Mass media e carteggi eccellenti
Gli arcana imperii delle “autorevoli” firme sulle grandi testate italiane dei nostri giorni
Uno scambio vivace via web fra professionisti di altissimo profilo che rivela quanto sia opaca l’informazione delle grandi testate
di Alberto Carzaniga | Jan 2013
13 Dicembre 2012. Il Corriere della Sera, pubblica in prima pagina un editoriale di Piero Ostellino, già direttore del titolato quotidiano. Il fondo, “Maionese italiana”, è una lamentatio a 360 gradi sulla situazione politica italiana e la mancanza di prospettive. C’è però un riferimento, è appena un accenno, alla necessità “di rigore nella spesa” e di “semplificazione legislativa e amministrativa”.
Non basta. In quell’accenno è celata in realtà una profonda ignoranza. Pubblichiamo qui una lettera che Alberto Carzaniga ha inviato al giornalista, la risposta del giornalista e il successivo commento dell’ex alto funzionario del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Lo facciamo perché condividiamo le sue osservazioni e perché riteniamo che sia compito dei media - disatteso in gran parte - cercare di aiutare questo nostro paese a uscire dal tunnel.

IL CARTEGGIO
A Piero Ostellino
Le scrivo in merito al suo articolo di fondo di ieri, che condivido totalmente ma che considero incompleto.
Cosa manca, e purtroppo manca sempre, non solo nei suoi scritti.
È verissimo che, come Lei scrive: "continuiamo ad aver bisogno di rigore nella spesa e, soprattutto, di una radicale semplificazione legislativa e amministrativa...". Ma chi come me ha vissuto per un po' da dentro l'Amministrazione Pubblica, sa che c'è un altro problema gravissimo sottostante di cui nessuno parla, che è poi alla radice dei nostri mali: è il mancato passaggio da una cultura di gestione ove i conti vanno bene se tenuti secondo la legge (che è fatta per non prendere mai le misure a chi amministra; pensi solo alla Moratti, che lascia dicendo che i conti sono in ordine - avanzo di 130 milioni, se ben ricordo - e Pisapia, che arriva dicendo che c'è un buco di 500 milioni. Ed hanno ragione entrambi, sempre secondo legge!), ad una cultura di gestione ove sempre deve prevalere il risultato, quello vero e univoco.
Siamo al paradosso: i nostri conti devono essere "tradotti" per essere presentati a Bruxelles ove vige una forma di "partita doppia" molto chiara e comprensibile (ESA 95, curata da Eurostat) e noi continuiamo ad avere una contabilità che non fa capire mai ai cittadini quali siano i conti nemmeno del loro comune. A volte nemmeno i consiglieri comunali riescono a capire quali siano questi conti.
Questo passaggio, che si traduce nei fatti ad avere una contabilità per cassa consolidata tipo Esa 95, e dove la cassa è cassa, e non teologia contabile - come è oggi, grazie ad una Corte dei Conti che ha trasformato la contabilità in una palestra di esercitazioni di diritto pirandelliane ed inconcludenti -, richiede uno strumento che addirittura è pronto e funziona da almeno un decennio: si chiama Siope. Nessuno sembra arrivare alla ovvia conclusione che tenere i conti come si tengono ovunque nel mondo (meno che nella nostra Pubblica Amministrazione) è la premessa per controllare i costi, e che pubblicizzarli in rete (secondo principi tipo "opendata") è poi la premessa per portare il mercato dentro la Pubblica Amministrazione, distinguere i mariuoli ed i nullafacenti dalla persone per bene e capaci, avere uno stato che "faccia di più e meglio con meno", che è poi la sintesi della buona politica.
Sempre cordiali saluti e grazie dell'attenzione.
Alberto Carzaniga
Ex sottosegretario al bilancio
nel governo Dini
La risposta
Lei propone una rivoluzione che non è solo contabile, ma politica, che non si farà mai perché i conti sono “arcana imperii”.
Piero Ostellino
Editorialista, già direttore
del Corriere della Sera

IL COMMENTO
Qui trovate a mio avviso la ragione prima dei motivi per cui ci stiamo tutti dando da fare: un ex direttore del "Corriere", oggi editorialista e redattore degli articoli di fondo di questo giornale, se la cava dicendo che fare i conti è "arcana imperii".
Ossia non capisce, o meglio non vuole capire che i nostri guai hanno alla radice la volontà di non volerne capire le cause, di continuare a non voler vedere ciò che è ovvio.
Finché un ex direttore del Corriere, che però è ancora lì, non capisce che lui, proprio lui, è una delle concause dei guai che denuncia, perché tace sulla causa principale dei nostri guai, abbiamo motivi seri (forse anche nobili) per continuare a fare quel poco che cerchiamo tutti noi di fare.
Tags: