Nuove frontiere - Il Paesaggio è risorsa per lo sviluppo
Progettare il paesaggio, rimettere in moto il Paese
Gli ultimi eventi normativi sono stati vissuti dalle forze migliori del Parlamento e dal paese come un attentato alle nostre più importanti risorse pubbliche: le coste, il territorio, i beni della cultura e dell’arte. È un attentato che solo l’autorità e la lungimiranza del Presidente della Repubblica sono riuscite a sventare. Mentre, in sostanza, è al “buon governo” delle Regioni che sono affidate le nostre migliori risorse pubbliche. L’excursus mette in guardia chiunque abbia a cuore un patrimonio eccezionale e unico al mondo, che appartiene a noi e alle nostre generazioni future.
di Rosaria Amantea | May 2013
Le tentazioni

Dopo appena due anni da quel 1° aprile del 2009 in cui venne approvato il “Piano casa”, ovvero nel Decreto Sviluppo approvato dal Consiglio dei Ministri il 5 maggio 2011 (pubblicato in G.U. - Serie Generale n. 110 del 13 maggio 2011) si annidava un’altra insidia relativa alla disposizione di nuove norme in materia di gestione della fascia costiera e si proponeva che il diritto di superficie sugli arenili venisse esteso a 90 anni (ovvero una intera esistenza, ovvero per sempre!). Fortunatamente tale contenuti avevano provocato un tale sobbalzo (ambientalisti, associazioni,etc.) che la norma fu drasticamente rivista in fase di approvazione con l’accoglimento di 130 emendamenti che di fatto disinnescarono il potenziale distruttivo che tali disposizioni avrebbero determinato.
Il Decreto Sviluppo, passato all’approvazione del Quirinale e approdato alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (13 maggio 2011) vedeva un drastico taglio temporale che portava quel diritto di superficie da 90 a 20 anni; il Decreto passato alla approvazione delle Commissioni Bilancio e Finanze della Camera (14 giugno 2011) abrogava la norma sui diritti di superficie sulle spiagge.
Il dibattito nelle settimane precedenti all’approvazione in Consiglio dei Ministri relativamente a quella versione originale del testo che riportava la durata del diritto a 90 anni fu molto aspro, e solo per uno “stop” del Quirinale il testo approdato in Consiglio per l’approvazione era stato modificato.
Inoltre il Colle aveva imposto anche un miglior raccordo del regime introdotto dal DL con la normativa comunitaria visto che il provvedimento aveva fatto sobbalzare anche l’UE, che aveva valutato il Decreto in contrasto con i «principi comunitari di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità»; anche a livello nazionale il Presidente di Federconsumatori aveva annunciato il ricorso alla Corte Costituzionale per i paventati effetti del decreto non solo relativamente alla durata delle concessioni, ma anche perché questa operazione “significa una minore concorrenza, un forte pericolo di cementificazione e un aumento dei costi dei servizi balneari, già di per sé molto salati”.

Ma non è finita: di nuovo quel Decreto rilanciava un “Piano Casa 2” con il ritorno in auge del consumo di territorio attraverso il perpetrare dei “bonus” in cubatura, questa volta estesi spregiudicatamente oltre l’edilizia residenziale: riparte infatti, con il Decreto Legge in questione, il cosiddetto Piano Casa per effetto del quale non solo verranno riaperti i termini per i piani regionali (e i relativi incentivi alla demolizione e alla ricostruzione) ma verrà previsto un premio di volumetria del 10%, anche per gli edifici “non residenziali”. E qui, diventa conclamato il misunderstanding (equivoco), per non dire altro, per cui continua a chiamarsi irragionevolmente e illegittimamente “Piano Casa” un insieme di scellerate norme ispirate alla deregulation in materia di edilizia che nulla hanno a che fare con il fabbisogno abitativo degli Italiani.
Ma quel che più aveva spaventato in questo Decreto è la modalità adottata per la concretizzazione dei principi di semplificazione e sburocratizzazione (in nome dei quali il suddetto decreto sarebbe stato concepito), che produce di fatto un progressivo abbandono delle regole, in barba ai pilastri fondamentali del buon governo, come la concorrenza leale o la trasparenza. Basti pensare a quella l’improvvida affermazione di voler rendere la fascia costiera italiana “area a burocrazia zero” (in nome della semplificazione!) si può ben capire perché le principali testate giornalistiche italiane abbiano titolato nelle ultime settimane gli articoli relativi a tale provvedimento con espressioni come: “Cemento sugli arenili” o “Grattacieli in riva al mare”. L’esercizio del diritto di superficie sul patrimonio costiero italiano può avere infatti effetti devastanti se letto in associazione con gli altri articoli del Decreto già menzionati (variazioni di destinazione d'uso dei fabbricati e aumento di cubature, silenzio-assenso per permessi di costruire, etc.) che in nome della semplificazione deregolamentano il settore dell’edilizia.
Un pieno diritto di edificazione su un’area sburocratizzata lascia effettivamente pensare che il legittimo scopo della massimizzazione del profitto da parte dei privati potrebbe avere libera espressione …
È vero, per costruire servirà comunque il via libera dei Comuni, ma sfido chiunque a sentirsi tranquillizzato da ciò!!!!

