Pubblicato su Politica Domani Num 1 - Gennaio 2001

GUERRA IN MEDIO ORIENTE

 

La guerra tra palestinesi e israeliani, iniziata nell'immediato dopoguerra della seconda guerra mondiale, non sembra voler trovare una fine. Si potrebbe stilare una cronaca degli scontri che solo in questi ultimi mesi hanno mietuto centinaia di vittime in entrambe le parti, e ritrovare una causa certa ed unica, al di là di quello che riportano i mass media , è da ritenere impossibile. Da un lato, il popolo palestinese che, più di cinquant'anni fa, si è visto togliere la terra che riteneva gli appartenesse da secoli; dall'altro un popolo, quello israeliano, che non ha mai avuto una patria e che ha ottenuto la biblica "terra promessa" come riscatto per le umiliazioni subite durante il genocidio perpetrato dai nazisti. Così, se i palestinesi nutrono nei confronti del popolo ebraico un odio atavico, non mancando di sottolineare le differenze sostanziali sul campo della religione e, più in generale, della cultura, gli israeliani respingono ogni attacco che possa minare l'unità di uno Stato creato con fatica. Inoltre, tra i palestinesi è proprio la gente comune che, armata di sassi, combatte la sua crociata, anche e soprattutto contro l'autorità palestinese, il cui capo, Arafat, cerca da mesi un accordo diplomatico che sembra non dover nascere, nonostante la collaborazione delle autorità turche ed egiziane unitariamente a quelle europee ed americane siano fortemente dirette verso la pace; tutta Israele è invece unita nella propria difesa, autorità ed esercito compresi, facendo risultare vano qualunque accordo o mediazione delle potenze internazionali. Agguato risponde ad agguato, morti palestinesi si accumulano su morti israeliani, sassi combattono contro fucili, religione islamica si impone contro religione ebraica e viceversa. Quale di questi perni dovrà saltare per poter giungere a una pace che , se ottenuta, entrerà sicuramente nella storia della nostra civiltà? Uno dei due cederà o, come i libri di storia insegnano, due popoli verranno condotti allo stremo delle forze e all'assoluta perdita della propria dignità, prima di giungere a una tregua? I potenti della terra sono tutti coinvolti nella ricerca di un accordo di pace, ci si chiede se tale coinvolgimento abbia prettamente uno scopo umanitario o se, come in tutti gli accordi diplomatici, tutti i contraenti possiedano propri interessi. È indubbio il ruolo politico che le comunità ebraiche detengono soprattutto negli Stati Uniti, ed è indubbio il grande patrimonio petrolifero che gli Stati arabi possiedono. In una vicenda così complessa l'ultima parola sta ai diretti interessati, alla volontà cioè di Barak e Arafat di trovare la pace, di calmare gli odii reciproci, di attuare una svolta storica. Aspettiamo perciò che questa volontà, nel caso fosse già presente, si rafforzi velocemente prima che passi troppo tempo e che troppi interessi 'umanitari', economici, politici, entrino in gioco e aumentino il peso delle responsabilità di due popoli in conflitto sin dalla nascita delle loro culture.

Marianna Bartolazzi
Simona Ottaviani

 

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Num 1 Gennaio 2001 | politicadomani.it