Pubblicato su politicadomani Num 76 - Gennaio 2008

Ai piedi del dio Vulcano
Un paese quasi emergente
I recenti disordini in Kenya non sono il segno di lotte ancestrali fra etnie diverse, ma di una democrazia ancora bambina in crisi di crescita

di Maria Mezzina

Una nazione giovane, una terra che fino alla sua indipendenza, il 12 dicembre 1963, ha goduto sotto l'Impero britannico di un relativo benessere. Poi il declino. Quindi, negli ultimi anni, la ripresa, minacciata ora dai disordini del dopo elezioni. Il Kenya si sta riprendendo solo da poco da una situazione economica disastrosa risultato di anni di sfruttamento e di abbandono. Fra le catastrofi naturali ricorrenti ci sono siccità e, durante la stagione delle piogge, alluvioni. A queste se ne aggiungono altre provocate dall'incuria e dall'incoscienza umane: la contaminazione delle acque causata dai rifiuti urbani e industriali; il rischio di avvelenamento delle acque sotterranee e di falda dovuto all'uso abnorme di pesticidi e di fertilizzanti chimici; le riserve d'acqua del bacino del grande lago Vittoria infettate da agenti contaminanti di diversa specie; la deforestazione selvaggia; l'erosione del suolo; la desertificazione che avanza; l'impoverimento dei terreni per eccessivo sfruttamento.
Eppure, a dispetto delle difficoltà e, nonostante il venir meno dell'ombrello protettivo dell'Inghilterra, con cui continua a mantenere ottimi rapporti diplomatici e commerciali , il Kenya ha raggiunto negli ultimi anni un tasso di sviluppo economico di tutto rispetto: oltre il 5% nel 2006. Da qualche anno ormai il Paese godeva di una relativa tranquillità politica dovuta all'affermarsi lento ma costante di forme di libertà e di democrazia, in seguito all'ascesa al potere di Mwai Kibaki (nel 2002, con il 63% dei voti), il quale, secondo la costituzione keniota è capo di Stato e capo di Governo.
Kibaki è il leader del NARC (National Rainbow Coalition), il partito di maggioranza, una coalizione multietnica - da cui il termine "Arcobaleno" (Rainbow) - che nel 2002 strappò la vittoria al KANU (Kenya African National Union), a maggioranza di etnia kikuyu, guidato da Uhuru Kenyatta, il grande sconfitto delle elezioni del 2002, figlio di quello Jomo Kenyatta che guidò il Paese all'indipendenza e ne divenne il primo Presidente. Con una revisione costituzionale nel 1982 il governo del Presidente Toroitich arap Moi, leader del KANU, dichiarò questo partito l'unico legittimo. Una sorta di colpo di mano che ufficializzava tuttavia una situazione storica: dal 1969 al 1982 in kenya c'era stato di fatto un unico partito. Nelle elezioni del 1992 e poi del 1997 l'opposizione si era presentata divisa in numerosi gruppi etnici consegnando così al KANU di Moi il governo del Paese per altri dieci anni.
Il vero tarlo del Kenya è la corruzione, più che la povertà. Ripetutamente il Fondo Monetario internazionale e la Banca Mondiale hanno sospeso gli aiuti economici per non avere il governo "combattuto abbastanza" contro la corruzione dilagante: nel 1997, ripresi poi nel 2000 in seguito alla drammatica siccità di quell'anno, nel 2001 e nel 2006.
In seguito alla salita al potere di Kibaki le condizioni generali del Paese sono un po' migliorate. Anche se la lotta alla corruzione ha avuto effetti altalenanti (membri del governo Kibaki e lo stesso Presidente sono accusati di avere approfittato della loro posizione per arricchirsi indebitamente), la crescita economica del Paese è passata dall'1,1% nel 2002 ad una crescita di oltre il 5% l'anno dal 2004 al 2006. Non solo. "Mwai Kibaki da quando è andato al potere, cinque anni fa, ha fatto delle riforme importanti: l'istruzione gratuita per gli otto anni di scuola elementare; il garantire la libertà di espressione e di stampa (per cinque anni non abbiamo avuto prigionieri politici e tanto meno assassini politici come avveniva con Moi, e mai in Kenya una campagna elettorale è stata libera come l'ultima ...)", dice a Nigrizia padre Renato Kizito Sesana, missionario comboniano, profondo conoscitore dell'Africa che vive negli slum di Nairobi, a Korogocho.
Allora, i disordini avvenuti in Kenya in seguito ai risultati delle ultime elezioni - che hanno riempito le pagine dei media televisivi e cartacei degli ultimi tempi, salvo poi, certamente, essere dimenticati se non si risolvono in tragedia sanguinosa su cui speculare ancora - vanno interpretati alla luce di fatti che vanno oltre le ipotesi scontate e un po' banali di una feroce contrapposizione fra due leader sanguinari che approfittano di una rivalità fra etnie, oppure la costruiscono ad arte, come accaduto in Rwanda.

 

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