Necessario
essere informati
e preoccupati

C’è infine un’altra questione molto preoccupante nella trasformazione dell’istituto della concessione in diritto di superficie: mentre il primo è revocabile in qualunque momento, lo stesso non vale per il secondo che non è revocabile se non per effetto di esplicite clausole contrattuali.
L’insieme di queste considerazioni ha sollevato a livello nazionale una forte contestazione rispetto a questo provvedimento che metteva in serio pericolo il principio di tutela e conservazione delle coste. In particolare su questo punto le contestazioni al Decreto hanno costretto l’allora Ministro dei beni culturali Sandro Bondi a “mettere una pezza” attraverso un comunicato stampa nel quale si specificava che l’entrata in vigore del Decreto non “superava” le norme già contenute nel Codice del Paesaggio (L. n. 42/04 e s.m. e i.) in termini di tutela del paesaggio costiero e che sarebbe stato garantito il rispetto dei vincoli di tutela del patrimonio culturale e paesaggistico delle coste e delle spiagge. (Comunicato Stampa del Ministro per i beni e le Attività Culturali – 6 maggio 2011).
Intanto il Ministro dell’Ambiente (allora Stefania Prestigiacomo) si ostinava nella difesa del provvedimento parlando di “protezione delle peculiarità del settore” (il Sole 24 Ore – 6 maggio 2011) ma dimenticando di spiegare come questo provvedimento potesse essere ritenuto uno strumento di tutela per l’ambiente. Il signor(a) Ministro forse non sapeva che il Decreto era stato redatto nella totale ignoranza di uno dei principi fondamentali del dibattito internazionale sul tema delle risorse ambientali considerate non più patrimoni naturalistici come riserva limitata dalla quale attingere per l’attivazione di attività economiche, ma come bene comune che, oltre a costituire il riferimento primario per determinate attività, risulta elemento indispensabile per la definizione della qualità della vita, da tutelare e preservare per il benessere delle generazioni attuali e future. A tale proposito un altro importante rilievo da fare riguarda il principio introdotto dal Decreto ovvero l’innalzamento a 70 anni (anziché 50 come prevede attualmente la legge) per la presunzione di interesse culturale degli immobili pubblici.
Oltre che configurarsi come un gesto maldestro (e quasi distratto?) per l’inopportuna collocazione dell’argomento nell’ambito di una norma tecnica riguardante le modalità di appalto delle opere pubbliche, è evidente che questo passaggio costituisce una decisione di portata rilevante in materia di tutela dei beni culturali: il requisito temporale attestante la presunzione di culturalità del bene è consolidato nel nostro ordinamento giuridico fin dalla Legge Rosati del 1909 (L. n. 364/1909), ed è passato indenne nella evoluzione normativa in materia (L. n. 1089/1939 e D.Lgs 490/1990) fino all’attuale “Codice dei beni Culturali e del paesaggio” (L. 42/04 e s. m. e i., meglio conosciuto come “Codice Urbani”).
Infatti secondo il suddetto Codice le norme di tutela sui beni culturali si applicano (tranne alcune eccezioni) a tutti quei beni che non siano opera di autore vivente o che abbiano almeno cinquanta anni. Definendo così un compromesso accettabile tra l’affermazione del diritto di proprietà e le ragioni della tutela dei beni culturali, come patrimonio collettivo. Allo stesso limite temporale è legata un’azione fondamentale di verifica dell’interesse culturale dei beni di presunto interesse culturale, traslato anche questo di conseguenza, da 50 a 70 anni, così come è dilatato da 50 a 70 il limite temporale di inalienabilità dei beni immobili pubblici che non siano stati sottoposti a verifica di interesse culturale da parte del Ministero competente.
Ulteriore revisione nel campo dei beni culturali (sia pubblici che privati) è la cancellazione dell’obbligo di denuncia del trasferimento della detenzione dei beni immobili a carico del proprietario, in base all’articolo 59, comma 1 del Codice. Ciò comporta che la mappa della “circolazione” dei beni di interesse culturale fuoriesce dal controllo degli organi preposti e la valenza di detti patrimoni viene, nell’atto della compravendita, ridimensionata da patrimonio immobiliare di pregio al rango di patrimonio immobiliare comune (è forse il caso di sottolineare che nella norma vigente fino a prima dell’entrata in vigore del Decreto 70/11 era prevista addirittura la categoria del reato per chi non avesse adempiuto all’obbligo di denuncia del trasferimento della proprietà).
Come se non bastasse, nel medesimo articolo si insiste ancora sul patrimonio culturale introducendo correttivi al Codice dei Beni Culturali anche nella Parte terza “paesaggio” entrando nel merito delle già complicate procedure di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, procedure che costarono lacrime e sangue a un Tavolo concitatissimo di concertazione Stato-Regioni. Il Decreto infatti introduce (ovviamente questa volta senza le benché minima verifica e concertazione con gli Enti territoriali competenti in materia di rilascio dei suddetti pareri) una serie di correttivi procedurali e temporali che semmai complicano le cose più che semplificarle.

