Pubblicato su politicadomani Num 72/73 - Set/Ott 2007

La capacità di aggregazione e di radicamento sul territorio del nuovo partito, più che dal programma, dipenderà da quale forma sapranno dargli i suoi vertici
Candidati sotto la lente Partito Democratico, una carica scomoda
Il Partito Democratico sarà veramente nuovo se saprà inaugurare un nuovo modo di fare politica, rivolgendosi all'esterno, nel rispetto delle autonomie territoriali, e operando all'interno, nel rispetto di un metodo che compone nel dialogo la pluralità di vedute. Più che di programmi, largamente condivisi sia a sinistra che a destra, c'è bisogno di inventare strutture capaci di dare vita ad un nuovo soggetto politico a dimensione "orizzontale" tale da superare l'autoreferenzialità in cui è caduta e continua a dibattersi la politica. Preparazione, fantasia e coraggio sono i presupposti di un lavoro difficile a cui saranno chiamati i quadri del futuro partito, a cominciare dal suo Segretario

di Maria Mezzina

La fusione nel Partito Democratico e di conseguenza la scomparsa dei Ds, eredi (al centro) del Partito Comunista, e della Margherita, erede (a sinistra) della Democrazia Cristiana - partiti storicamente molto diversi e, su certi temi, addirittura in antitesi - è un buon segnale su cui anche la destra dovrebbe riflettere. È il segno della volontà di superare non solo la frammentazione del sistema politico attuale, ma anche la incomunicabilità che viene dalle differenze di vedute. Bandita la parola "ideologia" di cui nessuno vuole più parlare, rimangono, tuttavia, posizioni spesso preconcette (e in quanto tali insanabili) che negli ultimi venti anni hanno bloccato la democrazia di questo paese. Penso al tema delle 36 ore, alle unioni di fatto, al nucleare, alle missioni militari, alle pensioni. Superare in un dialogo aperto e leale queste posizioni in nome del servizio al paese è quanto chiede l'opinione pubblica e, con essa, ripetutamente, i massimi vertici dello Stato, a partire dagli ultimi Presidenti della Repubblica: Napolitano e Ciampi.
Che poi la nascita del nuovo partito rappresenti veramente una svolta politica per il paese, dipende molto da come i candidati a segretario nazionale intendono il partito stesso.
Vale la pena, allora, leggere attentamente il programma con cui essi si presentano alle primarie del 14 ottobre (sul sito www.ulivo.it). Una lettura non facile, perché a volte - come nel caso di Veltroni - bisogna cercare con fatica all'interno di un lungo discorso la struttura di partito che il candidato ha in mente.
Non me ne vogliano i tre candidati che hanno minori chance di arrivare sia pure a un ballottaggio (Adinolfi, Gawronki e Gavazzoli Schettini) se in questo articolo mi limiterò a fare alcune riflessioni sul programma politico dei soli Veltroni, Bindi e Letta. Ma qui non si tratta di scegliere una persona: attraverso la persona, si tratta di scegliere una forma partito, cosa ben più importante della persona stessa.
La lezione di Grillo insegna che bisogna superare il personalismo, che occorre essere attenti alle esigenze della gente, che la partecipazione non sia sacrificata e umiliata, che si aprano spazi politici ai giovani e alle associazioni che operano nella società civile: quelle del volontariato, le associazioni imprenditoriali, quelle di categoria, quelle sindacali. Tutte realtà che fanno da motore del nostro paese. È così, in fondo, con queste qualità che tutti e tre i candidati dipingono il Partito Democratico; le modalità per realizzare un tale partito non sono del tutto chiare ma, si sa, il peso si aggiusta lungo il cammino.
Il programma politico del nuovo partito è pressoché identico, con sfumature diverse a seconda della sensibilità dei candidati: maggiore attenzione al ruolo delle donne per Rosy Bindi, misura e concretezza da parte di Enrico Letta, ispirato al principio del "volare alto" il programma di Veltroni.
Ciò che colpisce, però, è l'approccio personale dei tre candidati: radicalmente diverso e, direi, perfino antitetico.
