Chi veglia sui nostri conti?
Le ragioni dell’Unione Bancaria europea
Stiamo emergendo, con enorme fatica e immani sacrifici, da un periodo lungo almeno quanto una generazione di allegra finanza “a go go”. La crisi economica ha ragioni profonde e molti “padri”. Fra questi le banche e il sistema bancario. È necessaria una svolta, un istituto sovranazionale capace di vigilare sul serio, e una normativa rigorosa
di Maria Mezzina | Jan 2014
Premessa
(pane al pane e vino al vino)

Nonostante il perdurare della crisi e la richiesta di informazioni corrette e attendibili che viene dal basso, incompetenza e approssimazione continuano a imperversare.
Cosiddetti “autorevoli” ospiti nei bla bla televisivi, colonne con tanto di titoloni degli “opinionisti” della carta stampata non fanno che alzare polveroni: si piange sulla nostra fallimentare situazione economica, rimpallandosi responsabilità e distribuendo ricette a buon mercato di soluzioni possibili (la più gettonata è l’uscita dall’euro); oppure “le grida” raccontano di complotti contro l’Italia e parlano di “propaganda”.
Ben poco, a livello di comunicazione di massa, si sta facendo per far saper come invece da anni l’Europa si stia muovendo per uniformare un settore, quello bancario, che è in grande sofferenza non solo ora, in tempo di crisi così prolungata di cui è responsabile almeno in parte. Un settore che, se dovesse saltare rischierebbe di travolgere l’economia dell’intero paese. È avvenuto in Argentina e negli Usa, mentre da noi le avvisaglie ci sono state con Parmalat e il Monte dei Paschi di Siena (tanto per fare due esempi).
Si realizzasse un evento così disastroso e l’intera costruzione economico-finanziaria e dei rapporti commerciali e di impresa dell’intero continente verrebbe a cadere. Il fallimento dell’Europa trascinerebbe allora con sé non solo i singoli paesi dell’euro, ma anche gli States e quanti sulle relazioni con i paesi europei hanno costruito rapporti di scambio di ogni genere. Si salverebbero, forse, solo paesi come la Cina e l’India e, forse, l’Australia. La conseguenza sarebbe un arretramento socio-culturale universale di dimensioni drammatiche (a parte l’Australia), un vero e proprio passaggio a ritroso più che epocale: geologico.
È per questa ragione che ci siamo concessi la libertà di dipingere uno scenario da incubo in questa premessa, lasciando da parte lo stile che ci è più congeniale: un approccio moderato e non allarmistico. Con l’intenzione però di ritornare subitissimamente a fare informazione come è nostro costume: pacata, chiara e quanto più possibile completa e attendibile.

Tutelare i risparmi
(le banche sono sicure?)

Se i nostri risparmi servono a qualcosa (non solo per noi) è essenziale che siano tutelati.
Ora, il sistema creditizio ha perso gran parte della sua credibilità, e non solo quello italiano. Su esso si addensano grosse nubi che più di qualche volta si sono mutate in vere e proprie tempeste. Affidare alle banche il nostro denaro sembra spesso un azzardo. Il sistema è affetto da (almeno) due insopportabili difetti: il primo è il costo eccessivo, si paga troppo per tutto; il secondo è la poca trasparenza. Esiste una cortina fumogena sia all’interno fra banca e clienti, sia all’esterno fra banche e banche e fra banche e governi. Ben pochi infatti perfino fra gli addetti ai lavori riescono ad orientarsi in quell’ingorgo di rapporti che intercorrono a mo’ di scatole cinesi fra banche piccole e grandi, e fra banche e banchieri e operatori di ogni tipo sul mercato finanziario (e non) locale e internazionale, incluse le istituzioni di governo e i loro concorrenti e oppositori.
C’è sempre il pericolo che il denaro affidato a una banca svanisca, o che sia bloccato, o che sia impiegato per superficiali (se non criminali) operazioni finanziarie “a go go”, di molto dubbio risultato, soggette a tradursi perfino in suicidio finanziario collettivo.
Questa infinita crisi economica che ha scosso non solo qualche paese europeo è la prova evidente, la dimostrazione lampante di quanto male possa fare la “finanza creativa” che certi personaggi ai massimi livelli sono andati trionfalmente parlando e praticando.

