzare agenzie di rating, grandi movimenti finanziari, squadre intere di economisti pennivendoli, pronti ad avallare le tesi che servono ai padroni, quelle tesi che si respirano nell’aria) cercano di scaricare sull’euro e sulla instabilità finanziaria mondiale parte dello scontro che hanno in atto con il presidente Obama.

L’Europa deve prendere in mano il proprio destino
Per questo l’Europa deve svegliarsi, riscattarsi, prendere in mano il proprio destino. La cosa più urgente era calmare l’incendio e questo spiega le severe politiche di contenimento e riduzione della spesa pubblica che sono state avviate. Ciò era urgentissimo ed indispensabile e non c’era né tempo né spazio, per divagazioni “letterarie” sul tema.
Basta questo? Certamente no. è necessario che l’Europa si doti di uno schema e di strumenti di intervento per fronteggiare l’esplosione di nuove crisi finanziarie “intramoenia”; che si organizzi come Europa almeno a due velocità a seconda degli stadi di integrazione reale dei vari paesi; che risolva una volta per tutte il legame ambiguo con l’Inghilterra che deve diventare un paese associato e non amico e nulla più; che dia una qualche solidità ed autonomia al bilancio dell’Unione; che si decida a fare una grande emissione di bond europei per affrontare i temi dello sviluppo con un grande programma di investimenti, che metta a punto una politica articolata e finalizzata di sviluppo, dato che il patto di Lisbona è morto.

Perché Joseph Stiglitz sbaglia
Stiglitz nell’articolo che citi, sbaglia varie volte. In primo luogo dimentica che il disastro mondiale iniziò quando il 15 agosto 1971 Nixon decise di sganciare il dollaro da ogni disciplina e parametro finanziario. La disciplina ed i parametri finanziari sono essenziali. Si possono aggiustare, adattare, sospendere in momenti eccezionali, ma senza disciplina e parametri comuni c’è solo l’economia casino. In secondo luogo Stiglitz fa retorica quando afferma che un’operazione di rientro del debito pubblico, comporta “enormi sacrifici”. Non è vero ed approfondirò il punto quando parlerò del debito italiano. In terzo luogo sbaglia quando dice che la solidarietà europea fra Stati non funziona. Obtorto collo, con l’amaro in bocca, ha funzionato. Ma non è e non deve essere gratis. In quarto luogo sbaglia quando dice che le leggi europee costringono gli stati più deboli a tagliare le spese. Non è vero. è la Germania quella che ha fatto e sta facendo i tagli maggiori (seguita da Francia ed Inghilterra), che ha assunto, in questo campo, una forte leadership. In quinto luogo sbaglia quando cita come esemplare il fatto che gli americani abbiano chiesto alla Cina di aumentare il valore dello yan sul dollaro, per contrastare la prepotenza economico-commerciale di Pechino. Bisogna, invece, spingere nella direzione che la Cina, che è guidata da persone molto sagge, ha già iniziato a percorrere: aumentare i salari e stipendi interni per spostare l’economia cinese più verso i consumi interni che verso le pure esportazioni. In sesto luogo sbaglia quando dice che in un gruppo di paesi aggregati bisogna ragionare sulla base dei surplus locali di entrate e che bisogna penalizzare chi è più forte ed efficiente. In un’economia aggregata o integrata non bisogna più ragionare per surplus ma per temi e centri di sviluppo, ponendo al centro l’occupazione e gli investimenti. Nessuno in Europa vuole “spirali di morte”, come scrive Stiglitz, ma questa crisi ci ha fatto definitivamente capire che dobbiamo uscire dalla spirale di un finto sviluppo sostenuto dal debito pubblico e dall’assistenzialismo . Questa è la vera spirale di morte. Se non capiamo questo, cosa che hanno capito persino in Africa, questa crisi non ha veramente insegnato nulla. La Merkel vara una manovra di 80 miliardi di euro in quattro anni, che prevede, tra l’altro, il taglio di 15mila statali. Evviva la Merkel, anche se Roudini dice che si tratta di un errore perché, invece, in Germania bisognerebbe rilanciare i consumi. Io credo di più a Davide Riccardo che diceva che la diminuzione del debito può influenzare positivamente la spesa delle famiglie perché rassicura sulle prospettive future. Quel taglio apre gli spazi per altri investimenti, per altro lavoro più produttivo, per nuovi sviluppi, per nuovi diversi e migliori posti di lavoro, per nuovi consumi, per come dici tu, “nuovi stili di vita improntati a serietà e sobrietà generalizzati”. L’ipotesi “a bocce ferme” è un’ipotesi assurda in economia dove tutto si muove continuamente, tutto si influenza reciprocamente. Se non usciamo dal ricatto delle misure e del pensiero congiunturale, se non sappiamo elaborare nuovi schemi e direzioni di sviluppo, se continuiamo sempre a ragionare sul breve termine, siamo spacciati. Cosa faremo noi italiani, quando, finalmente, ci renderemo conto che il taglio di statali che dobbiamo affrontare è sull’ordine di 1.5 milioni di addetti?

A colpi di machete (necessari)
Per riprendere la Tua domanda, le misure europee in corso non elimineranno totalmente eccessi e sprechi, e neppure in misura sufficiente. Ma rappresentano un buon inizio, per creare spazi nei quali inserire, come dici tu correttamente, nuovi impegni su scuola, cultura, informazione corretta, cambi di stili di vita improntati a serietà e sobrietà. Ma se non si incomincia a disboscare la giungla, la speculazione ci travolgerà. Ed il disboscamento della giungla si fa a colpi di machete, non di fioretto. Questi non sono tempi di eleganti dibattiti. Sono tempi di guerra. Dobbiamo calcare l’elmetto sulla testa ed indossare un giubbotto antiproiettile. Dopo Federico II e sino ai nostri giorni la Sicilia ha avuto un solo governante degno di questo nome, il viceré Caracciolo (1781-1786), napoletano onesto, competente, tenace, di raffinata intelligenza, di cultura ed esperienza internazionale. Fu suo il più importante programma di riforme, dal 1200, a favore dell’agricoltura siciliana che doveva mantenere, in un lusso a livello dei maggiori del mondo, 142 principi, 788 marchesi, 1500 duchi e baroni e le loro famiglie oltre ad una sterminata legione di enti religiosi. Una signora di rango richiedeva, per sé sola, una dozzina di servi personali, quasi come un segretario di partito dei nostri giorni. Sull’onda delle riforme di Caracciolo, un gruppo di nobili siciliani arrivò a chiedere che il re rendesse illegali i loro stessi sperperi che li stavano portando alla rovina; chiese, insomma, che venisse loro imposta una specie di cintura di castità. Noi siamo, più o meno, nello stesso stadio e dovremmo avere la forza di fare una richiesta analoga, se non per convinzione e responsabilità, almeno per paura.

 

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