Dimensioni collettive
“Un sindaco fuori del comune” racconta la storia vera di un personaggio straordinario, Antanas Mockus, matematico e filosofo, rettore dell’Università nazionale di Colombia e due volte sindaco di Bogotà.
di Da una recensione di Irene Borgna | Feb 2013
Classe 1952, origini lituane, Antanas Mockus riesce in un discreto numero di imprese incredibili: rigenerare una delle città più caotiche e pericolose del mondo; restituire speranza e dignità a migliaia di colombiani stanchi di decenni di governi corrotti e violenti; dare vita a un movimento dal basso e a costo zero capace di imporsi nel 2010 come la seconda forza politica del paese. I risultati lasciano sbalorditi, ma, sinceramente, ciò che più fa tremare i polsi sono i metodi di Mockus: «la politica di Mockus è l’opera d’arte di un visionario fermamente convinto di poter cambiare, attraverso la comunicazione e la pedagogia, uno tra i sistemi culturali più conservatori e violenti al mondo».
Il Supercittadino di Bogotà rielabora e applica nella vita reale le riflessioni di filosofia politica di Jürgen Habermas e il concetto definito da Pierre Bourdieu di “violenza simbolica”. La strategia di Mockus è un sistema costituito da molteplici, piccoli atti di provocazione creativa, consiste nell’assumere una posizione critica nei confronti dello status quo attraverso un approccio conflittuale, beninteso che esclude aggressioni fisiche e insulti. Si tratta di imporre così, sottilmente, una propria visione globale della realtà, trasformando i cubetti di porfido sessantottini in “violenza simbolica”: dolce, invisibile, esercitata con il consenso inconsapevole di chi la subisce.

Un paio di esempi? Dopo una brillante e rapidissima carriera, circondato dalla stima generale del mondo accademico, Mockus diventa rettore dell’Università nazionale. Proprio in qualità di rettore, il 28 ottobre 1993, è impegnato a confrontarsi nell’aula magna con un gruppo di studenti contestatari che impediscono il regolare svolgimento di un dibattito. Chiedono un maggiore finanziamento statale all’università pubblica e ai suoi dipendenti, e Mockus, che appoggia le idee degli studenti ma non ne approva la forma di espressione, chiede più volte la parola: invano. L’ostilità della platea è sottolineata da una stridente raffica di fischi. È la famosa goccia che fa traboccare il vaso, per un mondo accademico doppiamente umiliato, sia dalle parole del governo che dalla contestazione degli studenti.
Quando i fischi si fanno insopportabili, Mockus abbandona il podio e il microfono, si porta al centro del palco e, con un movimento rapido e deciso, si abbassa pantaloni e mutande, rivolgendo il culo agli studenti attoniti: «si era ormai rotto ogni equilibrio comunicativo, con il mio gesto ho voluto manifestare la mia disponibilità ad adottare lo stesso livello dialettico dei miei studenti, il linguaggio della foresta». Dinanzi alle terga del rettore, i fischi si trasformano in applausi: gli studenti dimostrano di apprezzare il classico gesto tabù di disapprovazione, usato con cautela perfino dalle rockstar. Le chiappe del rettore fanno il giro della Colombia e Mockus dà le dimissioni, ma da un punto di vista strettamente comunicativo ha centrato perfettamente il canale giusto per arrivare alla totalità dei colombiani. Ironicamente, così, «non è con i pamphlet né con gli articoli scientifici pubblicati fino a quel giorno, ma con il proprio deretano, che Mockus riesce a rivolgersi per la prima volta alla totalità dei suoi concittadini. “È vero, molto probabilmente è stato un cattivo esempio per i colombiani”, dichiara alla stampa il rettore dimissionario, “ma posso assicurare che quello che hanno visto è il colore della pace: bianco».

Un altro saggio di efficacia visionaria? All’inizio del suo primo mandato come sindaco di Bogotà, in seguito riconfermato, Mockus decide che la circolazione stradale cittadina, terribilmente indisciplinata, non sarebbe più stata controllata dai vigili urbani, bensì da un esercito di clown e mimi, incaricati di sbeffeggiare i conducenti che avessero violato le regole. Aveva indovinato: i colombiani alla guida dimostrarono di essere più sensibili alle corde dell’orgoglio che alle multe (che tanto non avrebbero mai pagato) e una schiera di pagliacci si rivelò la forza più utile per correggere (e non semplicemente punire) i comportamenti sbagliati. Un ultimo gesto coraggioso chiede di essere descritto, quello cui è dedicata la copertina del libro. Dopo aver ricevuto ripetute ed esplicite minacce di morte, al termine di una serie di attentati ai tralicci dell’alta tensione, contro le prescrizioni della polizia, un giorno Mockus indossa una giubba colorata, una camicia bianca con un foro a forma di cuore in alto a sinistra e se ne va a spasso per i quartieri più pericolosi di Bogotà: il messaggio è chiaro - provate a colpire un uomo inerme, qualcuno che rifiuta di opporre la violenza alla paura.

Gli esempi di democrazia partecipativa e inclusiva made in Mockus sono moltissimi, dalla “ley Zanahoria” ai “vaccini contro la violenza”: alla descrizione della loro ideazione, messa in atto ed efficacia è dedicata buona parte del libro. Al lettore dunque il piacere di scoprire che cosa pulita, colorata e coinvolgente può diventare la politica quando smette di essere la gestione autointeressata del potere cui siamo assuefatti.

Non c’è verso di infangare la figura di Mockus: persona fenomenale che ha potuto guadagnarsi l’autorità e gestire il potere senza diventarne servo, che ha saputo convincere con la forza delle argomentazioni ma soprattutto con l’esempio e la fantasia, che ha voluto decostruire l’immagine del politico gessato e distante ed educare alla cultura ciudadana, alla cultura della cittadinanza, secondo il principio pedagogico «io imparo da te, tu impari da me».

Il libro è scritto bene, l’avventura esistenziale e politica di Mockus scorre in fretta.
La storia narrata nel libro non finisce, un po’ perché Mockus è ancora a tutti gli effetti un instancabile sperimentatore, un po’ perché grazie a lui, oggi «nelle aule universitarie, fra le avanguardie urbane di Bogotà e Medellìn, sperduta in case sulle Ande o lontana migliaia di chilometri dalla sua terra natale, una schiera invisibile di colombiani lavora, in silenzio, per imprimere un cambiamento di rotta alla storia nazionale». E forse anche perché Mockus parla anche a noi e per noi. Perché il semplice fatto che un simile milagro democratico si sia potuto verificare in Colombia ci sbatte in faccia l’evidenza che qualcosa di analogo potrebbe accadere dappertutto. Sì, persino in Italia. A chi ha ancora voglia di reagire, per dignità non per odio, Mockus mostra che un’altra politica è possibile e che «tutti - tutti! - possono aiutare».
Tags: