Pubblicato su politicadomani Num 70/71 - Giu/Lug 2007

Le imprese straniere in Italia

di m.m.

Sono oltre 100mila in Italia le imprese i cui titolari hanno cittadinanza straniera e molte di più, 230mila, quelle i cui titolari sono nati all'estero (fonte: Dossier Statistico Immigrazione, Caritas/Migrantes 2006). Da uno studio di Unioncamere, Nomisma, CRIF e Adiconsum, "Comportamenti finanziari e creditizi della società multietnica" (18 aprile 2007) risulta che il 70% di esse hanno rapporti con le banche, specie quelle più piccole: segno del legame ancora forte fra territorio e istituti bancari. C'è quindi un fiorire di imprese che dimostra la volontà di integrazione degli immigrati e la loro capacità di investimento. Inevitabile che le banche guardino a queste realtà produttive con molto interesse.
Si tratta di un'imprenditoria giovane, il 15% degli imprenditori immigrati ha meno di trent'anni; con un buon livello di istruzione, il 66% ha frequentato la scuola oltre i 17 anni; stabile, il 67% dicono di voler rimanere in Italia per sempre; in espansione, le imprese crescono al ritmo del 10% annuo, erano circa 100mila solo cinque anni fa. Le imprese straniere si concentrano soprattutto nel commercio (oltre il 40%), nelle costruzioni (30%) e nei servizi (13,5%), meno nel settore manifatturiero, dove però le 25mila aziende (il 50% del settore) sono impegnate nel tessile-abbigliamento.
Nonostante alcuni margini di rischiosità, si tratta di una clientela appetibile per le banche e gli istituti finanziari; una clientela con cui fare buoni affari, disposta a crescere e ad investire.
Anche le imprese giudicano generalmente buona la qualità dei servizi, anche se si lamentano della crescita del costo del debito, solo il 27% giudica i servizi più severamente: appena sufficienti o addirittura pessimi. Un buon rapporto garantito anche da speciali agenzie di rating che indagano sulla affidabilità delle imprese, e che lavorano per conto delle banche; solo il 15% delle richieste di finanziamento sono state rifiutate.
I prestiti servono in genere ad iniziare o ad ampliare l'attività; ma sono stati concessi prestiti anche per l'acquisto o per la ristrutturazione della prima casa (26%). Quasi sempre gli imprenditori stranieri investono nell'impresa i propri risparmi e le risorse che ottengono da parenti e amici. L'ammontare medio dei finanziamenti bancari è modesto, poco più di 10.000 euro, pari al 15% del capitale necessario. L'autofinanziamento è la modalità prevalente, specie nei settori delle costruzioni e dell'agricoltura; amici e parenti intervengono per il 16%; altri istituti finanziari per il 5%. L'apporto del finanziamento pubblico è quasi inesistente, solo il 2,3% nonostante le politiche pubbliche di sostegno all'imprenditoria, segno della difficoltà di rendere operativi gli strumenti collegati.
Ricorrono più alle banche gli europei dell'Est e gli africani; fra i cinesi è prevalente il sostegno della famiglia e della comunità; le imprese di servizi e manifatturiere ricevono i finanziamenti più elevati. Sono invece le attività nell'agricoltura, nelle costruzioni e nei servizi le meno apprezzate dalle banche.
Gli imprenditori stranieri trattano per la quasi totalità con banche italiane e in molti, il 64%, con una sola banca. I finanziamenti accordati sono soprattutto rateali e a scadenza ravvicinata oppure mutui a lunga scadenza. Ma sono numerosi anche i fidi di conto corrente con garanzie economiche (redditi e buste paga) e relazionali (associazioni, confidi e garanti esterni).
La fiducia accordata dalle banche alle imprese degli stranieri è indice di un'affidabilità che persiste. Ciò accade nonostante il tasso di rischiosità POI (Piccoli Operatori Immigrati) stia aumentando - dal 9,22% del 2003 al 14,41% del 2006 - e abbia superato il POE-DI (Piccoli Operatori Economici-Ditte Individuali) che invece si mantiene costante intorno al 10,5% , mostra anzi una tendenza a diminuire (10,11% nel 2006). Un fenomeno che va tenuto sotto controllo.

 

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