Impegno, dottrina e giustizia sociale
Teologia della Liberazione e America Latina. La risposta della Chiesa di Roma
Dopo il Concilio Vaticano II molti cattolici in America Latina furono impegnati a vivere e diffondere una fede attiva fino ad entrare a far parte dei governi. Le puntualizzazioni della Chiesa ufficiale rispetto al movimento.
di m.m. | Mar 2013
Era da poco finito il Concilio Vaticano II che in America latina ebbe inizio una riflessione teologica con la riunione del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM) di Madellín (Colombia) del 1968 nella quale si poneva l’accento sui valori della emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano.
Il contesto storico in cui nacque e si affermò la Teologia della Liberazione è quello delle dittature militari e dei regimi repressivi. Di fronte all'aggravarsi della crisi politica e sociale latinoamericana, i rappresentanti della gerarchia ecclesiastica sudamericana presero posizione in favore delle popolazioni più diseredate e delle loro lotte, pronunciandosi per una chiesa popolare e socialmente attiva. In questo contesto alcuni teologi si impegnarono ad elaborare proposte che sfociarono nella dottrina della TdL. Fu allora che sorsero e si diffusero in tutti i paesi le comunità ecclesiali di base (CEB), nuclei ecumenici impegnati a vivere e diffondere una fede attivamente partecipativa dei problemi della società (in Brasile ne nacquero circa 100.000), molti cattolici, sacerdoti e laici, presero parte alle lotte anche armate contro la dittatura ed entrarono a far parte dei governi.
Nel 1979, durante la terza riunione della CELAM a Puebla (Messico) furono riaffermati e sviluppati i principi di Medellín, ma si evidenziò l'emergere di una forte opposizione da parte di settori più conservatori della gerarchia ecclesiastica alle tesi della Teologia della Liberazione. È di allora il celebre discorso di papa Giovanni Paolo II, in cui egli pone un argine deciso alle posizioni meno conformi alle posizioni ecclesiali più convenzionali.
«Questa III Conferenza - dice il Papa - […] dovrà prendere come punto di partenza le conclusioni di Medellín, con tutto quanto hanno di positivo, ma senza ignorare che a volte hanno avuto errate interpretazioni e che esigono sereno discernimento, opportuna critica e chiare prese di posizione».
Il papa non rimane per tutta la conferenza ma raccomanda ai Pastori di essere “Maestri della Verità. Non di una verità umana e razionale, ma della Verità che viene da Dio”. E, in una serie di punti indica chiaramente ciò che lo preoccupa:
- Il pericolo di “riletture del Vangelo, che sono risultato di speculazioni teoriche ben più che di autentica meditazione della parola di Dio e di un vero impegno evangelico. E che causano confusione, se si allontanano dai criteri centrali della fede della Chiesa e si cade nella temerarietà di comunicarle, come catechesi, alle comunità cristiane”.
- Il fatto che “in alcuni casi, o si tace la divinità di Cristo, o si incorre di fatto in forme di interpretazione contrarie alla fede della Chiesa”. Per cui “Cristo sarebbe solamente un profeta, un annunciatore del Regno e dell’amore di Dio, ma non il vero Figlio di Dio, e non sarebbe pertanto il centro e l’oggetto dello stesso messaggio evangelico”.
- Oppure che “in altri casi, si pretende di mostrare Gesù come impegnato politicamente, come uno che combatte contro la dominazione romana e contro i potenti, anzi implicato in una lotta di classe. Questa concezione di Cristo come politico, rivoluzionario, come il sovversivo di Nazaret, non si compagina con la catechesi della Chiesa”, ammonisce il pontefice. Anzi, Gesù “Rifiuta inequivocabilmente il ricorso alla violenza. Offre il suo messaggio di conversione a tutti, senza escludere gli stessi pubblicani. La prospettiva della sua missione è assai più profonda. Consiste nella salvezza integrale per mezzo di un amore trasformante, pacificatore, di perdono e di riconciliazione”.
Il papa richiama all’amore alla Chiesa che “deve essere atto di fedeltà e di confidenza”.
“È un errore - egli dice - affermare che la liberazione politica, economica e sociale coincide con la salvezza in Gesù Cristo; che il Regnum Dei si identifica con il Regnum hominis. Così “Si ingenera, in alcuni casi, un atteggiamento di sfiducia verso la Chiesa istituzionale o ufficiale, qualificata come alienante, e alla quale si opporrebbe un’altra Chiesa popolare, che nasce dal popolo e si concreta nei poveri”.
“La Chiesa vuole mantenersi libera di fronte agli opposti sistemi, così da optare solo per l’uomo, quali che siano le miserie o le sofferenze che lo affliggono; e questo non per mezzo della violenza, dei giochi di potere, dei sistemi politici, ma bensì per mezzo della verità sull’uomo, in cammino verso un futuro migliore”. “Nasce di qui - egli spiega - la costante preoccupazione della Chiesa per la delicata questione della proprietà”, riguardo la quale, precisa, “acquista carattere urgente l’insegnamento della Chiesa, secondo cui su tutta la proprietà privata grava un’ipoteca sociale”.
“La Chiesa ha il dovere di annunziare la liberazione di milioni di esseri umani, il dovere di aiutare affinché si consolidi questa liberazione - chiarisce il papa che cita più volte Paolo VI (Evangelii Nuntiandi, 30)-; però ha anche il dovere corrispondente di proclamare la liberazione nel suo significato integrale, profondo, come lo ha annunziato e realizzato Gesù: ‘Liberazione da tutto ciò che opprime l’uomo, che è però, innanzitutto, salvezza dal peccato e dal maligno, nella gioia di conoscere Dio e di essere conosciuto da lui’. Liberazione fatta di riconciliazione e di perdono”.
È una doccia fredda per gli ideologi e i protagonisti della Teologia della Liberazione i quali furono progressivamente allontanati dai vertici della gerarchia. Ma è una delusione anche per tutti coloro che in quegli anni avevano acceso la speranza nei cuori di milioni di diseredati del Sud delle Americhe. La dottrina mai venne a mancare, troppo forte il messaggio di vicinanza ai poveri e di speranza di riscatto dalla schiavitù delle ingiustizie economiche e sociali. Né fu possibile dimostrare la sua incompatibilità con la Dottrina Sociale della Chiesa, ma solo fu necessario chiarire e rettificare alcuni suoi aspetti un po’ troppo distanti dalla posizione teologica della Chiesa ufficiale.
A chiarire gli aspetti conformi e quelli difformi dalla dottrina della Chiesa venne chiamato Joseph Ratzinger come Prefetto della Congregazione ella Dottrina della fede che pubblicò a questo proposito un documento e due studi importanti: “Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione” (1984), Libertatis Nuntius (1984) e Libertatis Conscientia (1986).
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