L’Unione Bancaria
(mamma Europa interviene)

C’è bisogno di trasparenza, solidità e controllo. Naturalmente. Ma è solo a causa del perdurare della crisi in atto e all’aggravarsi della situazione in molti paesi, e del pericolo di implosione dell’intera struttura europea, che si è deciso di affrontare di petto «la necessità di rafforzare l’esistente assetto istituzionale di vigilanza sul sistema bancario, al fine di meglio assicurare la stabilità finanziaria», si legge in “Servizi finanziari”, un documento della Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Unione Europea. Si tratta di una sintesi del Rapporto di quattro Presidenti (della Commissione, Barroso; del Consiglio, Van Rompuy; dell’Eurogruppo, Juncker; della BCE, Draghi) del giugno 2012 insieme al “Blueprint” della Commissione europea del novembre 2012 sul rafforzamento dell’Unione Economica e Monetaria.
È allora che sono stati fissati «i principi cardine di una revisione complessiva dell’architettura di vigilanza in Europa, per pervenire alla cosiddetta “Unione Bancaria”», che è il «passaggio fondamentale per la realizzazione di un meccanismo di vigilanza e di risoluzione delle crisi bancarie unici in Europa».
Il progetto di Unione Bancaria, spiega il documento, «si fonda su tre pilastri: il Meccanismo unico di supervisione bancaria, SSM (Single Supervisory Mechanism), il Meccanismo unico di risoluzione delle crisi, SRM (Single Resolution Mechanism) e un Sistema accentrato di assicurazione dei depositi.
Completano il quadro il Meccanismo europeo di stabilità, ESM (European Stability Mechanism) e la Comunicazione della Commissione sugli aiuti di Stato nel settore bancario».
Di cosa si tratta?
Sono norme a cui dovranno attenersi le singole banche e che per i governi dei paesi dell’euro sono obbligatorie. Le norme, che sono soggette a vari passaggi, saranno operative entro un intervallo di tempo di tre anni (2013-2016). Siamo a quasi metà del percorso ed è bene capire almeno in sintesi di cosa in che modo il sistema bancario è destinato a cambiare.

Basilea 3 per le banche
(con le norme tanti paletti)

Il perdurare della crisi finanziaria (iniziata in realtà ben prima del 2008, con il fallimento di Enron negli Usa) ha spinto il Comitato di Basilea a emanare per le banche nuove regole prudenziali (“Basilea 3”) che sono state approvate dal G20 nel novembre 2010. Attraverso due atti legislativi – una Direttiva e un Regolamento sui requisiti di capitale delle banche – si arriva a «un insieme di regole comuni a tutti i Paesi membri in materia di vigilanza prudenziale sulle banche e sulle imprese di investimento». Il regolamento comunitario (Single Rulebook europeo) è «direttamente applicabile negli Stati membri e realizza un livello molto elevato di armonizzazione delle norme».
Nel “pacchetto” ci sono regole volte a rafforzare la disciplina sul capitale delle banche. Vengono introdotte garanzie aggiuntive: oltre al capitale minimo regolamentare è richiesto un capitale aggiuntivo (Capital Conservation Buffer). Sono introdotti nuovi requisiti di liquidità, per assicurare la tenuta del sistema bancario in termini di risorse prontamente liquidabili (che è la vera forte innovazione). Viene introdotto a partire dal 1° gennaio 2018 un «limite massimo alla leva finanziaria (leverage ratio), volto a vincolare l’espansione degli attivi bancari a un’adeguata dotazione del capitale di massima qualità, con l’obiettivo di correggere le eventuali imperfezioni di cui i modelli interni per la valutazione del rischio potrebbero soffrire, specialmente quando applicati a prodotti finanziari complessi» (da Banca d’Italia, “Questioni di Economia e Finanza. Il credito cooperativo alla sfida di Basilea 3: tendenze, impatti, prospettive”, n. 158, aprile 2013).
«Per le banche ad importanza sistemica, ovvero quei gruppi la cui crisi o fallimento potrebbero determinare ripercussioni sull’intero sistema, sono previsti requisiti patrimoniali aggiuntivi.
Vengono inoltre disciplinati i poteri degli Stati membri in materia di vigilanza macroprudenziale, al fine di affrontare adeguatamente eventuali rischi di natura sistemica: per fronteggiarli, gli Stati membri potranno imporre alle proprie banche, a certe condizioni, requisiti prudenziali più stringenti», si legge nel documento citato (“Servizi finanziari”).

Il primo pilastro
dell’Unione Bancaria

A partire da Basilea 3, la Commissione Europea, insieme alle altre istituzioni su citate, hanno formulato un “pacchetto” di regole in grado di mettere la Banca Centrale Europea nella posizione di poter funzionare in modo efficace e veloce.
Insomma, si legge nel documento, «il primo pilastro, SSM [Single Supervisory Mechanism], prevede l’accentramento presso la Banca Centrale Europea della vigilanza sulle maggiori banche europee (circa 130 gruppi bancari) e affida alla stessa BCE poteri di coordinamento della vigilanza sulle altre banche, con possibilità di emanare istruzioni generali e avocare a sé il controllo di qualsiasi banca».
«La disciplina sul SSM è entrata in vigore a novembre 2013; la BCE inizierà ad esercitare il ruolo di supervisore unico a partire da novembre 2014. Nella primavera del 2014 la BCE svolgerà un esame dello stato di salute delle banche europee che passeranno sotto il suo controllo, attraverso una valutazione della qualità delle loro attività e prove di stress».
Qualora, in seguito ai controlli della BCE, le banche rivelassero carenze patrimoniali, su proposta dei Capi di Stato e di Governo (Consiglio Ecofin di ottobre 2013), la Commissione ha stabilito (novembre 2013) che «le banche dovranno prima di tutto ricorrere a fonti private di finanziamento (raccolta di capitale sul mercato, ritenzione degli utili, ecc.); quindi, in caso di bisogno di ulteriori fondi, si ricorrerà a risorse pubbliche nazionali», fatte salve le regole sugli aiuti di Stato (saranno i creditori privati delle banche ad intervenire nelle forme stabilite dalla Direttiva su Bank Recovery and Resolution e dallo strumento del “bail-in” [cfr. articolo a pagina 6, “Chi ci rimette se una banca fallisce?”]).
«Infine, ove ancora il capitale non risultasse sufficiente, interverrà il finanziamento da parte del Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) attraverso un prestito allo Stato sovrano, in prima battuta, e quindi un prestito diretto alle banche».

Il secondo pilastro
dell’Unione Bancaria

“Chi paga se una banca fallisce?”. È a questa domanda che occorre dare delle risposte. Sono soprattutto coloro che affidano il loro denaro e i loro risparmi di una vita a una banca a pretendere un sistema di garanzie che li tutelino, oltre che a volere informazioni chiare e precise. Per gli altri, gli speculatori e i professionisti del rischio, e per tutti coloro la cui professione è pescare nella palude e trarre vantaggio dalle disgrazie altrui, più il sistema bancario è contorto e allo sbando, maggiori per loro sono le opportunità di far soldi. Tanti soldi.
La crisi che ancora attanaglia è iniziata proprio da qui, da una gigantesca palude: il fallimento, alla fine del 2001, di Enron, multinazionale dell’energia e settimo colosso industriale degli Usa. Con i suoi 13,15 miliardi di dollari di debito su 24,76 di asset complessivi; con oltre 2500 creditori, grandi banche incluse, come Citybank, Chase Manhattan Bank e Bank of New York. Un fallimento che ha portato al licenziamento di migliaia di dipendenti che, appena pochi mesi prima, erano stati indotti a investire tutti i propri risparmi nelle azioni della società per cui lavoravano e avevano inconsapevolmente firmato degli accordi che impedivano loro di rivenderle, se queste avessero cominciato a perdere valore. «E tutto ciò accadeva mentre i loro dirigenti, liberi da ogni vincolo, cominciavano a liberarsi delle proprie azioni. Di lì a poche settimane, il valore delle azioni della Enron crollò da 86 dollari a 26 centesimi bruciando, nel giro di tre mesi, quasi 60 miliardi di dollari» scrive Lucy Prebble (“Enron”, ediz. Arcadia & Ricono, trad. it. 2013). Una vicenda ancora troppo attuale.
L’Europa decide di creare un sistema capace di risolvere senza traumi le crisi bancarie. È su questo sistema - che detta le norme che regolano i criteri di salvataggio di una banca - che poggia il secondo pilastro dell’Unione bancaria.
« L’accentramento delle funzioni di controllo sulle banche deve essere accompagnato da un credibile sistema di risoluzione delle crisi a livello europeo, che possa agire nel momento in cui si verifichino situazioni problematiche per una o più banche: nell’ambito del secondo pilastro (SRM) si prevede la creazione di un meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie e di un fondo di risoluzione accentrato. La bozza di Regolamento sul SRM è stata presentata dalla Commissione a luglio 2013; essa si basa sugli strumenti di gestione delle crisi bancarie previsti dalla Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD), in corso di negoziazione. Tale Direttiva disciplina, in particolare, l’innovativo strumento del “bail-in”, che mira a far sì che siano in primis azionisti e creditori a far fronte alle perdite delle banche, non già i contribuenti. Tale strumento prevede la conversione delle passività delle banche in azioni - con conseguente trasformazione dei creditori delle banche in azionisti -, oppure la loro svalutazione. Peraltro, è possibile esentare alcune categorie di passività dal bail-in, al fine di salvaguardare la stabilità finanziaria e le funzioni critiche della banca. È anche prevista la possibilità di ricorrere a un fondo di risoluzione, finanziato dalle stesse banche, fino a un massimo del 5% delle passività della banca. Il Regolamento è in corso di negoziazione: se verrà approvato nell’attuale legislatura parlamentare, entrerà in vigore nel 2015, come la BRRD.
Sono esclusi dal bail-in i depositi garantiti da un sistema di garanzia dei depositanti. Questi ultimi sono oggetto di una direttiva in avanzato stato di discussione, che mira a realizzare un’ulteriore armonizzazione della materia».

Input: “Servizi finanziari -
Dossier legislativi in primo piano: l’Unione Bancaria”,
Rappresentanza Permanente
d’Italia presso l’Unione Europea
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