Autori emergenti
Asino senza lingua
Nel romanzo di Emilia Santoro il dramma e la dignità di una donna
di Maria Mezzina | Jan 2014
Anno 2009. La discarica di Chiaiano fa da sfondo a questo romanzo e, probabilmente, è anche la ragione per la quale il romanzo stesso è stato concepito nel modo originalissimo in cui si presenta al lettore.
Per decreto dell’allora governo (Berlusconi) le cave di Chiaiano - nelle quali già illegalmente venivano sversati rifiuti di ogni specie, anche pericolosi - furono destinate ad accogliere le tonnellate e tonnellate di rifiuti sotto cui da quasi due anni era rimasta sommersa e imprigionata la città di Napoli. Tutto avvenne in un gioco al massacro di squisita natura partitica, avallato dalla disattenzione e dalla incuranza della popolazione.
All’epoca, fra coloro che più energicamente protestarono contro un provvedimento che aveva (ed ha tuttora) tutti i requisiti della prevaricazione di Stato e della sospensione della diritto e della democrazia, ci furono le donne. Emilia Santoro era una di loro. Inutilmente.
Da allora lunghe teorie di auto compattatori percorrono le vie che portano alle cave per depositarvi il loro maleodorante contenuto. Gli auto compattatori percorrono le vie della città lasciando sull’asfalto scie di percolato. La zona è stata militarizzata ed è perciò inaccessibile. L’incidenza di malattie respiratorie e di cancro e leucemie fra la popolazione è e rimane altissima. Nessuno fa nulla e tutto è rientrato nella più assoluta normalità.

Joanna, la giovane psicanalista protagonista del romanzo, convive con un fastidiosissimo disturbo: una lingua di fuoco, gonfia e dolorosissima. Un probabile cancro.
Al problema della lingua malata si aggiunge un altro problema: quello del lezzo che viene dalla vicina discarica. Un puzzo di putridume che penetra e si appiccica dappertutto, attaccandosi ai vestiti e alla pelle. Come il percolato, che cola per le vie attorno alla rotonda della “Rosa dei venti” e si appiccica scivoloso alla Freddy da corsa di Joanna.
C’è poi il problema del difficilissimo rapporto di Joanna con la madre. È un rapporto/rifiuto doloroso e straziante, esasperato e crudele. Alle certezze nutrite di bigottismo religioso della madre, Joanna contrappone disincanto e fragilità emotiva, libertà e autonomia. Qualità che sembra aver ereditato dal padre di cui condivide il destino di esclusa dalla comunità dei “normali”, pagando per questo un prezzo altissimo - l’allontanamento dal figlio - così come il padre aveva pagato altrettanto e forse più alto prezzo.

Il romanzo è narrato in prima persona, eccetto che per i capitoli dove il protagonista è Salvatore, l’amico paziente di Joanna, il “bradipo” che le fa un po’ da fratello e un po’ da padre, nei quali è sua la voce narrante. Questo narrare in prima persona riflette personalità, affetti e, per certi aspetti, anche la storia personale della scrittrice. Ne risulta un quadro vivissimo di una donna determinata e assolutamente libera, che pone in cima alla scala dei valori l’amicizia e l’amore di madre.

Il romanzo non ha il passo cadenzato del racconto che si dipana attraverso il susseguirsi di eventi che ne costituiscono la trama. È piuttosto un pensare ad alta voce, un esprimere (spesso gridando) sensazioni, emozioni, desideri, rimpianti. È un cercare quasi ossessivo: una stabilità che continua a sfuggire; certezze che sembrano chimere lontane; ancoraggi alla vita e alla realtà che Joanna riesce a trovare solo nell’amicizia e nella tenerezza del rapporto bellissimo che la lega al suo bambino. Eppure, si legge come un romanzo avvincente a cui non manca nemmeno il tocco abile e leggero di un “giallo”.
Fin qui il racconto. Ma oltre la narrazione c’è, originalissimo ed efficace, lo stile del raccontare e del raccontarsi. È qui che si svela la straordinaria abilità lessicale, la padronanza verbale e la capacità creatrice della scrittrice, che in modo assolutamente naturale sa creare il giusto impatto con il mondo sensoriale ed emotivo di Joanna. È su questa sua capacità di esprimere situazioni e sensazioni in modo così immediato ed efficace che poggia la leggerezza e il fascino del lavoro. Al punto da spingere il lettore a ritornare su una frase o un paragrafo.
Insomma, uno di quei lavori che si fa rileggere per il gusto di assaporarne fino in fondo l’intensità e la freschezza.


Emilia Santoro
“Asino senz lingua”
Homoscrivens edizioni (2013)
www.homoscrivens.it
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