Pubblicato su politicadomani Num 59/60 - Giu/Lug 2006

Cinema
Il Codice Da Vinci: una delusione prevista
Tra manuali sul Codice Da Vinci e i contro-Codice Da Vinci che vendono più del Codice Da Vinci ecco la recensione e il parere del nostro esperto di cinema avvelenato da pregiudizi

di Fausto Marrone

Dimentico per una sera del contegno e del distacco che mi impone il mio ruolo di critico cinematografico ho abbandonato l'obbiettività e l'imparzialità con cui di solito affronto una prima visione e sono entrato nel cinema dove proiettavano il film più chiacchierato dell'anno, "Il Codice Da Vinci", pieno di riserve, praticamente certo di vedere un brutto film.
Elenco di seguito i pregiudizi che hanno avvelenato la mia purezza intellettuale, e che mi hanno portato ad entrare, in un cinema affollato come non mai, col tipico ghigno sadico e compiaciuto di chi "già sa":

- È il film più chiacchierato dell'anno. E il 95% delle chiacchiere non sono sul film ma su quello che c'è intorno. Sono chiacchiere da bar. Questo già mi dice molto. Il classico "evento" creato a tavolino. Quando non è il film (inteso come l'opera cinematografica in sè) a far discutere di solito mi allarmo.

- Arriva nelle sale avvolto da un alone di "maledettismo" per via delle violente polemiche che ha scatenato. Basta che un film sfiori l'argomento della religione per farne un caso? Dopo la bufala mediatica sulla Passione di Mel Gibson (un monumento al trash e al cattivo gusto, semplicemente uno dei film più brutti della storia del cinema) storco il naso appena sento parlare di film scandalo. Nell'epoca della spettacolarizzazione a tutti i costi purtroppo neanche la religione si è salvata, e ormai c'è puzza di operazione commerciale dietro una polemica del genere, troppo urlata e grossolana per sembrare credibile.

- Essendo un blockbuster multimiliardario, un colosso pianificato fotogramma per fotogramma per sbancare i botteghini arriva nelle sale preceduto da una violentissima campagna pubblicitaria, insistente e martellante come solo quella del film di Verdone (talmente opprimente da non lasciare quasi scelta agli spettatori ignari). Altro grosso fattore negativo, per quanto mi riguarda.

- Il film è tratto da un libro best-seller da 30 milioni di copie. Un enorme successo già prima di essere scritto. Uno stuolo di critici, esperti, studiosi si prodigano a smentire, dimostrare, congetturare, spiegare tutto e il contrario di tutto riguardo alle teorie di Dan Brown. I manuali sul "Codice Da Vinci" e i contro-Codice Da Vinci (scritti per dimostrare che Dan Brown ha torto) vendono più del Codice Da Vinci. E giù imitazioni, versioni apocrife, sequel, prequel, dietro le quinte e puntate di "Porta a Porta" sul "Codice Da Vinci". Probabilmente potrà essere un buon giallo, godibile e ben scritto, ruffiano e oliato al punto giusto, ma il mio pregiudizio è: lo leggerò solo se mi avanza tempo, sul letto di morte, dopo aver consumato tutta la letteratura russa, i classici greci del pensiero filosofico e tutti i libri che sono stati scritti nella storia dell'umanità (Faletti compreso…).

- L'attesissimo film tratto dal celeberrimo romanzo di successo è affidato ad un pluripremiato regista di blockbuster hollywoodiani, Ron Howard, autore di rassicuranti kolossal per famiglie. Non stimo affatto Ron Howard (il mitico Ralph Malph di "Happy Days") un grande regista, tutt'altro. È il classico mestierante messo lì a dirigere il traffico, abile a far fruttare i budget faraonici che le produzioni gli affidano, questo è il suo più grande pregio. Non ho mai visto in un suo film un'idea degna di questo nome. Il suo miglior film finora è stato "A beautiful mind", che considero poco più che mediocre. Leccato, patinato e rassicurante. Però Russel Crowe è bravissimo. Magari è un buon direttore d'attori. E qui c'è Tom Hanks. Siamo al sicuro. Macchè.

- Tom Hanks. Ahi, ahi… Qui so di essere impopolare. Ma la sua presenza mi faceva tremare. Sin dai trailer, che lo mostravano bolso e disorientato ho temuto. Tom Hanks è indubbiamente un bravo attore. "Philadelphia" è lì a dimostrarlo. "Cast Away" anche. Ma non è propriamente un artista coraggioso, uno che si lancia in sfide con sé stesso, che rischia ruoli difficili per andare oltre i suoi limiti di attore, a costo di essere impopolare. È un furbacchione che sceglie sempre il film giusto. Una macchina trita-botteghino. Un'implacabile garanzia di successo. È l'attore più pagato nel film più pagato. E negli anni tende a somigliare a sé stesso, sempre di più. Cioè a un ricco signore di mezza età che conosce a meraviglia il proprio mestiere, e sa di poter campare di rendita fino alla morte facendo Tom Hanks. Proprio lui, il collezionista-di-Oscar.ù

- Il produttore giusto chiama il regista giusto, insieme scelgono le star giuste (Tom Hanks e Jean Reno, un altro fenomenale clone di sé stesso) e tutti insieme fanno il film giusto tratto dal romanzo giusto, sull'argomento giusto. Questo mi ha fatto entrare nel cinema con la puzza sotto al naso. Ma perché Audrey Tatou? Perché incastrare quella dolce fanciulla che mi ha fatto sognare in "Il favoloso mondo di Amelie", truccarla da donna adulta, doppiarla con un osceno accento francese e sbatacchiarla qua e là appresso alla star di turno? Perché infierire sul ricordo che ha lasciato in me, e mostrare impietosamente a tutto il mondo che anche ad Amelie fa gola un bel conto in banca? Sottolineo che tutto questo l'ho pensato ben prima di andare al cinema, visto che nelle anteprime e negli speciali mi hanno fatto vedere mezz'ora di film, tanto che l'impressione che la Tatou recitasse come una cagna era già una certezza…

Con tutti questi pensieri mi sono seduto nella sala cinematografica affollata come non mai. Tutto esaurito. Incredibile. Veramente c'è così tanta gente che va al cinema una volta all'anno, quando proprio non ne può fare a meno, perché gliel'ha detto la TV?
I vestiti dei miei vicini puzzavano di naftalina, li avevano rispolverati per l'occasione.
I popcorn puzzavano di popcorn, la carta delle patatine faceva il solito rumore scricchiolante. I telefonini squillavano regolarmente, come una sinfonia. Le suonerie ben alte, in qualità mp3. Le luci si spegnevano, i commenti ad alta voce fioccavano.
Bene, non manca proprio niente, ho pensato. Con questo stato d'animo ben disposto ho iniziato a vedere "Il Codice Da Vinci". Vi interessa ancora la mia imparziale recensione, il mio autorevole e distaccato parere da esperto di cinema?

 

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