Pubblicato su politicadomani Num 59/60 - Giu/Lug 2006

Karim
Me lo fai un favore?
Una storia tutta vera

di Loreda Carluccio

"Io sono venuto in Italia dall'Algeria per cercare lavoro. Sono nato a Naran, vicino ad Algeri. Vivo in Italia da sei anni e da sei mesi sono a Roma. Ho quindici anni. La mia famiglia è molto povera e siamo in sei: papà, mamma e quattro figli. Io sono il più piccolo. Ho frequentato la scuola fino alla prima media. Oggi sono in carcere per furto aggravato. È la prima volta che vengo qui a Casal del Marmo, ma sono stato anche in altri carceri: a Torino e a Bologna, sempre per furto aggravato."
"Sono alto un metro e sessanta, ho i capelli neri, gli occhi castano scuri, le labbra carnose e la carnagione scura. Sono un ragazzo tranquillo, ma se mi innervosisco divento violento e aggressivo. Sono chiuso, introverso. Sono anche lunatico, instabile, sono astuto e apprezzo le cose fatte con il cuore. Mi piace la musica Hip Hop, la Break Dance e Michael Jackson. Non ho veri amici, ma parecchi conoscenti. Non mi piace affezionarmi alle persone. Mi piacerebbe tornare a Marsiglia ed iniziare una nuova vita.
Io non penso di avere molti problemi, penso di averne uno solo, grande: mi mancano i soldi e questo non mi permette di fare tante cose, tra cui quella di viaggiare.
Ballare è il mio sport preferito. Se dovessi pensare a qualcosa di lecito, mi piacerebbe lavorare con il computer, ma io non posso lavorare se non in nero perché non ho i documenti."
"Sono rientrato al Casale perché ho fatto una rapina, però questa volta non ho spacciato.
Ormai ho sbagliato ancora e mi tocca farmi la galera! Che ci volete fare? È la droga, soprattutto la cocaina che mi rovina! Si guadagna, è vero, ma, se ti pizzicano, sono guai! In galera finirai!!!
È vero, però, che nei giorni che sono stato fuori non ho sprecato tempo! Sono andato in discoteca, nei locali notturni e quanto mi sono divertito! Ne valeva la pena! Ho incontrato brutte conoscenze che per la verità non mi hanno aiutato, anzi, si, mi aiutano, è vero, ... a rovinarmi!
Non ho nessuno fuori che mi possa dare una mano per vivere meglio. Sono purtroppo lontano da casa, sono solo e ho sbagliato di nuovo perché questa è la mia vita. Tante volte mi chiedo perché rubo, perché non cerco di cambiare ma non ci riesco. Vivo in circostanze negative, in una situazione illegale e per questo sono costretto a rubare anche se dentro di me sono combattuto se farlo o non farlo. Ve l'ho detto già. È la mia vita e io non ho le forze da solo per cambiarla!"

Questo è quello che Karim scrive di sé nei vari articoli pubblicati sul giornalino "Garçon, la voce dei ragazzi di Casal del Marmo", l'Istituto Penale Minorile di Roma.
Un mercoledì di luglio del 2004: nel parco del Casale (così chiamano i ragazzi l'istituto penale) incontro Karim.
"Ciao. Ma non hai nulla di meglio da fare che venire qui? Sei sposata?"
"Si."
"Che lavoro fa tuo marito?"
"Il poliziotto"
Mi scruta per un secondo e poi la sua considerazione: "No non è possibile che faccia il poliziotto. Non ti manderebbe qui: lui li mette dentro e poi ti da il permesso di andarli a trovare?!"
Sorridiamo.
"Hai figli?"
"Si, un ragazzo di diciassette anni."
"Ti chiede di andare in discoteca?"
"Ancora non me lo ha chiesto."
"Tu sai cosa si fa in discoteca?"
"Si, credo di si."
"Non vedo l'ora di uscire per poterci andare."
"Non ti manca anche altro? Per esempio la possibilità di una vita più tranquilla?"
"Vedi, alcune volte penso alla possibilità di cercare un lavoro (chi offre del lavoro ad un ragazzo straniero con precedenti penali?) e di farmi una famiglia. Mettiamo che tutto questo si possa anche realizzare. Sai cosa succede fra qualche anno? Bussano alla porta e mi dicono: "Signor Karim … ci segua" E tutto finisce. Ne ho fatte troppe e ho tutto davanti."
"Forse, però, quel Karim sarebbe capace di vivere quella situazione in modo diverso, perché più forte."
Comprende ma, ... mi sfida.
"Senti, se mi incontri fuori da qui mi saluti?"
"Certo."
"E se io non ti vedo, tu mi chiami?"
Dove vuole arrivare?!
"Beh, certo che ti chiamo a meno che non vada di corsa e tu non sia troppo lontano"
Quanto spazio sto cercando di frapporre!
"E se mi incontri poi mi inviti a casa tua a farmi una doccia?"
È arrivato!
Che tipo di rapporto, di disponibilità gli stavo proponendo, in che via di uscita poteva sperare vista la mia ramanzina? Che aiuto ero disposta a offrirgli? Qui con i muri alti, con le porte di ferro, con gli agenti che sorvegliano è facile parlare, consigliare, dichiararsi prossimo. Ma fuori, c'è qualcuno? Ci sei?
Un ragazzo chiede di potermi parlare e arriva l'ora di andar via.
Saluto i ragazzi con un forte "A mercoledì", quando Karim, a cavalcioni della panchina, serio e assorto mi dice: "Me lo fai un favore?"
Di solito a questa domanda segue una richiesta (pile, caramelle, francobolli, buste, radioline, ecc…).
Tento un ricatto:
"Se tu provi a riflettere su quello che ci siamo detti."
"Sul serio, me lo fai un favore?"
Colpita dalla serietà e premura con cui mi riformula la domanda, cedo:
"Dimmi."
"Non perdere mai di vista tuo figlio."

Questo, quello che io posso dire di Karim. E, da aggiungere, c'è solo la mia promessa. No, Karim, non perderò mai la ricchezza di questo tuo grido sommesso, di questo futuro carico di passato, di questa gratuità che ha illuminato il mio egoismo e il mio pregiudizio.
Grazie, Karim.

 

Homepage

 

   
Num 59/60 Giu/Lug 2006 | politicadomani.it