Nuove frontiere - Il Paesaggio è risorsa per lo sviluppo
Alto tradimento
Il paesaggio, nonostante sia tutelato da stringenti normative europee (la CEP, ratificata in Italia nel 2006), è stato oggetto di un “patto scellerato” fra centro e amministrazioni locali, il contestatissimo “Piano casa”, con cui si è tentato di svuotare di significato e di vanificare una conquista che è il risultato di oltre un secolo di riflessione e dello sforzo di un’intera comunità internazionale.
di Rosaria Amantea | Apr 2013
L’entità del patrimonio paesaggistico a livello nazionale, considerate le particolarità che caratterizzano tale bene, impone un’azione unitaria, efficace ed incisiva, tenendo conto che è necessario coordinare adeguatamente le azioni di valorizzazione-tutela e conservazione. È per tale ragione che la separazione netta tra tutela e valorizzazione, come due categorie di intervento gestibili a differenti livelli di governo, può generare conflitti e confusione.
È quello che è accaduto nel tentativo di integrare le assunzioni del Titolo V della Costituzione, il D. Lgs 42/04 e i dettami della CEP (Convenzione Europea del Paesaggio). Il panorama nazionale in termini di strumenti normativi restituisce l’opportunità per la messa in campo di strumenti di governo del territorio a livello locale che vadano nella direzione della gestione integrata delle risorse paesaggistiche. Salvo poi trovarsi, nell’applicazione dell’apparato normativo, in una serie di contraddizioni che derivano dalla coesistenza di un approccio strettamente vincolistico, come quello del D. Lgs 42/04, e un approccio integrato, come quello derivante dalla CEP e differenti soggetti che concorrono alla definizione di categorie di intervento (per la valorizzazione o la tutela) sullo stesso bene.
A volte la discontinuità tra gli strumenti normativi è palese a partire dalla definizione stessa di paesaggio e, a tutt’oggi, non è stato ancora trovato un vero punto di convergenza. Sta dunque ai governi locali riuscire a costruire Piani che, nel rispetto del sistema vincolistico, riescano a produrre e mettere in campo una vera e propria Politica del Paesaggio da porre come fondamento delle strategie di Piano.

Se poi alla confusione derivante dai dettami di legge, si aggiungono input che dall’alto spingono (ancora!), verso la deregulation è evidente che la missione di tutelare e valorizzare il Paesaggio diventa ancora più ardua.

Ci si riferisce in particolare alla vicenda delle leggi regionali sul cosiddetto Piano Casa derivante dalla attuazione dell’Intesa tra Stato, Regioni ed enti locali, sottoscritta il 1° aprile 2009. La finalità di detta Intesa era riferita a un generico rilancio dell’economia mediante il sostegno all’attività edilizia e al miglioramento della qualità architettonica, energetica e ambientale del patrimonio edilizio esistente, proposito molto ampio che sarebbe spettato poi alle Regioni realizzare a partire dalle specifiche condizioni di contesto.
Già nell’accordo venivano dati alcuni parametri (come il noto 20% di incremento delle cubature), ma con alcune restrizioni (solo specifiche tipologie di alloggi, ovvero case uni-bifamiliari e comunque MAI in centri storici e zone sottoposte a vincolo, senza MAI prevedere modifiche delle destinazioni d’uso). Ma le reali possibilità/opportunità di rendere in concreto gli obiettivi dell’accordo erano a discrezione delle singole Regioni.
Già allora, nel 2009, fu una vera impresa per le Regioni italiane dare seguito allo “scellerato Patto” (condizione alla quale era amministrativamente impossibile sottrarsi).
Con il suggello del Patto Nazionale si era dato dunque libero sfogo alla possibilità di legalizzare una forsennata azione di crescita edilizia in molti casi non necessaria: c’è poco da meravigliarsi, allora, se le Regioni, al grido nazionale di “liberi tutti”, abbiano poi risposto altrettanto improvvidamente.
I pochi governi locali intenzionati a non dare seguito alla falsa e fuorviante equazione “nuova edilizia=crescita e sviluppo”, hanno di contro tentato di arginare il dettato nazionale ponendo paletti più stringenti e coinvolgendo i Comuni in un percorso di condivisione di scelte responsabili. La consapevolezza che le politiche territoriali sono efficaci quanto più sono aderenti alle dinamiche e alle necessità concrete del territorio dovrebbe sempre guidare le scelte di intervento, ma mai come in questo caso, si è assistito a un incredibile tentativo di omologazione delle politiche territoriali sotto l’egida del Governo nazionale, senza che si tenessero in alcun conto le dinamiche locali e i concreti percorsi di sviluppo attivabili e soprattutto quanto la norma potesse giovare o, di contro, danneggiare, gli equilibri locali.