Partiamo da Veltroni, dato per nettamente favorito. Walter Veltroni, classe 1955, giornalista, è praticamente cresciuto all'ombra prima del Pci e poi del Pds, di cui conosce bene la struttura e il funzionamento verticistico. Difficile dire quale forma di partito ha in mente Veltroni, a meno che non si pensi che la sua personale esperienza, seppure mitigata dal doppio mandato come sindaco di Roma, lo facciano propendere per una struttura di tipo verticistico: più che un programma di lavoro per costruire il nuovo partito, il suo è piuttosto un elenco di suggerimenti e "ricette" che egli propone per risolvere i grandi problemi del Paese (li tocca tutti, quasi fosse il discorso programmatico di un Capo di governo appena insediato). Inevitabile, quindi, che le ricette rimangano nel vago e nel generico, anche se sono enunciati con una certa retorica oratoria, in modo da "toccare le corde del cuore". Nulla di male, se non fosse che quest'approccio e la sua militanza storica non facessero venire il sospetto che Veltroni voglia dare al partito una forte impronta personale ("alla Berlusconi", tanto per intenderci). E sappiamo (e più ancora la sanno Forza Italia e la Casa delle Libertà) a quali difficoltà va incontro un partito di questo genere. L'amico Veltroni potrebbe obiettare che il programma sul sito è, in realtà, un discorso da lui fatto a Torino in presenza del sindaco della città e che, quindi, del discorso ha tutte le caratteristiche retoriche ed oratorie. È vero, ma sarebbe bene mettere da parte i "discorsi" e - senza per questo volare affatto basso - evitare il personalismo: perché il politico, leader, quadro, o semplice iscritto, dovrebbe essere sempre al servizio della comunità e, per farlo bene - soprattutto il leader - dovrebbe sapersi confondere nel gruppo, mantenendo tuttavia la sua capacità di guida e di ascolto.
Molto più sobrio nel linguaggio il programma di Rosy Bindi, classe 1951, laureata in Scienze politiche e allieva di Vittorio Bachelet, al cui fianco si trovava quando il giurista fu ucciso dalle Brigate Rosse. La Bindi ha una lunga e pregevole storia di impegno politico, e di governo, di cui ha fatto parte ripetutamente in qualità di ministro. Anche lei "vola alto" e fa piacere vedere come una donna - la Bindi, che è allieva della grande Tina Anselmi, della quale ha ereditato intelligenza, cultura politica, forza e tenacia, ha speso la vita in politica, anche come europarlamentare, in posizioni di primaria responsabilità -, abbia saputo indicare con chiarezza e lungimiranza i compiti e i ruoli del nuovo partito, nel quale vede le donne occupare posizioni di rilievo.
Non c'è molta differenza fra il partito che dipinge Veltroni e quello della Bindi. C'è però, ed è fondamentale, una differenza fra i due nel rapportarsi personalmente al partito: da leader riconosciuto e indiscusso Veltroni; pronta a servire il partito, dedicandosi alla sua costruzione e rinunciando per questo ai suoi impegni di governo, la Bindi.
Infine Enrico Letta, classe 1966, il più giovane, e il più “titolato” dei tre, con una laurea in Diritto internazionale e un dottorato in Diritto delle Comunità europee. Competenze che fanno del giovane Letta la punta di diamante di un partito nel quale, inevitabilmente, tutti e tre i candidati a segretario avranno un ruolo importante.
Il programma di Letta non è una dichiarazione di che cosa dovrebbe fare il partito in politica interna, in politica economica, o in politica estera. Egli distingue fra "programma" e "forma partito" e preferisce affrontare questo secondo tema.
La scelta di occuparsi della "forma partito" non significa che egli rinuncia ad esprimere la propria idea sui grandi temi nazionali e internazionali su cui il nuovo partito dovrà comunque esprimersi. È, invece, il suo modo di chiarire agli altri come e perché il Partito Democratico inaugurerebbe una nuova stagione politica. Letta parla di un partito dove c'è spazio per il dialogo perché vi trovano spazio diversità di vedute e autonomie: non un partito personalista, fatto ad immagine e somiglianza del leader, né un partito centralista e verticistico, ma un partito con una forte diffusione sul territorio, dove è il territorio a decidere per le proprie strutture e i propri vertici. Un partito "orizzontale" contrapposto al partito "verticale" o verticistico di vecchia concezione.
Un partito che, più che di leader, ha bisogno di "tessitori". Gente cioè che, posta di fronte a tanti fili diversi, è capace di prenderli in mano tutti, e di intrecciarli in modo da farne la trama ordinata di un bel tessuto, con dei bei disegni.

 

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