Pubblicato su politicadomani Num 72/73 - Set/Ott 2007

Birmania
Gli interessi della Cina nella terra delle pagode
Uno spicchio di verità sulla complessità della situazione in Birmania (Myanmar è il nome imposto al Paese dalla dittatura militare al potere)

di m.m.

"La crisi in Birmania non è una minaccia per la pace mondiale e quindi le sanzioni Onu contro la giunta militare al governo sarebbero inutili". È così che Wang Guangya, rappresentante della Cina all'Onu, ha motivato il veto del suo paese alla condanna della Commissione Onu per i Diritti Umani.
Ci sono in Birmania enormi giacimenti di petrolio e di gas ancora da sfruttare. La Cina, con la sua fame di energia, ha bisogno del petrolio e del gas di cui la Birmania è ricca. Per il suo trasporto è stato progettato un oleo-gasdotto che dal porto di Akyab (Sittwee), sulla costa birmana di Arakan, arriva fino a Kunming, capitale della regione dello Yunnan in Cina, dopo aver attraversato 800 km di suolo birmano e 640 km di territorio cinese. La statale PetroChina ha sottoscritto un accordo con la giunta militare per la fornitura in 30 anni di 7,8 miliardi di metri cubi di gas. Questa "pipeline" permetterà alla Cina di superare le difficoltà che incontra nel trasferire le preziose fonti di energia dall'Africa e dal Medioriente attraverso lo stretto di Malacca, dove passano ora 11 milioni di barili al giorno. Un megaprogetto, dice la Shan Herald Agency for News, che farà impallidire l'esodo forzato di oltre 300mila persone di etnia Shan (il 9% della popolazione) dalla loro regione, in seguito alla legge sulla cittadinanza del 1982.
Con questo progetto, inoltre, la Cina potrà affacciarsi sul Golfo del Bengala, un nodo strategico di primaria importanza anche per la marina Statunitense perché da lì è possibile controllare il traffico sull'oceano indiano. Dal golfo potranno partire le merci cinesi per l'India, il Medioriente e anche l'Europa. È per questo, quindi, per consolidare la propria presenza nel Paese a difesa dei suoi interessi, che la Cina è disposta a costruire anche un'autostrada che dal nord della Birmania arriva al nordest dell'India. Vi saranno impiegati 40mila operai cinesi che andranno ad aggiungersi a quell'oltre un milione di cinesi, contadini, operai e commercianti, che negli ultimi dieci anni si sono trasferiti in Birmania.
L'impegno con cui la Cina sta sostenendo la giunta militare è legato anche ad altri interessi economici: "gli scambi commerciali ufficiali sono stati di 1.11 miliardi di dollari nei primi 7 mesi del 2007 (+39,4% rispetto al 2006), ma ad esso va aggiunto il commercio illecito di stupefacenti, legname e pietre preziose", dice Asianews (agenzia del Pime specializzata sull'Asia). Pechino ricambia in armi, manifatture di ogni tipo e finanziamenti garantiti dal gas: nel 2003 ha prestato 200 milioni di dollari per un impianto idroelettrico vicino Mandalay, con l'obbligo, tuttavia, di utilizzare per le opere materiali ditte e mano d'opera cinese.
Tutto questo farebbe parte di normali rapporti commerciali fra due stati sovrani se non pesasse sulla giunta militare birmana l'accusa internazionale di pesanti abusi sulla popolazione, fra cui la distruzione di campi e villaggi, le deportazioni di massa, le uccisioni, gli arresti, le detenzioni arbitrarie, e l'uso di detenuti, a migliaia, per i lavori forzati.

 

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