Pubblicato su politicadomani Num 76 - Gennaio 2008

Kenya-Elezioni
Kibaki vs Obinga, ma non è scontro etnico
Dietro il contrasto dei due leader per la conquista del potere si allunga l'ombra della "Jihad" islamica sostenuta dalla Cina

di Maria Mezzina

Mwai Kibaki ha riconquistato la Presidenza del Kenya con 231.728 voti di scarto sul suo rivale Raila Obinga. Solo il 3% in più. In un paese dove la corruzione la fa da padrona e le istituzioni non sono proprio un modello di democrazia, è un po' pochino. Con una popolazione divisa a metà e sospetti consistenti di brogli elettorali (da ambedue le parti nelle sedi elettorali e a favore del presidente nella conta dei voti, dicono gli osservatori internazionali) la situazione diventa difficile.
Eppure il Kenya è fra le nazioni africane più avanzate sia politicamente, che economicamente: un relativo benessere che dura da quando Kibaki è salito al potere nel 2002, ereditando dal suo predecessore, durato in carica 24 anni, una economia spaventosa. Tuttavia il Presidente ha fallito in due punti programmatici fondamentali: non è riuscito a combattere la corruzione, e il referendum sulla riforma costituzionale voluta dalla gente, che avrebbe permesso la decentralizzazione del potere è fallito.
Gli oltre 300 morti ufficiali (ma i missionari parlano di migliaia di vittime, anche decine ogni giorno) delle rivolte del dopo-voto pesano sulla coscienza di chi, puntando sulla carta delle diversità etniche, soffia sul fuoco. In realtà non ci sono rivalità etniche, la gente è sempre vissuta in armonia, dice in un'intervista telefonica Padre Emmanuel A. Owuor, giovane sacerdote keniota a Roma da alcuni anni. La vera difficoltà è politica perché con questo risultato il presidente eletto, che è anche capo di Governo, sarebbe in minoranza in parlamento, dice padre Renato Kizito Sesana, missionario comboniano a Korogocho (uno degli slum più grandi di Nairobi). La gente, aggiunge padre Emmanuel, vuole che si cambi la costituzione per separare le due cariche, ma Kibaki non vuole lasciare il potere, circondandosi di persone appartenenti alla sua stessa etnia e a lui del tutto sottomesse, e non vuole la revisione costituzionale. Interessante l'opinione di un giornalista kikuyu amico di padre Kizito, che esprime così il sentire comune: "Io ho votato nel mio collegio elettorale per un parlamentare dell'Odm [Orange democratic movement, il partito di Raila Obinga ndr], perché credo che l'Odm possa avere in parlamento una funzione importante di controllo su un possibile strapotere del presidente, ma non accetterei mai Raila come presidente. Con lui al potere fra cinque anni non avremmo elezioni truccate: non avremmo elezioni, punto e basta". È stato proprio Odinga, (etnia luo come molti dell'Odm), a mettere in campo le differenze etniche sostenendo una forma di regionalismo ("majimboism") che, se troppo accentuato, potrebbe spaccare il Paese, stringendo, perfino, una sorta di accordo segreto con i notabili della comunità musulmana, il "Memorandum of Understanding" (MoU), che proporrebbe distinzioni sulla base della appartenenza religiosa, in contrasto sia con la costituzione, sia con il progetto politico dell'Odm.
Dialogo, è la ricetta di padre Kizito, che accusa i due rivali di pensare al proprio potere più che al bene della nazione, e vede nel terzo concorrente, il moderato Kalonzo Muryoka (etnia kamba), un possibile mediatore fra i due. Un governo di transizione, sotto il controllo della comunità internazionale, e poi nuove elezioni è la ricetta di padre Emmanuel.
Le divisioni fra la gente sono artefatti dovuti a calcoli politici. È significativo un editoriale del Daily Nation indirizzato a Kibaki e Odinga: "Non c'è mai stata tanta animosità fra gente che ha vissuto insieme per molti anni come buoni vicini. Il caos che stiamo vivendo è il prodotto della élite tribale, economica e politica che si identifica con voi". Un esempio superbo di libertà e integrità intellettuale. Ambedue le fazioni, quando fa loro comodo - racconta padre Kizito - si servono dei "mungiki", una comunità di kikuyu in cui ora ci sono anche elementi di altre etnie. Nati come gruppo religioso desideroso di tornare alla religione ancestrale che venerava il suo "Ngai" (Dio) nel monte Kenya, i "muginki" sono poi degenerati in una sorta di mafia che a Nairobi controlla il trasporto e usa i suoi adepti per compiere azioni violente e criminali. Sotto il controllo di Obinga ci sono anche squadre organizzate e pagate di giovani disoccupati disperati di Kibera (slum di Nairobi, che è il più grande del Kenya). È a queste squadre che, almeno a Nairobi, va attribuita la responsabilità dei morti che ci sono stati per le strade e non alla polizia, dice ancora padre Kizito.
Nel Paese si gioca in realtà una partita importante, che va oltre lo scenario della rivalità fra due leader politici. Con i suoi progressi economici - è del 7% la crescita economica prevista per il 2007 - il Kenya è uno dei "paesi emergenti". La sua posizione geografica è strategica: appena al di sotto del corno d'Africa, affacciato sull'oceano indiano e proteso a nord verso le regioni mediorientali. Nairobi, dove si trova la seconda più importante sede Onu, dopo New York, è "il fulcro di tutte le missioni umanitarie sia sul versante somalo che su quello del Sudan meridionale - dice su "Avvenire" del 3 gennaio 2008 padre Giulio Albanese, a lungo direttore di "Nigrizia" e profondo conoscitore delle questioni africane -. Inoltre sempre dalla capitale keniana sono state coordinate con lo stesso fine, almeno in parte, delicate operazioni di intervento nei Grandi Laghi". Guardano così con interesse al Kenya sia gli Stati Uniti che l'Inghilterra, che appoggiano il presidente Kibaki. Ma stanno allungando i loro tentacoli sul Paese anche i "potentati filo islamici di vocazione jihadista, finanziati dai soliti circoli salafiti d'estrazione saudita, dietro i quali si cela "l'Impero del Drago"" che, invece, vedono di buon occhio il socialisteggiante Obinga.
Il Kenya, quindi, potrebbe diventare il campo di battaglia di interessi contrapposti: Usa e Inghilterra contro Cina (e probabilmente anche Russia), in una sorta di revival della guerra fredda. Sta all'Europa, aiutando il Paese a riprendere nelle proprie mani il suo destino e la sua storia, cercare di stroncare sul nascere questo disegno criminale dalle conseguenze certamente tragiche per un'intera area del continente africano.

 

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