Pubblicato su politicadomani Num 69 - Maggio 2007

Crisi in medioriente
Italia-Iran: un dialogo aperto
Non ci sono mai state fra i due paesi vere crisi diplomatiche, anzi l'Italia è fra i migliori partner commerciali dell'Iran, che oggi vede nel nostro paese il miglior mediatore per il caso del nucleare

di Claudio Ferrante

Lamberto Dini, Presidente del Consiglio durante gli anni '90, ha detto dell'Iran: "Certo, noi abbiamo buoni rapporti con l'Iran; rapporti economici ma anche di amicizia. Io stesso, da primo ministro, ho contribuito a creare questi legami con l'allora governo Khatami. Ma gli accordi commerciali sono venuti solo in seguito alla costruzione di buoni rapporti diplomatici. Sulla questione nucleare siamo perfettamente allineati con la posizione dei paesi europei: se l'Iran si rifiuta di collaborare, approveremo l'inasprimento delle sanzioni. Cerchiamo di migliorare i nostri rapporti con i Paesi del Medio Oriente, per Siria e Iran gli Stati Uniti non gradiscono che ci siano rapporti diretti tra governi, a meno che non lo facciano loro. Fortunatamente i contatti che non si possono allacciare a livello governativo si possono instaurare a livello parlamentare." Il nostro paese infatti, come affermato anche dal premier francese De Villepin, ha conoscenze approfondite della repubblica islamica perché l'Italia, che è molto attiva nell'import di greggio e gas e nell'export di macchinari industriali di cui la repubblica islamica necessita, costituisce "il primo partner commerciale" di Teheran. A conferma c'è la Camera di Commercio Italo-Iraniana, fondata nel 1999, e l'accordo del 2001 tra la banca iraniana Bank Markazi e l'UBAE Arab Italian Bank, joint-venture arabo-italiana per il finanziamento delle importazioni iraniane dall'Italia. Anche l'ENI è attiva in Iran in due giacimenti, uno petrolifero e uno a gas. E c'è un altro aspetto interessante della questione: l'Italia, che tramite l'ENI continua a intrattenere rapporti commerciali con Teheran, sta violando in sostanza l'ILSA (Iran-Libya Sanction Act) dell'amministrazione Bush, promulgato nel 2001, che imporrebbe sanzioni a chiunque contribuisca a favorire lo sviluppo delle risorse petrolifere iraniane e libiche: questo perché le ricchezze così incamerate dai due stati indirettamente favorirebbero in quelle regioni il progresso delle ricerche e delle tecnologie volte allo sviluppo del nucleare a scopi bellici. La minaccia statunitense è la solita: un attacco "mirato" contro gli impianti dove si sta sviluppando la ricerca nucleare in Iran. In vista di una ipotetica crisi l'Italia si è allineata con Russia e Cina: paesi che avrebbero molto da perdere economicamente nella prospettiva di un attacco all'Iran.
Già in altre occasioni l'Italia ha dimostrato particolare attenzione nei confronti dell'Iran, adoperandosi per sanare situazioni di contrasto fra le nazioni europee e l'Iran. Come quando, nel maggio del 2000, il nostro paese ha impedito il varo di una dichiarazione dell'Unione Europea di dura condanna nei confronti dell'Iran in seguito alla chiusura di una ventina di quotidiani riformisti. Secondo quanto rivelano fonti diplomatiche, l'Italia avrebbe chiesto ai partner di "evitare azioni precipitose in ambito internazionale", nel timore che potessero risultare controproducenti per lo stesso presidente riformista Mohammed Khatami. Sempre per rafforzare Khatami, l'Italia ha rispettato gli impegni presi con Teheran per migliorare la categoria di rischio paese attribuita dall'Ocse all'Iran (attualmente categoria 5 su otto; in passato l'Iran ha occupato anche la categoria 6 corrispondente a rischio elevato) e far approvare dalla Banca Mondiale due prestiti per un valore complessivo di 230 milioni di dollari.
Allo stato attuale i rapporti tra l'Iran e la comunità internazionale potrebbero diventare problematici a causa delle tensioni con gli Stati Uniti. È interesse dell'Italia, oltre che di tutta l'Europa, far sì che queste tensioni, all'origine delle quali ci sono ragioni in parte palesi e in parte nascoste, si risolvano pacificamente.
