Pubblicato su politicadomani Num 72/73 - Set/Ott 2007

Cinema - inchiesta - denuncia
Il paradosso di Manaus: morire di sete su un mare d'acqua dolce
Dieci domande ad Andrea Palladino e Astrid Lima, autori del film-documentario "L'acqua invisibile"

 

pd. "L'acqua invisibile" è un documentario avvincente e complesso, su un tema, quello della privatizzazione dell'acqua e dei servizi ad essa collegati, che ci vede da tempo coinvolti anche noi qui in Italia.
Potete raccontare, in sintesi, di quale particolare vicenda si occupa il vostro lavoro cinematografico?

Andrea: La vicenda inizia nel 2000, quando l'ex Governatore dello Stato di Amazonas, Amazonino Mendes, esponente di punta della destra in Brasile, decide di privatizzare il servizio di acqua potabile e di fognatura della città di Manaus. È l'inizio del disastro. Oggi 400.000 persone (circa il 25% della città) è senz'acqua: c'è chi non può pagare bollette, più care che a Roma, e c'è chi vive in periferie lontane che la compagnia privata - della multinazionale Suez - non vuole servire. Il documentario racconta come si è arrivati alla privatizzazione e quali conseguenze soffre la popolazione. Tutto questo in un contesto paradossale: essere senz'acqua nel maggior bacino di acqua dolce del mondo.

 

pd. Braulino Lima, è un personaggio che, nella sua pacata semplicità, nel documentario "L'acqua invisibile" appare come il "gigante buono", il paladino della comunità oppressa e tartassata, colui che sa cosa fare, come e quando, per proteggere la sua gente e assicurare loro il minimo vitale di acqua.
Chi è Braulino Lima?

Astrid: Ci sono diversi modi per definire Braulino, aspetti che si sovrappongono, un po' come il sincretismo brasiliano. Lui assume molti ruoli, quasi tutti per necessità. Da ex-hanseniano (ovvero persona con il Morbo di Hansen, la lebbra; in Brasile si usa questo termine meno discriminatorio rispetto a "lebbroso") sente un grande senso di appartenenza, di spirito comunitario. Vive nella Colonia do Aleixo, che è diventato ex-lebbrosario soltanto da 15/20 anni, e le conseguenze di questo apartheid sono ancora sentite tra i membri più anziani della comunità. Potevano contare solo su loro stessi, erano completamente abbandonati. Questo aspetto spiega perché il pozzo comunitario ha funzionato nel suo quartiere e non in altri. Però Braulino non è soltanto ex-lebbroso, in lui troviamo il lavoratore, il padre di famiglia, il discendente di immigrati dal nordest brasiliano.

 

pd. Accanto a Braulino - anche se molto più in alto nella scala sociale - a battersi a favore della popolazione e contro la francese Suez, multinazionale dell'acqua, c'è il giovane presidente della commissione d'inchiesta del Comune di Manaus, che appare consapevole del vicolo cieco in cui si è cacciata l'amministrazione della città e dei rischi gravissimi che minacciano la salute della popolazione. Eppure sembra che, nonostante i suoi sforzi, possa fare molto meno di Braulino.
Perché, se questa lettura è corretta?

Andrea: Paulo De Carli, il presidente della Commissione d'Inchiesta che appare nel documentario, ha certamente una visione chiara del problema. Ma anche lui poi alla fine fa parte del gioco. Oggi, a distanza di due anni dalla fine dei lavori della Commissione, nulla è cambiato. La Suez ha ottenuto quello che voleva, continuare cioè a gestire l'acqua scaricando però tutti gli investimenti sul settore pubblico. E' importate sottolineare che in Argentina, di fronte alla stessa situazione, il governo ha chiuso il contratto con la Suez e ha ridato la gestione dell'acqua al settore pubblico. Il punto è: la politica può risolvere il problema? In Brasile si dice che quando non si vuole risolvere un problema si apre una Commissione d'Inchiesta: questo è avvenuto a Manaus. Il problema dell'acqua viene poi sfruttato elettoralmente da tutti, governo ed opposizione, mentre i movimenti sociali faticano ad organizzare le persone che soffrono sulla propria pelle il gioco delle parti tra la politica e il potentato economico.
Vi è poi un quadro di accordi internazionali che proteggono sempre e comunque gli investimenti delle multinazionali. La Suez, ad esempio, ha citato in giudizio il Governo argentino dopo la rescissione del contratto…

 

pd. Il documentario è stato girato in Brasile. Perché è stato scelto questo paese? E perché proprio Manaus?

