Pubblicato su politicadomani Num 59/60 - Giu/Lug 2006

Movimentismo giovanile nell'Est
Gli attivisti della democrazia
Fra movimenti, ong e partiti politici, i giovani si organizzano per dare la scalata al potere. Scopo: la modernizzazione e la democratizzazione. Ma è dura

di Giulio Maria Piantadosi

Da Kiev a Tirana le "rivoluzioni colorate" hanno portato alla luce un nuovo protagonista: gli attivisti della democrazia. Ragazzi colti e determinati, studenti capaci di ottenere visibilità sui media in patria come all'estero. Hanno in comune pratiche di lotta, linguaggi e modelli di riferimento: il loro scopo è affermare la democrazia e i diritti civili nello spazio post-sovietico.
Sergiy Yevtushenko ha vinto la sua prima battaglia quando, alla guida di Pora, ha dato un contributo determinante per far crollare il regime filo-russo di Ianukovic. "Grazie alle nostre lotte anche nei paesi ex-sovietici si è affermato il diritto che il popolo può scegliere liberamente a chi affidare il governo. Per questo ci siamo candidati alle elezioni, volevamo dare uno sbocco politico al movimento ma nessuno dei nostri è stato eletto. Torneremo a influenzare la politica dall'esterno anche se rimarremo un partito".
L'utopia dei partiti studenteschi continua a rimanere tale. Stessa sorte era toccata al precursore di tutti i movimenti colorati, Otpor, nato nell'ottobre 1998 contro il regime di Milosevic. Gli studenti di Belgrado furono in grado di attirare l'attenzione dei media occidentali e di conquistare una popolarità planetaria, al limite del fenomeno di costume, che nel 2000 valse ad Otpor il premio "Free your mind" assegnato dell'emittente MTV.
Al duro movimentismo dei primi tempi è seguito un periodo di stabilizzazione, in cui il movimento ha cercato di capitalizzare il successo diventando una ong. Il salto successivo, la trasformazione in partito politico, non ha ottenuto il consenso sperato e Otpor, che si era presentato alle elezioni fuori dalla Coalizione democratica serba, è rimasto al palo.
La trasformazione dei movimenti in strutture organizzate risponde in gran parte alla necessità di intercettare i finanziamenti provenienti dall'estero. La Freedom House, l'Open Society del finanziere Soros e Usaid hanno apertamente sostenuto queste organizzazioni.
A Tirana la sede di Mjaft! dista solo cento metri dall'Ambasciata degli Stati Uniti. Erion Veliaj, ventenne con l'aria del giovane manager, ci spiega che Mjaft! è nato come un movimento contro il dilagare della corruzione. Nel giugno scorso è stato organizzato in Albania il primo Festival Internazionale dell'Attivismo, dove i movimenti provenienti dai paesi dall'ex-Patto di Varsavia hanno sottoscritto il "Patto di Kruja" (dal luogo dove l'eroe cristiano e albanese Scanderbeg sconfisse i turchi), un'alleanza che si rifà esplicitamente al trattato Nato e che impegna i gruppi ad aiutarsi in caso di bisogno. Un attacco contro uno di essi sarà considerato un attacco contro tutti gli altri. "Non è soltanto un accordo di reciproca assistenza, è uno strumento di solidarietà per aiutare le lotte in quei paesi dove i giovani attivisti sono costretti a combattere contro la repressione, dalla Bielorussia al Libano".
Rispetto ai movimenti occidentali i ragazzi dell'est esprimono qualcosa di diverso. Molti indossano magliette con Che Guevara e Ghandi, ascoltano rap, ma a parte questo non hanno altro in comune con i loro coetanei che studiano a Parigi, Roma o Londra.
Abbiamo chiesto ad Erion cosa ne pensa: "Ci sono molte differenze, anche di carattere filosofico, e non vedo grosse prospettive di incontro. Qui noi non abbiamo la possibilità di ribellarci contro Nike o Gap o McDonald. Ci manca quasi tutto, a partire dal lavoro. Stiamo lottando per cose molto più basilari: la corruzione, le attività criminali dei politici, l'educazione, il rispetto dei diritti civili".
Nonostante le prove elettorali negative, sarebbe riduttivo pensare ad una rapida uscita di scena di questi movimenti. Rappresentano una risorsa importante soprattutto dall'altra sponda dell'oceano, dove sono visti come una classe dirigente promettente, più sicura e affidabile di quella attuale.
Se molti stanno già pensando a cosa fare da grandi, in Uzbekistan, Azerbaijan o Bielorussia, dove l'esistenza di questi gruppi è spesso illegale, la battaglia è ancora in corso.
Le elezioni-farsa organizzate da Lukashenko in Bielorussia e lo sbandamento di Viktor Iushenko in Ucraina ha travolto anche loro. I militanti della democrazia stanno ora valutando come uscire dall'impasse.
Aliaxandr ci racconta che la situazione a Minsk è difficile: il potere sta mostrando il suo lato più autoritario con arresti a raffica che hanno coinvolto anche l'avversario di Lukashenko alle scorse elezioni, Milinkievic. Zubr, il movimento di cui fa parte e che si richiama al bisonte, animale simbolo della Bielorussia, è presente in tutto il paese. "Continuiamo a combattere, non ci sentiamo sconfitti. La gente ancora non crede che possa esistere un'alternativa al regime, ma il cambiamento arriverà presto". Gli autocrati di Minsk, Baku o Tashkent fanno bene a sentirsi ancora in pericolo.

 

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