Degli equilibri locali tutti i livelli di governo sono responsabili: dalla Regione, alle Province, ai Comuni, tutti devono contribuire a mantenere un assetto che sia in aderenza con le potenzialità e necessità del territorio, quanto più possibile in una logica di coerenza amministrativa e di indirizzi.
Ma cosa succede se “dall’alto” giunge un input completamente in disaccordo con le politiche territoriali fino a quel momento poste in essere? O peggio, in assoluta discordanza con gli orientamenti europei appena ratificati in Italia?
Come regolarsi rispetto a questa norma (il c.d. Piano Casa) se nel frattempo era stata avviata una politica volta al contenimento del consumo di territorio tentando di affermare il virtuosismo del recupero e riuso dei patrimoni immobiliari inutilizzati (migliaia di metri cubi in tutta Italia), anziché la produzione di nuova volumetria?
L’Intesa suddetta, infatti, omettendo completamente l’applicazione di quel principio fondamentale a cui fortemente ci richiama la CEP, ovvero il contenimento di uso del territorio e delle cubature (prima di tutto!), legalizza un premio di cubatura del 20% con l’unica prescrizione che è necessario pianificare gli incrementi di volumetria affidandosi al “senso estetico degli Italiani”!
Proviamo solo a immaginare il paesaggio del Sud: palazzi che “fioriscono” sulla fascia costiera, volumetrie straripanti da ex-balconi ed ex-terrazze che diventano nuove cubature …
Facciamo una passeggiata lungo le coste per stabilire quale sia il riferimento stilistico ricorrente a cui “accordarsi” e verificare quanto sia affidabile il senso estetico degli italiani …
In diverse parti di questo Paese da tempo, tra condoni edilizi e deregulation, si è persa la capacità di ridare senso estetico alla crescita edilizia. La parola ESTETICA ha un valore estremamente importante che non attiene solo alla capacità di produrre volumi, case, città in armonia con il contesto, ma assume un carattere morale se si valuta che già la parola in sé contiene l’etica del rispetto del territorio: EST-ETICA, e dovrebbe diventare il riferimento portante per un nuovo approccio al governo della res pubblica.
L’unico effetto certo, dunque, che l’attuazione di questa legge produce sul territorio è l’incremento di ulteriori metri cubi, in deroga a qualunque strumento urbanistico vigente, ma soprattutto in deroga al buonsenso che vorrebbe il contenimento di uso del territorio in un Paese che ha già ampiamente (e spesso illegalmente) beneficiato di un bonus di volumetria.
Alla legge viene posto il sigillo come legge per il rilancio dell’economia attraverso il supporto del settore edilizio, senza pensare che per stimolare l’edilizia in Italia si potrebbero utilizzare molti altri sistemi, maggiormente in sintonia con quelle che sono le reali esigenze (e condizioni) del patrimonio edilizio esistente.
È evidente, ad esempio, che la riqualificazione e il riuso del patrimonio edilizio (in gran quantità abbandonato) basterebbe a rilanciare il settore con una prospettiva di continuità lavorativa che andrebbe molto oltre i tempi ridotti e limitati della “superfetazione edilizia legalizzata” introdotta dalla legge in questione. È infatti provato, in particolare dagli studi che utilizzano l’analisi input-output, che il percorso di riqualificazione del patrimonio edilizio e la filiera del recupero, producono effetti, in termini di indotto e di occupazione, decisamente superiori alla nuova edificazione, così come un adeguato sistema di manutenzione ordinaria, garantirebbe al tempo stesso lavoro e conservazione del patrimonio.
Perché quindi, anziché incrementare le volumetrie esistenti non si pensa di sistematizzare con adeguati strumenti finanziari di supporto, una politica di riqualificazione, riuso, completamento dell’esistente con una pianificazione di lungo termine che garantisca anche posti di lavoro?
Tralasciando le premesse e le motivazioni che a livello nazionale hanno promosso la redazione di leggi regionali a partire dalla sottoscrizione dell’Intesa del 1° aprile 2009, resta il fatto che l’autonomia delle Regioni nella legiferazione in materia di governo del territorio (sancita dalla Costituzione italiana), avrebbe lasciato ragionevolmente spazio a una posizione restrittiva della Regione, rispetto alla traccia dettata a livello nazionale. Dunque, siamo tutti complici dello scempio!
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