Astrid: Inanzitutto perché ci ha colpito il paradosso: una città nata sui margini del più grande bacino di acqua dolce al mondo, dove gran parte dei suoi abitanti hanno vissuto un profondo rapporto con l'acqua (come mezzo di trasporto, di alimentazione, elemento misterioso, fonte di leggende e miti) che non è in grado di fornire acqua potabile a una parte consistente della popolazione. In più la gestione dell'acqua era stata venduta in concessione ad una multinazionale, la francese Suez. Ci incuriosiva raccontare come una azienda di questa grandezza gestisse l'acqua in un posto dove c'è acqua in abbondanza.

 

pd. Fra le testimonianze raccolte per il vostro film-documentario, quali sono state quelle più importanti? E quali quelle più toccanti?

Astrid: Realizzare il documentario “L'acqua invisibile” è stata una vera sfida dal punto di vista narrativo: a Manaus non ci sono le situazioni limiti di certe zone africane o del proprio nordest brasiliano, non ci sono le persone che devono percorrere moltissimi chilometri per prendere acqua o che possono disporre di pochi litri a persona. Non si muore di sete a Manaus. Però ci siamo accorti che il rapporto culturale delle persone di Manaus con l'acqua ormai era cambiato, e anche se quest'aspetto era difficile da raccontare, per noi era ugualmente drammatico. Il fiume, l'acqua, era il filo che legava le diverse classi sociali della città, era quello che permetteva al manauara di riconoscersi. Senza questo vincolo una città amazonica diventa più anonima, più banale, assomiglia velocemente ad un qualsiasi conglomerato urbano brasiliano. Ad un certo punto del documentario abbiamo inserito un ragazzino che faceva un tuffo sul fiume, l'azione si ripete più volte. Pensiamo sia un atto di liberazione, rappresenta il desiderio manauara di tornare al fiume, a ricongiungersi con il proprio inconscio…
Allo stesso modo è stata una sorpresa verificare la totale assenza di organizzazione dei cittadini per affrontare sia il processo di privatizzazione che il suo risultato. Tutte le persone che abbiamo intervistato appaiono fragili e vulnerabili di fronte allo strapotere delle multinazionali; sembrano ammutolite, incapaci di reagire, di organizzarsi. Per un paese così vitale questo fatto è sconcertante.

 

pd. Come gran parte degli autori di documentari e di film-denuncia, tutti e due, Andrea e Astrid, siete attivamente impegnati, ormai da lungo tempo, a promuovere e a sostenere importanti battaglie civili.
Cosa c'è in comune, secondo voi, fra la situazione a Manaus e la situazione in Italia?

Andrea: il modello di sfruttamento delle risorse idriche da parte delle imprese delle utilities è lo stesso, non cambia. Abbiamo mostrato al Comitato Acqua pubblica di Aprilia il documentario: sono rimasti sorpresi dalla somiglianza della situazione di Manaus con quella della provincia di Latina. I discorsi dei CdA delle multinazionali dell'acqua è sempre lo stesso. Prima comprano le concessioni, promettono investimenti, garantiscono che il servizio migliorerà. Poi - dopo pochi mesi - dicono che, in realtà, lo Stato li ha "fregati", dando loro in mano una rete colabrodo, o con un fatturato inferiore a quanto si aspettavano; quindi chiedono al potere pubblico di intervenire per "mantenere l'equilibrio finanziario", che per loro significa sempre profitto certo. Direi che fare affari in questa maniera è fin troppo facile…
Dal punto di vista dei cittadini poi la situazione è identica: bollette che aumentano del 200-300 per cento, migliaia di persone che non riescono a pagare le fatture e che si vergognano di avere debiti per la fornitura dell'acqua potabile! È incredibile come sia in America Latina che in Europa sia il povero a vergognarsi dei piccoli debiti che la necessità gli impone, mentre le grandi corporazioni e le banche d'affari non provano nessuna vergogna per i milioni di debiti dovuti alla speculazione che fanno poi ricadere sui piccoli azionisti e sui cittadini…

