Pubblicato su politicadomani Num 105 - Luglio 2010

La manovra Tremonti

di Marco Vitale

Con il che siamo arrivati alla manovra Tremonti, per la quale mi riferirò alla sua impostazione iniziale, anche perché le variazioni annunciate non sembrano, per ora e per fortuna, distorcere troppo l’impianto iniziale. solidi


Pilastri solidi per una politica di lungo termine
La manovra Tremonti merita il pieno appoggio per quattro motivi indiscutibili:

  • perché è indispensabile per ragioni di sopravvivenza, imposte dal mercato finanziario internazionale;
  • perché è parte della più generale manovra europea ed è con la stessa coerente;
  • perché, per la prima volta in modo serio, anche se in misura modesta, cerca di intaccare il costo mostruoso del nostro apparato pubblico e politico;
  • perché cerca di indicare una direzione di marcia ed uno spazio temporale che va oltre il tempo breve ed insufficiente di una finanziaria.

È troppo facile criticare provvedimenti di questo tipo elencando tutto quello che in essi non c’è. Nelle finanziarie mancano sempre moltissime cose che in una finanziaria non ci possono e non ci devono essere. Noi dobbiamo parlare e giudicare di quello che c’è. E nella manovra Tremonti ci sono essenzialmente le quattro cose che ho sopra elencato. Tutte e quattro indispensabili e perciò giuste e corrette. Vi è, del resto, un test assoluto della correttezza del provvedimento, ed è che esso, si dice, non è piaciuto per nulla a Berlusconi; ed infatti Berlusconi non ha mai capito niente di questa crisi, della sua portata, della sua profondità, della posta in gioco, ed ha sempre mandato agli italiani messaggi sempliciotti e fuorvianti.
Certamente il provvedimento contiene delle iniquità che in Parlamento potranno, in parte, essere corrette, ed è difficile fare uno strumento equo se ci si preclude, per principio, anzi per propaganda, l’uso dello strumento fiscale. Ma i quattro punti sopra indicati rappresentano dei pilastri solidi ed indiscutibili per una politica di lungo termine, che, se perseguita in modo graduale ma coerente, in non meno di un decennio, potrà allentare la morsa del debito pubblico e del costo mostruoso della macchina dell’amministrazione pubblica e politica che tiene inchiodato il Paese e lo terrà inchiodato sino a quando non affronteremo seriamente il problema. Non con una finanziaria ma con un progetto a medio termine che coinvolga l’intero Paese. Non è certo un caso che la Merkel abbia articolato il programma del governo tedesco sull’arco di quattro anni.
Su questo punto il libro più serio, documentato e convincente che conosco è il libro di Luigi Cappugi, intervistato da Roberto Bencivegna: Il Vulcano maledetto (Ed. Rai-Eri, 2007). Cappugi non è solo un bravo economista, non è solo forse, il maggior esperto attuale sulla natura, dimensioni, meccanismi della spesa e del debito pubblico, ma è soprattutto uno dei rari economisti veramente liberi.

Il debito pubblico, Idra dalle sette teste
«Ma, Vitale, Lei crede veramente che il debito pubblico elevato sia un problema serio per l’Italia?» Così mi apostrofò, all’inizio degli anni ’90, uno degli uomini politici più potenti del tempo, un grande democristiano. Io pensavo che lo fosse e lo penso ancora. Lui pensava di no, perché la domanda era evidentemente retorica. E come lui la pensavano e la pensano la maggior parte degli italiani. Lo dimostra la reazione irresponsabile dei più a questa finanziaria che, oltre ad assicurare una manovra minima (ma veramente minima, una manovra adeguata avrebbe dovuto essere di entità almeno doppia!) di sopravvivenza, cerca di intaccare il mostruoso peso della macchina pubblica, le cui dimensioni, il cui costo e la cui inefficienza, tengono inchiodato il paese al punto di partenza.
Cappugi, con parole piane e convincenti, comprensibili dalla casalinga di Voghera, spiega perché il grande debito pubblico e soprattutto i comportamenti che lo determinano, rappresentino il vero grande problema del nostro Paese, un vulcano maledetto sul quale stiamo seduti da incoscienti:
«Non possiamo far finta che il problema dei conti e del debito pubblico non esista: sono una delle principali cause del declino e l’opinione pubblica non lo sa perché nessuno glielo spiega. è la palla al piede che rallenta lo sviluppo e rende incerto il futuro».
La spesa pubblica assorbe almeno il 50% del reddito prodotto ogni anno in Italia; i 4 milioni circa di dipendenti pubblici (nessuno sa con certezza quanti sono, così come nessuno sa con certezza quante sono le auto blu o grigie o bianche se in leasing, perché mancano database centrali e affidabili) sono, sulla base di discutibili ma ragionevoli confronti internazionali, in eccesso di almeno 1.5 milioni; questo eccesso di burocrazia è all’origine di tante attività e procedure pubbliche improduttive per cui il costo è doppio: la spesa viva in eccesso di circa 100 miliardi di euro ogni anno, pari ad almeno quattro finanziarie e la perdita di tempo e di produttività dalla stessa indotta (per aprire una carrozzeria occorrono 76 adempimenti che riguardano 18 pubbliche amministrazioni diverse); a questa enorme spesa pubblica corrispondono servizi e prodotti profondamente insoddisfacenti con un rapporto qualità/ prezzo di norma inaccettabile.
L’enorme spesa pubblica corrente costringe ed umilia la spesa per investimenti dei quali c’è, invece, un drammatico bisogno: il 38% delle vittime europee delle alluvioni è italiano; abbiamo il massimo numero tra i paesi sviluppati di poliziotti (0,55 poliziotti contro la media europea di 0,25 per 100 residenti) e magistrati per 100 mila abitanti e la durata massima, probabilmente mondiale, dei processi; abbiamo una pressione fiscale elevata e dunque, malamente e sperequamente, paghiamo un sacco di imposte e la nostra benzina è la più cara d’Europa, la nostra energia elettrica è la più cara d’Europa ed una delle più care del mondo, le tariffe assicurative sono il doppio della media europea, i treni con l’eccezione di quelli di lusso fanno schifo e nelle ASL si devono attendere mesi per un’analisi.
è il debito pubblico crescente che, negli ultimi 25 anni (era un ragionevole 57% del PIl nel 1980), ha permesso all’Italia di consumare più di quanto abbia prodotto, sostenendo il livello di vita, elevata per larga parte del Paese, a spese di investimenti, di ricerca scientifica, di interventi di sviluppo ed a favore dei ceti deboli e dei giovani, arricchendo a dismisura ceti ristretti e, finanziando, attraverso la corruzione, la malavita organizzata; nel frattempo abbiamo prodotto un numero smisurato di leggi e regolamenti la maggior parte dei quali servono solo ad autogiustificare la burocrazia in eccesso (per uno stock di 33.000 leggi nazionali più 18.000 leggi regionali, contro le 7000 in Francia e le 5.500 in Germania).
Il debito pubblico che risulta da questa micidiale convergenza di malgoverno e di comportamenti sociali viziati e corrotti, pari ad oltre 27.000 euro a testa, in valore assoluto il più alto dell’UE ed il terzo al mondo dopo Giappone e USA, impedisce gli investimenti, rende difficile affrontare seriamente il tema dell’occupazione, diluisce ogni senso di responsabilità personale e collettivo, mette a rischio la nostra tenuta nell’euro, ci rende facili ed indifese vittime sacrificali della speculazione finanziaria internazionale, ci toglie serenità e tranquillità perché ogni temporale ci appare un tornado, rende il nostro presente doloroso ed il nostro futuro precario. Una finanziaria non può rimuovere tutto questo. Ma può mandare un messaggio serio, può dare il la, può indicare la direzione da percorrere, può chiamare a raccolta le persone di buona volontà. Tutto questo contiene questa finanziaria ed è per questo, che è una buona finanziaria. Purtroppo le reazioni beluine che ha suscitato, confermano che il Paese è molto, molto malato.

 

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