Da anni l'Iran sta progettando la realizzazione di una terza borsa petrolifera che si affiancherebbe e si renderebbe così alternativa alle altre due già esistenti, la IPE (International Petroleum Exchange) di Londra e la NYMEX (New York Mercantile Exchange) con sede a New York, ambedue controllate dai vertici USA, che utilizzano il dollaro come moneta commerciale. La nuova borsa vedrebbe il cambio in euro e quindi a vantaggio degli stati europei: è esattamente quello che voleva fare Saddam Hussein prima che scoppiasse la seconda guerra del Golfo (cfr. Politica Domani n. 1, gennaio 2001), e probabilmente è anche la ragione principale - nascosta dietro la scusa delle armi di distruzione di massa - per cui poi la guerra è effettivamente scoppiata.
In questo momento, inoltre, la posizione italiana in un eventuale conflitto è particolarmente critica in quanto l'Italia è disposta militarmente nella zona di Herat a nord-ovest dell'Afghanistan, al confine con l'Iran: un zona che dall'Iran subisce influenze culturali, religiose e di lingua (è diffuso lì infatti il Dari che è una variante del persiano moderno e il Farsi che si parla in Iran). Una iniziativa militare nei confronti dell'Iran non potrebbe non coinvolgere le nostre forze (anche se è necessaria una esplicita volontà del governo): la posizione logistica dei militari italiani infatti fa sì che in caso di conflitto senza preavviso, essi siano in "prima linea" e con l'impossibilità di opporsi all'aggressione.
È bene dunque che la linea del governo italiano sia chiara e tempestiva. Ci sono segnali che l'attuale governo si stia muovendo in questa direzione. È proprio della settimana scorsa una dichiarazione del negoziatore iraniano sul nucleare, A. Larjiani, il quale ha detto di aver ricevuto da Prodi idee per una soluzione pacifica del contenzioso sul nucleare iraniano. Un fatto, questo, che sta a testimoniare l'impegno dell'Italia in sede internazionale sulla questione iraniana ed è indice delle relazioni ancora sane fra i due paesi.
All'inizio degli anni '80 l'Iran dell'Ayatollah Khomeini a causa della crisi con l'Iraq (Saddam Hussein era allora sostenuto e armato dai paesi occidentali e dagli Stati Uniti) era stata ormai decretata come la pista di lancio dalla quale sarebbe partita la terza guerra mondiale. In quegli anni arrivarono in Italia, specialmente a Napoli, molti studenti iraniani, sia per studiare nelle nostre università sia per sfuggire al regime teocratico, inserendosi bene nel nostro tessuto socio-culturale e formando famiglie miste aperte in termini di usi socio-culturali e libere nelle scelte religiose.
L'Iran ha dimostrato a più riprese di essere una nazione che ha sempre mantenuto una posizione moderata, indipendentemente da chi è al potere. Il popolo iraniano, anche negli anni del fondamentalismo Islamico di Khomeini, ha conservato la sua aspirazione alla democrazia creando movimenti di opposizione ai regimi teocratici e di appoggio ai governi più aperti.
Per certi versi l'allargamento all'Iran del conflitto in corso in Iraq e in Afghanistan appare inevitabile: a causa delle accuse contro Israele dei vertici al potere, continua ad avere un ruolo la necessità per Israele di difendersi da possibili aggressioni e rimane l'accusa di essere l'Iran nazione alleata di tutti, o quasi, i gruppi terroristici di matrice islamica. Sta all'abilità e alla lungimiranza dell'Italia, nella sua posizione di mediatrice per la pace, forte delle proprie relazioni commerciali e diplomatiche, e a difesa della sicurezza dei nostri soldati schierati in Afghanistan, cercare di fermare un treno che sembra essere già partito e in corsa.

 

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Num 69 Maggio 2007 | politicadomani.it