Pubblicato su politicadomani Num 59/60 - Giu/Lug 2006

Alla ricerca della rinascita
Dopo gli accordi di Oslo
Le lotte politiche per il potere si sovrappongono al movimento di popolo per la liberazione della Palestina. Hamas e Olp si confrontano

di Alberto Foresi

Con la ratifica a Washington della "Dichiarazione dei principi" di Oslo, Israele cede Gaza e Gerico in modo da consentire all'Olp di presentarsi ai palestinesi come referente obbligato, in vista della costituzione di uno Stato Palestinese indipendente. Forte di ciò, l'Olp cercò di estromettere Hamas dallo scenario politico, sfruttando anche le divergenze presenti al suo interno. Le divergenze erano dovute allo scontro fra la fazione massimalista, sostenuta dalle centrali estere del movimento presenti in Giordania e in Iran, e la fazione moderata, sostenuta dai ceti medi. Quest'ultima mirava alla costituzione di un partito islamistico legalizzato, in modo tale da consentire una gestione autonoma delle risorse economiche, comprese quelle derivanti dagli aiuti internazionali.
Di fronte agli accordi sottoscritti dall'Olp, Hamas mosse l'accusa di tradimento della causa palestinese e optò per una più radicale lotta armata, dotandosi di una propria struttura paramilitare - le Brigate El Kassem, dal nome dello sceicco morto nel 1935 durante la lotta contro gli occupanti Inglesi, fondate da Salah Shahadeh - artefice nel 1994 di una campagna terroristica e militare in territorio israeliano. Strategia, questa, motivata anche dalla necessità di fronteggiare la concorrenza dei gruppi palestinesi radicali facenti capo al Jihàd islamico.
Tuttavia il rafforzamento, a partire dal 1995, dell'Anp a Gaza, la sua capacità di raccogliere nuovi e, per molti versi, insperati consensi fra i ceti medi e fra la parte più povera della popolazione, nonché i limiti stessi presenti nell'opera delle organizzazioni armate, capaci di compiere azioni anche eclatanti ma incapaci di perseguire un progetto politico, causarono un rapido indebolimento dei movimenti islamisti. Il delicato equilibrio a favore dell'Anp si ruppe nel 1996, con la vittoria del leader del Likud Benjamin Netanyahu, fautore di una politica mirante a rallentare i negoziati di pace e a creare continue difficoltà alla leadership dell'Olp. Questa politica ottenne come immediata reazione il rilancio della parte più radicale dei movimenti palestinesi, fra i quali Hamas. Il movimento attuò allora una nuova campagna terroristica, a sua volta motivo di ulteriori pesanti rappresaglie da parte israeliana. Alla nuova ascesa di Hamas contribuì anche il premier Sharon, soprattutto per la sistematica opera di delegittimazione del leader dell'Olp Arafat.
Ora, dopo la morte di Arafat, la morte politica di Sharon e la vittoria elettorale, Hamas si trova di fronte ad un bivio. La scelta è fra il perseguire una politica oltranzista contro Israele, politica che riscuote favore in cospicui settori della popolazione palestinese, o virare verso posizioni più moderate. Una politica più moderata potrebbe, forse, essere inizialmente osteggiata soprattutto dalle giovani generazioni, nate e vissute in regime di occupazione, che costituiscono la base del consenso di Hamas, ma sarebbe comunque la premessa di nuovi possibili accordi su un itinerario negoziale che appare ancora lungo e irto di difficoltà. In questa situazione, per favorire Hamas a compiere una scelta ardua seppure, a rigor di logica, inevitabile, è la comunità internazionale che dovrà giocare un ruolo essenziale. Prime fra tutte le nazioni europee, favorendo una svolta negoziale che non può prescindere dal preventivo riconoscimento dello stato di Israele, anche in cambio di aiuti materiali, la cui consistenza e qualità sono tutti da discutere. Si tratta infatti di una strategia che non deve ledere i diritti fondamentali della popolazione civile e andrebbe modulata in modo che gli aiuti pongano le premesse per uno sviluppo autonomo e indipendente della Palestina. Non solo beni essenziali, quindi, ma competenze professionali specializzate e aiuti concreti nella ricostruzione del tessuto sociale e produttivo del paese rinunciando al controllo delle attività imprenditoriali e produttive.

 

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