Pubblicato su politicadomani Num 69 - Maggio 2007

Repubblica Popolare Cinese
China Town
Nei laogai, "campi di rieducazione attraverso il lavoro", sono rinchiusi, ai limiti della sussistenza, piccoli criminali ma anche sacerdoti e oppositori politici della RPC. La detenzione dura fino a tre anni. Ripetute condanne possono portare però ad esservi rinchiusi anche per trent'anni

di Alberto Foresi

La Cina è un universo per molti aspetti sconosciuto in cui ciò che non deve essere conosciuto non viene realmente conosciuto. E il continuo aumento degli interessi commerciali verso la Cina non facilita l'emergere dei crimini contro l'umanità che sono perpetrati diffusamente senza suscitare alcuna protesta istituzionale. Se nel XX secolo ci sono stati i campi di sterminio nazisti e comunisti, nel XXI tali pratiche sono tuttora presenti in Cina. Si chiamano laogai, "campi di rieducazione attraverso il lavoro", introdotti in Cina a partire dal 1957. Essi servono a punire i criminali minori, come vandali e piccoli ladri, ma anche a tenere rinchiusi attivisti per i diritti umani e la democrazia e, più in generale, tutti coloro che non rispettano le repressive politiche sociali e religiose del governo. Sono centinaia i vescovi ed i sacerdoti che, per non aver voluto rinnegare il Papa, sono passati in questi campi, sparsi per tutta la Cina. Analoghe sofferenze hanno patito la comunità islamica cinese e i Tibetani, che hanno visto la loro nazione invasa e sconvolta dalle armate cinesi nel 1950 nell'indifferenza delle nazioni occidentali, più interessate al petrolio che al latte di yak e alla religione buddista.
Perché campi di lavoro e non di prigionia? Perché per essere rinchiusi all'interno dei laogai non serve un processo. La detenzione fino ad un massimo di tre anni è a totale discrezione delle forze di polizia locale, che in nome della stabilità sociale possono decidere l'imprigionamento di soggetti ritenuti genericamente "pericolosi". In pratica, in assenza anche della forma più ingiusta di giustizia, ci vuol poco per finirvi dentro, forse basta solo qualche delazione. Questo sistema giuridico, che permette infatti alla polizia di punire senza processo i "criminali minori" con una pena che varia da uno a tre anni di lavori forzati nei laogai, è finalizzato a minare il morale e la resistenza di leader religiosi o politici, e proprio l'arbitrarietà del giudizio costituisce un fattore di massima deterrenza. Per le pene detentive più lunghe è invece necessario un processo che solitamente, secondo i canoni della giustizia cinese, divisa tra una teoria garantisca e una prassi quanto meno inquisitoria, è ben lungi dal potersi definire equo.
Il funzionamento dei campi è poco conosciuto perché non vi sono leggi e regolamenti pubblici che ne regolano l'amministrazione. Non è pubblico neanche il numero di coloro che vi sono detenuti: secondo stime semi-ufficiali, sarebbero 300mila. Secondo fonti non ufficiali, il numero sale fino a quattro milioni. È comunque un errore vedere in questi campi di lavoro la riproposizione dei campi di rieducazione messi in atto in Cambogia da Pol Pot, vero e proprio strumento per l'attuazione di un genocidio e palestra di violenza e di sadismo. Nei laogai cinesi la componente repressiva non è fine a se stessa ma rientra in un ben più vasto orizzonte produttivo. Vi sono infatti molte prove sull'uso commerciale dei laogai, la cui popolazione carceraria viene utilizzata per l'industria, soprattutto nelle lavorazioni ad alta pericolosità e probabilmente nell'attività estrattiva mineraria che da sola causa, per le pressoché inesistenti misure di sicurezza, decine di migliaia di morti ogni anno. In pratica assistiamo al riemergere di un metodo produttivo schiavile che garantisce una produzione a bassissimi costi, costi che coincidono con la mera sopravvivenza dei detenuti. E voci non confermate parlano anche di espianti di organi, esperimenti medici e farmacologici su cavie umane, aborti e sterilizzazioni forzati e altre pratiche universalmente condannate che pensavamo ormai relegate solo ad epoche passate.
È la fusione in un miscuglio micidiale del peggio dei due materialismi del nostro tempo, quello capitalista e quello comunista… E il miracolo economico cinese, un poco alla volta, assume una fisionomia sempre più inquietante.

 

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Num 69 Maggio 2007 | politicadomani.it