Pubblicato su Politica Domani Num 52 - Novembre 2005

Chi era Giorgio Ambrosoli
Da un articolo di Gherardo Colombo*, "Il caso Ambrosoli", il profilo del giurista ucciso dalla mafia dell'alta finanza

 

Il 12 luglio 1979, sotto casa, di notte, viene ucciso Giorgio Ambrosoli. Chi lo uccide non è un terrorista, è un killer prezzolato che lo uccide per il suo lavoro.
Ambrosoli, avvocato civilista, esperto in liquidazioni coatte amministrative, aveva lavorato con grande competenza nella liquidazione della SFI, ed era perciò stato nominato in seguito commissario liquidatore della Banca Privata, controllata da Michele Sindona, della quale nel 1974 era stata dichiarata l'insolvenza, e cioè il fallimento. Sindona, fino ad allora, era il più potente banchiere privato italiano e il massimo esponente della così detta "finanza cattolica".
Ambrosoli, giovane professionista (era nato a Milano il 17 ottobre 1933), di convinzione monarchica e liberale, impegnato a fare cultura più che politica, aveva il compito di ricostruire i motivi del fallimento e di recuperare il denaro distratto da Sindona. Nella lettera testamento del 25 febbraio 1975 indirizzata alla moglie Annalori, che la troverà dopo la morte del marito fra le sue carte, Ambrosoli scrive di essersi trovato così, di colpo, a "fare politica per conto dello Stato e non di un partito"; ad impedire che ricadessero sui cittadini le passività delle banche di Sindona.
Quando il suo lavoro cominciò a dare frutti, e venne acquisita alla liquidazione la holding estera che controllava l'impero societario di Sindona, iniziarono le intimidazioni, che divennero continue; le voci anonime che telefonicamente minacciavano Ambrosoli parlavano di dettagli conosciuti soltanto da chi aveva con lui stretti rapporti proprio riguardo alla liquidazione della banca.
Procedevano intanto anche le manovre politiche a protezione di Sindona; per indurre la giustizia americana a non estradare il banchiere. Personaggi di rilievo, tra cui il Procuratore Generale della Corte d'Appello di Roma, sottoscrissero "affidavit" a sostegno dell'imputato, affermando che era vittima di una persecuzione politica pilotata dalla sinistra.
Ambrosoli però non si piegò. Sulla paura prevalse il rispetto della propria libertà, libertà di essere coerente con se stesso, di non farsi condizionare da altri, di assolvere nell'interesse di tutti il proprio mandato.
Poiché Sindona era fallito anche in America, i magistrati di New York si trasferirono in Italia per saperne di più sui suoi metodi, sulle sue malefatte italiane. Assunsero, per giorni la lunga testimonianza di Ambrosoli, che metteva a nudo le responsabilità di Sindona.
Ambrosoli venne ucciso la notte precedente alla sottoscrizione formale delle sue dichiarazioni.
Giorgio Ambrosoli era sposato ed aveva tre figli: Francesca, Filippo e Umberto, amava teneramente la sua famiglia, alla quale fu sottratto da chi voleva conservare il proprio potere e le proprie illecite ricchezze. [...]

* Magistrato

 

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