Il fatto che successivamente il Decreto appena analizzato abbia subito una serie di rettifiche conferma che si trattava di una norma fumosa con scarso fondamento rispetto all’effettiva possibilità di produrre impatti economici interessanti se non quelli di rimpinguare le casse dello Stato. Il fatto che siano stati definitivamente cancellati alcuni commi, consente di evitare ulteriori commenti e riflessioni sul fatto che si sarebbe andati in deroga a tutti i principi di tutela sanciti dalla normativa vigente. Resta comunque emblematico, e quindi di generale interesse, l’approccio che è stato seguito nella stesura di un provvedimento che avrebbe dovuto costituire il riferimento principe per la verifica/implementazione delle Prime disposizioni urgenti per l'economia.

Paesaggio
bene collettivo:
cosa fare?

Le riflessioni fatte fin qui, quindi, indipendentemente dalla versione finale che il testo del Decreto ha poi assunto, restano valide relativamente allo sgomento prodotto dalle modalità con cui il Governo abbia affrontato una delle problematiche più urgenti, ovvero la ripresa economica del Paese.
Se anche si sono prodotti clamorosi “ravvedimenti” (come l’annullamento dell’applicazione del diritto di superficie) resta il fatto che comunque “ci avevano provato” e chissà che non lo facciano ancora …
A tutti coloro che hanno a cuore il bene comune e il Paesaggio un caloroso invito a non abbassare mai la guardia!
Forse è opportuno, quindi, ragionare su cosa effettivamente si potrebbe fare per valorizzare al meglio quei “gioielli di famiglia” che abbiamo rischiato di (s)vendere al migliore offerente.
Quel che si intendeva sottolineare è la difficoltà di far rispettare, anche nelle sedi più alte del Governo nazionale, un principio fondamentale come la inviolabilità del nostro patrimonio Paesaggistico.
Lungi dal voler applicare una regola protezionistica sul Paesaggio, bisognerebbe invece pensare che tutto il patrimonio paesaggistico e identitario costituiscono una delle risorse economiche principali del nostro Paese, se utilizzate secondo azioni che contemplino la tutela e la valorizzazione nella loro fruizione secondo precise proposte in termini progettuali perché tale risorsa venga utilizzata e valorizzata attivando un “circolo virtuoso” per il miglioramento dell’habitat in senso fisico e sociale, creando così un contesto più favorevole allo sviluppo.
La gestione del Paesaggio rientra dunque in quel concetto complessivo di buon governo di contesti territoriali e urbani, in quanto risponde al concetto di risorsa: “in termini economici un bene diviene risorsa quando una comunità lo ritiene adeguato al soddisfacimento di alcuni bisogni e, attraverso mezzi materiali e conoscenze, opera per il suo sfruttamento e la sua valorizzazione” [E. MOLLICA (1991), “L’investimento nelle risorse culturali”, in Quaderni del Dipartimento Patrimonio Architettonico e Urbanistico, n°2, Rubbettino, Catanzaro, pp.101-108].

Sviluppare la progettualità attorno al paesaggio è uno dei dettami fondamentali che provengono dalla lettura della Convenzione Europea del Paesaggio e che deve essere assunto come riferimento prioritario, come trama per il progetto complessivo dello sviluppo e della pianificazione regionale, progetto che si deve delineare attraverso forme di consultazione e partecipazione allargata per creare il consenso attorno a una “immagine” condivisa e competitiva del territorio.
Se ciascuna Regione italiana assumesse con grande dignità (ma non con esasperazione separatista, come in alcune regioni del nord) il proprio vantaggio competitivo da offrire per il “buon nome” complessivo della Nazione, questo porterebbe ad assumere la variante territorio, la valenza ambientale, in una parola il Paesaggio, come uno dei fattori determinanti per la ripresa economica del Paese.
Ma la strada maestra della cultura, della identità, tranne alcuni accorati richiami del Presidente della Repubblica, non è allo stato considerata come una delle chiavi di volta del nostro futuro, men che meno come strumento di affermazione e (oserei dire) di potere: nel senso del potere contrattuale, del sentirsi alla pari, del sentirsi parte di una storia importante, quella europea.
Tags: