Economia del bosco
L’arte antica d’intrecciare rami e fili d’erba
Riscoprire nella storia e nelle tradizioni locali attività che appaiono superate aiuta a recuperare un rapporto uomo-ambiente rispettoso del paesaggio e della natura. È il caso dei boschi cedui di castagno della Campania a nord di Napoli, sulla collina dei Camaldoli.
di Antonio Guarino | May 2013
“Una zampa o ambedue trattengono il filo d’erba la cui estremità (…) viene spinta ad attorniare il lato più esterno del ramoscello, dopo di che l’erba viene di nuovo afferrata, inserita sotto il rametto, stretta fortemente e di nuovo spinta all’infuori sul lato più esterno del ramoscello”. È così che in “Le Meraviglie dell’Architettura Spontanea” Bernard Dudofsky descrive come un uccello africano costruisce il suo nido, citando una nota dell’ornitologo Johmn Hurrell Crook.
Forse è proprio dall’osservazione di queste opere create dagli uccelli che l’uomo, nel neolitico, inizia l’elaborazione di manufatti attraverso l’arte di intrecciare rami e cortecce realizzando così, oltre alle ceste, anche capanne e recinti.
Le prime testimonianze risalgono al neolitico e precedono l’arte della tessitura. Il primo pezzo di vimini antico che abbiamo risale a 13.000 anni fa; altri reperti del genere, del IX millennio a.C., si trovano in Asia Minore; dell'8000 a.C. a Çatal Hüyük, in Turchia; del 7000 a.C. a Shanidar nell’Irak; del 6000 a.C. a Jarmo in Irak. In Italia, nella grotta di Santa Croce di Bisceglie, in Puglia, è stato trovato un manufatto a intreccio antecedente al 6555 a.C.

Quella dell’intrecciare rami e cortecce è un’arte antichissima. Un lavoro che è nello stesso tempo semplice e complesso. Si fa uso di materiali disponibili quasi dappertutto attorno al bacino mediterraneo, e servono pochi strumenti per realizzare prodotti che hanno un’ampia applicazione nel quotidiano.
Gli oggetti ottenuti con questo straordinario materiale naturale hanno creato fin dalle origini della civiltà - intesa come integrazione di comunità umane fra di loro e con il territorio - un forte legame con il paesaggio locale, favorendo la coltivazione e l’impianto di essenze arboree come il salice e il castagno che sono adatte ad essere lavorate e trasformate.

Il castagno e il bosco ceduo

A nord di Napoli, nel maranese sulla vicina collina dei Camaldoli, sono rimasti, scampando alla furia della urbanizzazione selvaggia, castagneti d’origine antica e boschi cedui percorsi da profondi fossati di raccolta delle acque che da monte venivano incanalate verso la valle. A coloro che li frequentano (viandanti rari) si presentano ancora con il fascino misterioso dei luoghi da scoprire e imparare; dove “imparare” sta per conoscerli, percorrerli, studiarne la storia e l’evoluzione nel tempo, osservarne i cambiamenti nelle stagioni e quelli dovuti ai cicli naturali.
Si ritiene che nel Cenozoico il castagno fosse ampiamente diffuso in tutto il continente europeo. Poi, durante le glaciazioni pleistoceniche, si è progressivamente ridotto, rimanendo presente soprattutto a sud. Nel corso dell'ultima glaciazione, la specie si è ritirata definitivamente nelle zone dell’Asia Minore.

Furono i Greci e i Romani a diffondere questa essenza arborea in ampie zone collinari e montane del Mediterraneo, sostituendola alla macchia originale. La diffusione aveva due finalità: il castagno era utilizzato come risorsa alimentare (le castagne) e come risorsa tecnologica (legno da opera).
Un uso ampio, vario e diffuso che durò fino alla fine dell’ottocento quando iniziò la sua parabola discendente. Fu allora, infatti, che cambiarono le abitudini alimentari e fu anche da allora che nelle costruzioni vennero introdotti materiali alternativi quali i metalli e la plastica; mentre gli interessi nel settore arredamento si andavano spostando verso altre essenze quali la robinia e il ciliegio.

