Pubblicato su politicadomani Num 76 - Gennaio 2008

Pianeta Lavoro
Dalle morti bianche a quelle incruente
Un'accurata informazione/formazione, un giusto salario, un mercato meno marginale, restituire l'imprenditore alla propria azienda ed ai suoi veri compiti, avrebbero certamente un ruolo importante nella sicurezza sul lavoro

di Francesco De Pino

Non c'è giorno che stampa, radio e televisione non ci riportino, mestamente, notizie di morti bianche: quel tributo di sangue che la gente di "fatica" paga nell'adempiere la sua prestazione di lavoro, il suo "facere" quotidiano. Il nostro benessere sociale ed individuale è intriso di tanto sacrificio.
Non più un dovere di cronaca quel loro raccontare di vite spezzate, di famiglie nel dramma, di bimbi senza più papà, di una società sempre più povera accartocciata, com'è, nella rincorsa al profitto, o a vivere, come in alcune aree (la nostra di Calabria, per esempio), nella marginalità dei mercati, ma un servizio pieno di mestizia con l'intento di scuotere la società civile, gli addetti ai lavori, nessuno escluso, ivi comprese le istituzioni, le parti sociali, noi stessi.
Nessuno può chiamarsi fuori, nemmeno quanti trovano vantaggiosi i prodotti a prezzi stracciati: là si nasconde una storia di sfruttamento, di lavoro minorile, di uomo reso schiavo da un altro uomo, di vite spezzate o minate da malattie professionali.
Questa attenzione vuol dire partecipazione ad eventi drammatici; eventi che una corretta prevenzione, un'accurata informazione/formazione, un giusto salario, un mercato meno marginale, un restituire l'imprenditore alla propria azienda ed ai suoi veri compiti, avrebbero certamente evitato.
"L'iniziativa economica privata è libera non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana", recita l'art. 41 della nostra Costituzione. Meravigliosa, in particolare nei primi 50 articoli che invito a leggere. Purtroppo, il principio costituzionale spesso è disatteso.
Ma perché l'uomo faber muore mentre pone la sua collaborazione e le sue energie a disposizione dell'imprenditore perché questi possa raggiungere le finalità aziendali: fornire un servizio, un prodotto, e così permettere a me, a te, a tutti di soddisfare i bisogni, i più disparati? Immaginate la società, noi stessi senza quell'apporto di servizio all'uomo di cui la prestazione di lavoro è portatrice. La storia stessa dell'umanità è tutta legata alla storia del lavoro, e il sollevare l'uomo dalla fatica ha rappresentato, spesso, le varie tappe dell'evoluzione della vita sociale.

Individuare le cause
In questi tragici frangenti si cerca di dare risposte: dalla richiesta dell'inasprimento delle norme per renderle più severe, al reclutamento di nuovi ispettori, alla riscoperta del valore umano del lavoro. Ma occorre, ritengo, innanzitutto individuare le cause per trovare i rimedi da apportare.
Soltanto così trova risposta quell'invocazione di giustizia voluta da tutti e si può dare soluzione al dramma che, altrimenti, tristemente continua. Le lacrime per le vittime e l'angoscia per i feriti non risparmiano nessun lembo della nostra penisola: dal Nord al Sud.
Se nelle regioni opulente la ricerca del risultato a tutti i costi è una della cause più probabili dell'infortunio, essendo considerato qui, troppo spesso, l'uomo lavoratore al pari della macchina, ovvero, la sua prestazione una "Locatio operarum" e/o una "locatio hominis" tanto da renderlo sempre più "res" (cosa), senza alcun rispetto per la dignità umana, nel Mezzogiorno le cause sono diverse. Ritengo incidano molto al Sud la mancanza di cultura alla sicurezza (che non può essere addebitata al solo imprenditore), l'assenza di studi e ricerche da parte di università e istituzioni, la marginalità del mercato in cui l'imprenditore opera, la fragilità organizzativa della sua azienda, la mancanza di capitali d'investimento e di esercizio, le difficoltà ad accedere al credito. Tutti elementi che non danno garanzia di tenuta. A ciò si aggiunge l'aumento degli adempimenti burocratici: l'imprenditore è costretto da una legislazione vivace a un ruolo sempre più consistente e assillante di sostituto dello Stato. Troppi adempimenti, troppe carte. L'inefficienza di una parte della burocrazia nostrana è di ostacolo al suo operare, dilata i tempi operativi aziendali, non favorisce l'applicazione di leggi incentivanti, indispensabili a raggiungere competitività.
Tanto si traduce in costi di organizzazione che un piccolo imprenditore non può garantire. E così, egli è lontano dai suoi veri compiti: stare in azienda, anticiparne le criticità, trovare il giusto equilibrio tra costi-ricavi, impegnarsi nella "costruzione" della sicurezza a cui destinare le risorse necessarie che una saggia e razionale conduzione garantirebbe. Gli stessi professionisti di cui si circonda sono impegnati all'inverosimile nel labirinto degli adempimenti; sono impediti da questo incedere burocratico, che non ha senso né conosce soste, a dare un contributo alle strategie di sviluppo. E così l'azienda non ha futuro. In questo scenario l'imprenditore opera nella precarietà, vive alla giornata. E tanto la dice lunga sul nostro sistema azienda, ma di ciò non si vuole prendere atto. Ci si straccia soltanto le vesti, come nelle tragedie, e si continua a fare terra bruciata.
Mancando le risorse e il tempo, perché "costretti" ad essere diversamente impegnati, la "costruzione"della sicurezza non può che risentirne. Certamente ci sono i controlli, ma occorre che essi siano accompagnati da percorsi alla legalità con una sussidiarietà mirata, e da una burocrazia competente; con istituzioni e parti sociali pronte a svolgere un ruolo sinergico e di aiuto al datore di lavoro, quello voluto dalla 626/94 ma disatteso.

