Pubblicato su politicadomani Num 69 - Maggio 2007

I limiti di Banca Mondiale e FMI
Washington Consensus
Le grandi ombre che si stagliano sull'operato degli organismi finanziari internazionali sono il risultato di meccanismi di protezione dei più forti contro la pressione dei più deboli

di m.m.

Nonostante le buone intenzioni iniziali, i limiti di cui soffrono i primi organismi finanziari internazionali, Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale (FMI), hanno due nomi: "Washington Consensus" e "Indebita generalizzazione" (ovvero: "Politiche del Washington Consensus").
Partiamo dall'ultimo. Nei decenni successivi la seconda guerra mondiale i paesi dell'America Latina versavano in condizioni economiche disastrose: inflazione dilagante, debito pubblico altissimo, bilanci fuori controllo. Nonostante la forte crescita di alcuni di questi paesi la situazione economica interna rimaneva instabile e a forte rischio di collasso totale. Probabilmente a causa di un eccessivo intervento dello Stato nell'economia, osserva Joseph Stiglitz (S. Stiglitz, "Gli oppositori della globalizzazione", Einaudi, 2002, pag.15). Negli ambienti della Banca Mondiale e del FMI, fra gli addetti ai lavori, vennero formulate idee di intervento e vere e proprie teorie per cercare di sollevare quelle situazioni di caos economico. Queste teorie vennero poi accettate come teorie generali sempre applicabili: buone, cioè, per qualsiasi circostanza e in ogni contesto. È proprio l'applicazione di queste teorie a contesti affatto diversi da quello dei paesi sudamericani che ha determinato in moltissimi casi il fallimento delle politiche dei due organismi internazionali.
Più difficile da superare e più inquietante è il primo limite. Il "Washington Consensus" è una sorta di "identità di vedute fra il FMI, la Banca Mondiale e il Tesoro degli Stati Uniti circa le politiche "giuste" per i paesi in via di sviluppo" (J. Stiglitz). Di quali politiche "giuste" si tratti è diventato chiaro negli anni '80, quando il presidente Donald Reagan negli Stati Uniti e il primo ministro inglese Margareth Tatcher hanno fatto della austerità, della privatizzazione e della liberalizzazione i tre pilastri della politica del Washington Consensus. L'inquietudine che il Consensus suscita sta nel fatto che tutte le istituzioni economiche internazionali (Banca Mondiale, FMI e WTO) sono dominate dai paesi più forti e dai loro interessi commerciali e finanziari: le attività della Banca Mondiale e del FMI si svolgono quasi tutte nei paesi in via di sviluppo. È inoltre verso questi paesi che si dirigono i prestiti internazionali eppure, anche se l'elezione avviene a scrutinio segreto, per consuetudine o per tacito accordo, a capo del FMI c'è sempre un europeo e a capo della Banca Mondiale c'è sempre un americano. Il fatto poi che si tratti di persone non competenti di finanza internazionale non è un ostacolo, tanto la carica e le decisioni da prendere sono soprattutto politiche. Questo perché i rappresentanti dei vari Stati sono per il FMI i Ministri delle finanze e i Governatori delle Banche centrali; e per il WTO i Ministri del commercio. Tutta gente che viene dal mondo della finanza e ad esso ritorna, dopo il mandato istituzionale, senza mai avere tagliato i ponti. Questo tipo di governance e di rappresentanza sono per i paesi più poveri una miscela mortale di interessi e legami - quasi sempre governati da rapporti di forza e ricatti di ogni tipo, più che comuni nel mondo dell'alta finanza - che gioca quasi sempre contro di loro.
Lo scopo originario di tali istituzioni si è gradualmente trasformato nel tempo, fino a renderle entità che perseguono finalità completamente diverse da quelle per cui sono nate. Gli accordi che dovevano garantire la libera circolazione di beni e servizi si sono di fatto risolti in imposizione di regole e tariffe decise dalle multinazionali. Privatizzazione e libero mercato sono diventati i feticci sul cui altare è stato sacrificato il diritto di intervento dello Stato a tutela di tanta gente povera dei paesi in via di sviluppo, e anche meno povera ma a rischio di povertà dei paesi industrializzati.

 

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Num 69 Maggio 2007 | politicadomani.it