Pubblicato su politicadomani Num 69 - Maggio 2007

Ragioni di un fallimento
Il calcio dei poveri
Nonostante l'Africa sia un serbatoio praticamente infinito di talenti, le squadre di calcio dei paesi africani non riescono a dare risultati apprezzabili

di Daniele Proietto

Nel 1992 Arrigo Sacchi, giunto a Dakar per seguire la Coppa d'Africa delle Nazioni (CAN), disse: "Il calcio africano sarà il calcio del duemila". Dodici anni dopo a Tunisi Michel Platini, in occasione dell'ultima edizione della Coppa d'Africa, commentò: "Gli africani hanno un ritardo evidente nel calcio così come ce l'hanno con il prodotto interno lordo". Forse proprio la distanza temporale fra queste due affermazioni permette di capire il complesso panorama calcistico del continente Africano, dotato di enormi potenzialità, ma frenato da giganteschi limiti. Una riserva di talenti sportivi praticamente illimitata renderebbe ingiustificabili i modesti risultati maturati sin qui dai paesi Africani, a meno di non considerare come motivo del fallimento della previsione di Sacchi le enormi difficoltà organizzative di questi paesi.
Non si tratta di problemi legati prettamente allo sport, come ad esempio carenze tecniche, di mezzi o di impianti, ma anche di questioni che con il calcio hanno ben poco a che fare, e che rientrano più esattamente nella sfera politico-sociale. Molti presidenti sono fortemente attratti dagli introiti delle maggiori competizioni calcistiche, come pure dalla visibilità a livello internazionale che queste garantiscono. Se a questo si aggiunge la ghiotta opportunità di distrarre l'opinione pubblica da questioni interne poco chiare sfruttando la passione popolare per questo sport, diventa facile comprendere le enormi pressioni politiche a cui le squadre sono sottoposte.
La storia recente ci fornisce alcuni esempi in questo senso.
Paul Kagame, presidente del Rwanda si precipitò alle tre del mattino e con famiglia al seguito per salutare il ritorno dei giocatori della nazionale, protagonisti in Uganda della qualificazione alla CAN. Il presidente camerunese Paul Biya impose addirittura il reintegro in nazionale di alcuni giocatori "chiave" esclusi dalla squadra per scelte tecniche degli allenatori.
A questi esempi si accompagnano altre storie che non terminano con un lieto fine: il premier ivoriano Robert Guei fece imprigionare i calciatori della nazionale in una caserma militare, per punirli della loro indisciplinatezza, causa, a suo parere, di scarso rendimento.
Situazioni come queste spingono ogni anno un numero crescente di giovani giocatori a lasciare le squadre locali per raggiungere i club europei. D'altronde il divario in termini di guadagni tra le squadre europee e quelle africane non rappresenta certamente un incentivo a restare nei campionati dei paesi d'origine. Sono molti quelli, che spinti dal sogno di arrivare al successo e alla ricchezza, si gettano tra le braccia di talent scout senza scrupoli. Purtroppo, tranne che per pochissimi fortunati, l'epilogo della storia non differisce poi così tanto da quello di Isa Mohammed, giovane promessa nigeriana che a soli 16 anni si affidò ad un importante agente jugoslavo, il quale gli fece firmare un contratto con una squadra della Serie A polacca. In uno scontro di gioco, occorso nelle primissime partite, Isa si infortunò, ma la sua nuova squadra si rifiutò di pagargli le cure perché il contratto non legava la società al giocatore, ma al suo agente. Abbandonato anche da quest'ultimo, il giovane nigeriano riuscì, grazie all'aiuto economico di una ragazza appena conosciuta, a pagarsi le spese mediche per poter così scendere di nuovo in campo. Ormai però nessuna squadra poteva ingaggiarlo visto che il suo permesso di soggiorno era scaduto.
La FIFA ha cercato in questi ultimi anni di tutelare maggiormente sia i calciatori che i piccoli club, i quali vedono troppo spesso i propri giocatori andar via, dopo aver lavorato e investito su di loro. È per questo che in caso di vendita di un giocatore una piccola percentuale del costo del cartellino va alle squadre che hanno posseduto il giocatore prima che questi avesse compiuto i 25 anni; squadre che, quindi, hanno contribuito alla sua crescita. Per fare un esempio concreto: durante la recente cessione di Ronaldo dal Real Madrid al Milan, una piccolissima somma è stata versata nelle casse dell'Inter, proprietaria del cartellino del giocatore entro i limiti d'età previsti dalla norma.
Al di là di questo però, ciò che andrebbe modificato è l'atteggiamento delle società di calcio europee e il comportamento dei corrotti dirigenti africani, che non fanno altro che indebolire sia il sistema sportivo africano che la struttura sociale del paese. Secondo Massimo Seregni, uno dei responsabili del progetto Inter Campus, che si occupa della formazione e dell'educazione dei ragazzi attraverso lo sport, il vero problema di questo paese è che "…in Africa ci vanno solo le aziende interessate a sfruttare quello che trovano (legname pregiato, caffè…), senza curarsi di lasciare delle ricadute nelle regioni dove impiantano il loro business". Legname pregiato, caffè e, molto spesso, il talento e la speranza di giovani calciatori.

 

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Num 69 Maggio 2007 | politicadomani.it