 

pd. L'ombra degli artigli della Suez (come pure delle altre multinazionali dell'acqua) si sta allungando anche in Italia. Un bel libro di Giuseppe Altamore "Acqua S.p.a." lo dimostra in maniera inequivocabile, con un'eccezionale ricchezza di interessantissimi dati.
C'è speranza, secondo voi, che ci venga risparmiata una catastrofe analoga a quella di Manaus? E che cosa si dovrebbe fare per evitarla?

Astrid: Si dovrebbe ritornare all'antica concezione di democrazia: il sindaco, la giunta, un gruppo di partiti non possono decidere per la collettività senza consultare, dialogare con la propria società. È una questione di civiltà politica.

 

pd. Il documentario è un genere cinematografico "scomodo", specie se attacca poteri forti come le multinazionali e i politici che, per incompetenza, ignoranza, malafede o interesse personale, le favoriscono a danno delle comunità.
Avete trovato difficoltà, e quali, nella produzione del vostro film?

Andrea: Realizzare documentari in Italia è un'impresa eroica. Di fatto non abbiamo una vera televisione pubblica. I privati (Mediaset e la Sky di Murdoch) sono interessati al documentario solo se espressione dell'intrattenimento televisivo nel senso più commerciale del termine. Questo è lo scenario, desolante. "L'acqua invisibile" è distribuito in Italia attraverso decine di associazioni che hanno deciso di dare un piccolo contributo di 100 Euro. Grazie a questa distribuzione il documentario è stato visto da migliaia di persone in tutta Italia. All'estero è paradossalmente più facile riuscire a trovare un distributore. Proprio in questi giorni stiamo concludendo un accordo con una televisione importante in America Latina che sta acquistando i diritti.
Le difficoltà nella distribuzione si riversano poi direttamente nella produzione. Magari passano due o tre anni prima di riuscire a recuperare i costi di produzione e quindi, necessariamente, devi lavorare con budget ridottissimi. Siamo riusciti a girare questo documentario solo grazie ad una associazione coraggiosa - Liblab - che ha investito nell'idea coprendo i costi vivi.

 

pd. Il genere documentario è un cinema difficile e spesso duro. Eppure "L'acqua invisibile" ha una sua musicalità e una sua speciale poesia.
Quali sono i segreti che si celano dietro il fascino estetico del vostro film-documentario?

Andrea: Siamo chiari: "L'acqua invisibile" è un documentario pieno di difetti, ma onesto, vero, girato con amore. Non ha la "perfezione" dei documentari di National Geografic, e non la può avere. Prima di tutto, perché è nato fin da subito come documentario low-cost, con un budget che è il 10% di un normale investimento che una media televisione fa per produrre un documentario. C'è una forte indipendenza, poi, e questo è il pregio principale. Il segreto è credere in maniera assoluta nella forza delle immagini e del racconto, rimanendo critici e mettendo in discussione continuamente il proprio punto di vista. Occorre capire, cioè, che la realtà è complessa, difficile, fatta di persone che hanno una umanità straordinaria e che sono portatrici spesso di verità inaspettate. Ne "L'acqua invisibile", ad esempio, uno dei punti di forza maggiori è proprio il parallelismo tra il volto di Braulino e quello di Paraguassu, il rappresentante della Suez a Manaus. Non servono parole, basta il loro sguardo per capire cosa è realmente la privatizzazione dell'acqua.

 

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