Pubblicato su politicadomani Num 69 - Maggio 2007

Editoriale
Una promozione importante

di Maria Mezzina

Il 3 maggio i giornalisti di tutto il mondo hanno celebrato la 17° giornata della libertà di stampa. Di solito celebrazioni e commemorazioni servono a due scopi: ricordare qualcosa e denunciare che quello che si sta celebrando è a rischio. La libertà di stampa non fa eccezione.
Due rapporti sulla condizione della libertà di stampa nel mondo pubblicati da due Agenzie indipendenti, la francese Reporters sans frontières (Rsf) e la statunitense Freedom House, tracciano il quadro della situazione. "Nel 2006 sono aumentate le minacce alla libertà di stampa", titola nel suo rapporto l'Agenzia americana. Le fa eco Rsf che dice che mentre da una parte viene indebolita la libertà di stampa anche nei paesi attenti al valore della libertà, dall'altra la concentrazione di potere che Google si sta costruendo con l'acquisizione di colossi del web quali Youtube, Aol e ad aprile anche Doubleclick, vincendo la competizione con Microsoft, desta preoccupazione e sconcerto. Tanto più che a transazione appena avvenuta, mentre i siti di Rsf e Amnesty International risultavano non raggiungibili per imprecisate (e sospette) difficoltà tecniche, il governo cinese si congratulava con Google. Ricordiamo, a proposito, che Google è stata molto criticata per aver accettato di eliminare dalla sua edizione cinese di Google News le fonti sgradite al governo di Pechino, avallando così come informazione solo quella "gradita" ai vertici della RPC.
Una guerra senza esclusione di colpi, quella del controllo di internet; fatta a colpi di genio e di creatività fra gli utenti, che hanno scoperto nel web uno spazio di libertà quasi infinita, e le società che continuano a limitare questi spazi: vuoi per motivi economici, con la scusa della difesa della cosiddetta "proprietà intellettuale" sancita dai trattati internazionali (TRIPS) dell'OMC/WTO, vuoi per motivi di opportunità politica, a causa delle pressioni dei governi (e dei potentati che si nascondono dietro i governi), attenti a controllare la diffusione delle idee e a costruire consenso.
E mentre sulla rete si sta conducendo una battaglia all'ultimo bit a suon di miliardi di dollari (Google ha comprato Doubleclick per 3,1 miliardi di dollari), l'indipendenza dei mezzi di comunicazione va peggiorando. Non solo la proprietà delle grandi testate si concentra nelle mani di pochi colossi dell'editoria e della comunicazione o di generici multimiliardari interessati solo al guadagno, ma anche non pochi governi si danno da fare per eliminare il dissenso tappando la bocca ai giornalisti in modi più o meno aperti e più o meno cruenti e promulgando leggi volte a limitare la libertà del giornalista a fare informazione e del lettore ad essere informato.
Negli ultimi dieci anni, riferiscono i rapporti delle due Agenzie, il progresso verso la libertà di stampa si è fermato e nel 2006 in molti paesi è regredito. La situazione peggiora ovunque: in Africa e in America Latina, in Asia e nell'Europa dell'Est. Il peggioramento va di pari passo con le situazioni di conflitto permanente (come in Africa e in Medioriente), o di governi autoritari (come in Cina e in Russia), o di democrazia azzoppata (come in America Latina, negli Stati Uniti e anche in Europa).
Caso a parte - che ha avuto un grande rilievo in ambedue i rapporti - è quello italiano. L'Italia fino al 2005, unico fra i paesi dell'Unione Europea, era classificato come paese "parzialmente libero": la grave insufficienza era il risultato non solo della concentrazione nelle mani di una sola persona del potere politico, del potere economico e del potere mediatico, ma anche a causa di una serie di comportamenti repressivi e intimidatori nei confronti di giornalisti (emblematici i casi di Biagi e Santoro) e di redazioni di giornali, che hanno subito incursioni e controlli della polizia nelle loro sedi. In seguito all'uscita di scena dal governo (ma non dalla politica) di Berlusconi, un anno fa, il nostro paese è salito nel gruppo dei paesi "liberi"; ultimo, tuttavia, nella classifica dei paesi europei, al 24° posto, e al 61° posto (su 195) nella classifica generale.
Questa performance così povera dell'Italia nostro paese non è solo questione di pressioni che vengono dall'esterno: si tratta anche di un certo modo di fare informazione: un po' gridata, un po' opportunistica, un po' servile. Un modo che, in parte, è anche il risultato di una situazione dove, accanto a una buona dose di approssimazione, incertezza e precariato regnano sovrani.

 

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