Rapporto Istat
Disabilità a scuola. Dati e testimonianze
Il Rapporto Istat sulla integrazione degli alunni con disabilità nelle scuole primarie e secondarie di primo grado conferma una situazione di disagio evidente che solo l’intelligenza e la dedizione di insegnanti e dirigenti illuminati riesce ad alleviare.
di Maria Mezzina | Mar 2013
È del 25 gennaio scorso il Rapporto Istat sulla “Integrazione degli alunni con disabilità nelle scuole primarie e secondarie di primo grado statali e non statali”.
Nell’anno scolastico 2011-2012 gli alunni con qualche forma di disabilità sono circa 145mila (81mila nelle elementari pari al 2,9%, e 63mila nelle medie, il 3,5%).
Una popolazione di piccoli per i quali il Ministero ha messo a disposizione circa 65mila insegnanti ma solo il 60,4% nella scuola primaria e il 65,9% nella secondaria è impiegato a tempo pieno nello stesso plesso scolastico. Il numero di ore varia fra le 10,3 ore medie a settimana per le scuole primarie e le 8,3 ore medie a settimana per le scuole secondarie inferiori. Troppo poche. E infatti in media il 9% delle famiglie di alunni con disabilità ha presentato ricorso al TAR per ottenere un aumento delle ore di sostegno (con punte al Mezzogiorno del 12,7% nelle scuole primarie e l’11,5% in quelle secondarie, rispetto al 6% e 4,3%, rispettivamente, al Nord).
Riflettiamo:
“Il ritardo mentale, i disturbi del linguaggio, quelli dell’apprendimento e dell’attenzione rappresentano i problemi più frequenti negli alunni con disabilità in entrambi gli ordini scolastici considerati”, si legge nel Rapporto. Quindi gli insegnanti di sostegno svolgono in classe un’attività di tipo didattico con circa l’80% degli alunni loro affidati.
È, inoltre, in questo tipo di disabilità che rientrano i Bes (Bisogni educativi speciali) di cui parla la direttiva approvata e firmata dal ministro Profumo "Strumenti di intervento per gli alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica". Nei Bes ci sono le disabilità vere e proprie, ma anche i disturbi evolutivi specifici e lo svantaggio socio-economico e culturale. Sono disturbi che richiedono un’attenzione continua da parte dei docenti e che, invece, viene ridotta a meno di un paio di orette al giorno.
Se poi guardiamo all’altro versante delle disabilità, quello per cui l’intervento è di tipo assistenziale per i casi più gravi di disabilità fisica, la presenza dell’insegnante di sostegno diventa ancora più necessaria.
La carenza di didattiche appropriate (il riconoscimento dei Bes risale a un anno fa) e l’esiguità delle ore di accompagnamento scolastico, risultato della stretta operata sugli insegnanti di sostegno e sul personale che una volta operava nelle scuole, dai bidelli ai medici, si riflette drammaticamente sull’età media dei piccoli che hanno bisogno di attenzioni speciali. Accade, infatti, che nella scuola elementare siano l’11% gli alunni di oltre 11 anni che ancora frequentano, e gli alunni con qualche forma di disabilità hanno 9,8 anni in media. Mentre nella scuola media, dove sono il 21% gli alunni con più di 14 anni, l’età media degli alunni disabili è di 13,6 anni.
Cosa fare allora?
Alcune scuole hanno adottato strategie particolari con cui si tenta di risolvere il problema.
Siamo in un Istituto Comprensivo in provincia di napoli, scuola materna. Una maestra racconta: su cinque classi di bambini (3-5 anni) ognuna con un bimbo disabile, ruotano tre insegnanti di sostegno. Ogni insegnante segue contemporaneamente due bambini in modo da coprire così 4 ore giornaliere di assistenza per ogni bambino. I piccoli vengono “prelevati” dalle loro classi e condotti in un ambiente diverso. A volte l’insegnante si porta dietro qualche altro bambino di una o dell’altra classe, in modo da fare un piccolo gruppo ed evitare così la tristezza dell’isolamento e l’umiliazione della diversità. La cosa funziona (in parte) perché gli alunni sono abbastanza piccini. Si perde, però in questo modo la continuità didattica che per loro sta in quei giochi didattici che gli insegnanti propongono per sviluppare il loro senso di osservazione e le loro capacità di esprimersi e di relazionarsi con l’esterno.
In una quarta elementare di una scuola di Roma due bambini disabili (una è ipovedente) sono seguiti da un’insegnante di sostegno che lavora con la maestra 22 ore a settimana. Ma le disabilità sono talmente diverse che può seguirne solo uno per volta. In classe ci sono anche altri bambini che hanno bisogno di assistenza e attenzioni speciali per i quali non è previsto il sostegno. È la maestra, allora, che adotta strategie adatte al modo di apprendimento di questi bambini. Parte con le conoscenze minime di base e poi le specializza a seconda delle capacità e delle caratteristiche dei bambini. I bimbi difficili della sua classe, dice, sono molto intelligenti e hanno memorie formidabili, ma non sanno organizzarsi mentalmente e hanno bisogno d essere guidati: e, allora, fa scrivere loro tutte le tappe necessarie ad imbastire un racconto (di storia, di geografia, un riassunto, un evento) chiarendo la logica sequenziale dei singoli passaggi. E li aiuta affiancando alle prove tradizionali (dove non riescono a fare bene) dei test vero/falso o a risposta multipla in cui sono quasi imbattibili.
È un lavoro formidabile, che va preparato a casa, fuori delle ore di scuola. E faticoso, tanto più perché non ci sono, o sono drammaticamente diminuiti, corsi di approfondimento e di aggiornamento per gli insegnanti.
Ritorniamo al Rapporto.
È “molto elevata su tutto il territorio nazionale (circa un terzo per entrambi gli ordini scolastici) la percentuale di scuole nelle quali nessun insegnante di sostegno ha frequentato corsi specifici in materia di tecnologie educative per gli alunni con disabilità. Un altro terzo di scuole, invece, ha tutto il personale di sostegno formato con corsi specifici”.
E, poi, “Il supporto didattico fornito dall’insegnante di sostegno dovrebbe essere accompagnato, laddove l’alunno non è autonomo, dalla presenza di figure professionali, nominate dagli Enti locali, che supportino la socializzazione e l’autonomia del singolo”. In realtà si tratta di figure fantasma che compaiono solo sulla carta.
Inoltre, “è importante, al fine della realizzazione del progetto individuale, che ci sia una continuità del rapporto docente di sostegno-alunno con disabilità, non solo nel corso dell’anno scolastico ma anche per l’intero ciclo scolastico. Questo però non sempre avviene”.
Non sempre? Un eufemismo, perché sono il 41,7% nella scuola primaria e il 39,3% in quella secondaria gli alunni disabili che hanno cambiato insegnante di sostegno rispetto all’anno precedente.
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