Nell’area del napoletano, nello specifico sulla collina e le pendici dei Camaldoli nel maranese, a nord di Napoli, esiste fra queste essenze arboree e le comunità locali un legame profondo che ha dato forma al paesaggio di questa zona. Qui la coltivazione del castagno ceduo s’integrava profondamente con gli insediamenti urbani posti, in particolar modo, alla base dei versanti collinari. Qui il paesaggio storico con le sue radure e terrazzamenti è il risultato di un compromesso millenario fra uomo e ambiente.
Il bosco di castagno, che era andato a sostituire lungo i secoli l’originale macchia mediterranea, consentiva, con la sua “sacra presenza”, un complesso sistema benefico e favorevole allo sviluppo delle popolazioni residenti. Il bosco, adeguatamente coltivato e tutelato, insieme alle attività più strettamente agricole poste nelle parti più basse dei versanti collinari, ha sempre protetto i terreni dall’erosione dei suoli assicurando così la stabilità idrogeologica. In questo modo la vita stessa degli insediamenti umani, come avevano imparato gli antichi, s’integrava con le attività economiche ed ecologiche che si sviluppavano su tutta la collina sovrastante.

Una risorsa economica

Il bosco, con la sua presenza, mantiene l’umidità dei luoghi. Di conseguenza anche le precipitazioni diventano più regolari perché gli alberi trattengono i vapori e impediscono ai torrenti di devastare la pianura.
Il bosco fa da laboratorio per la produzione continua di nuovo humus, evitando il processo di desertificazione.
Fin dall’antichità i frutti del castagno costituivano una risorsa alimentare abituale e venivano in soccorso quando era scarso il raccolto dei cereali. Come risorsa tecnologica, il castagno è stato all’origine della produzione di elementi e strutture per l’edilizia quali i solai e le capriate per le coperture dei fabbricati. Nella produzione di oggetti per l’agricoltura, oltre ai contenitori delle derrate agricole, con il castagno si sono realizzati tutori, scale per la raccolta dei frutti dagli alberi, e anche recinzioni. Inoltre, con il castagno si costruivano i tradizionali ricoveri agricoli detti pagliaio o pagliara. Tutti elementi importantissimi per l’organizzazione del lavoro dei campi.
Il bosco è stato anche il luogo dove si ricavava l’unico carburante della civiltà preindustriale: infatti, le parti meno pregiate del legno erano destinate alla produzione del carbone utilizzato per il riscaldamento, per i forni e per le cucine domestiche, la cosiddetta “carbonella” che, presentandosi sempre in pezzi minuti, era usata per scaldini, scaldaletto e bracieri.

Il bosco quindi, che è stato nei secoli risorsa, non può non tornare oggi a essere laboratorio fondamentale sia per l’ecologia sia per l’economia locale.
Dopo l’abbuffata di illusioni sull’arricchimento veloce e senza fatica, un’ideologia sradicata non solo dai valori della cultura, della conoscenza e delle tradizioni, ma perfino da quella del lavoro, il futuro dell’economia e lo sviluppo di un territorio che può offrire di sé la bellezza dei luoghi e la fertilità del suolo - e scusate se è poco - sta nel ripristino di questa cultura che ha dato prova di affidabilità e consistenza nei secoli e che in quest’area dei Camaldoli si articola lunga la verticalità della collina.
Una visione intelligente delle risorse a disposizione e una progettazione lungimirante dell’uso di queste risorse - nello specifico del bosco ceduo - è in grado di garantire, oltre che l’equilibrio idrogeologico, anche forme di produzione di energia a base di legnatico e di tutti quei materiali organici di scarto che provengono sia dall’agricoltura sia dalle aree urbane, con i rifiuti organici. Preziosi materiali da trasformare in biomasse da produzione di energia in vista della imminente nuova crisi energetica da consumo di sostanze fossili.
Il castagno costituisce anche una fonte ricca di tannino che dà al legname la capacità di resistere all’umidità, ed è una sostanza usata nella concia delle pelli e per colorare.

Il bosco di castagno del napoletano è prevalentemente ceduo. Il castagno ha la capacità di emettere ricacci, quando viene tagliato; in questo modo il ripopolamento degli alberi avviene solo nella parte epigea e il bosco cresce e si riforma a partire da polloni che si sviluppano direttamente dai tronchi tagliati alla base. Questo modo di governare il bosco ha il vantaggio di avere sempre disponibile il legname necessario per le varie tipologie di usi e in tempi molto rapidi, circa sei anni.
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