Se gli Opta, se gli enti preposti, se la Regione ...
Se gli Opta (Organismi Paritetici Aziendali) funzionassero entrando in azienda con i compiti di verifica e di assistenza voluti dal legislatore nell'art. 20 del Dlvo 626/94, quanti costi in meno per l'azienda, quanti infortuni in meno si avrebbero. Se quelle formazioni/informazioni in capo agli Enti a favore del piccolo imprenditore, così come vuole la legge (art.24 del Dlvo 626/94), avessero concreta attuazione, quanta maggiore sicurezza si avrebbe nelle aziende.
La Regione è inadempiente. È inattivato l'art. 27 del Dlvo 626 che ha istituito i Comitati regionali di coordinamento: "Organi operanti nella materia della sicurezza e della salute sul luogo di lavoro al fine di realizzare uniformità di interventi ed il necessario raccordo con la commissione consultiva permanente". Mancano, inoltre, le linee guida per la sicurezza per i vari settori di attività. Niente di tutto questo in Calabria! Ed allora, perché deve essere responsabile soltanto il datore di lavoro? Quanti oggi, dinanzi alle tragedie, possono chiamarsi fuori? Certamente, il datore di lavoro resta il responsabile, ma non è il solo.

Committenti privati
Nel settore edile una grande opera di sensibilizzazione va operata nei confronti dei committenti privati che spesso ignorano il ruolo che la legge 494/96 affida loro, là dove si parla delle responsabilità proprie del datore di lavoro. La necessità di realizzare l'opera a basso costo li porta, probabilmente, ad affidarsi ad imprese appaltatrici di basso rilievo, che spesso lavorano in nero; oppure ad aziende che a causa del prezzo d'appalto risicato risparmiano sulla prevenzione, dimenticando le responsabilità civili e penali che sono loro proprie. Da tale situazione di assenza culturale e di necessità di risparmio, fino all'osso, discende la precarietà organizzativa del cantiere. A pagare sono i lavoratori delle ditte appaltatrici e, in particolare, quelli occupati nelle imprese di installazione degli impianti, perché l'impresa che svolge i lavori non conosce i possibili rischi dell'ambiente in cui si trova ad operare. E qui la responsabilità del committente e dei tecnici cui, probabilmente, questi si affida ci sta tutta.
Ancora, può capitare che lo stesso committente, sempre per necessità di risparmio, esegua i primi lavori con aziende edili affidabili, salvo poi proseguire l'opera in economia ed in nero. Tanto, per i lavori all'interno ritiene di essere al riparo da viste ispettive e/o controlli.
In tale quadro l'adozione delle misure di sicurezza sono disattese: spesso sono solo sulla carta, senza alcun nesso concreto con il lavoro da effettuare perché, probabilmente, scopiazzate da altri programmi, dimenticando che la sicurezza è soggettiva, "costruita" per quell'opera e che il rischio è elevato ove dovesse mancare la formazione/informazione.

Dalle morti bianche a quelle incruente
Dalle morti bianche a quelle incruente, sempre nel mondo del lavoro, il passo è breve. Si pensi al dramma che la disoccupazione di lunga durata comporta. Nell'alto Jonio cosentino è sfociata in tragedia: una famiglia distrutta nel sonno da un papà disperato perché senza lavoro.
La legge di riforma del collocamento in Calabria non produce gli effetti voluti dal Consiglio di Europa e dal legislatore nazionale: danno e beffa sono un tutt'uno per inoccupati e disoccupati, con le loro famiglie, giorno dopo giorno, nel dramma della povertà. Quanti possono non muovono un dito per rimuovere gli ostacoli, pur avendo potere di pressione e di rivendicazione, funzione e capacità. Sono tristemente silenti. La Calabria è anche questo! Una stampa libera ha il dovere di parlare con l'intento di scuotere. Svolge così il suo ruolo, ancorché non gradito.

 

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