Pubblicato su Politica Domani Num 31 - Dicembre 2003

Diritti umani in Sudan. Il "j'accuse" di Human Right Watch
Non è solo guerra, è anche petrolio
Dal Sudan meridionale, devastato dalla guerra che provoca morti e profughi a milioni,
un dossier per capire le responsabilità di Governo e compagnie petrolifere

di Maria Mezzina

"Sudan, petrolio e diritti umani" è il titolo del voluminoso dossier (750 pagine) pubblicato da Human Right Watch e presentato recentemente.
Il Sudan è una terra prevalentemente desertica a nord. Oltre la metà dei suoi 30 milioni di abitanti vive sul 15% di terre fertili a sud del paese, attorno alla zona dell'alto Nilo e dei suoi affluenti. È qui che, a partire dagli anni '70 con la Chevron (US) prima e la Arakis Energy (Canada) poi, sono iniziate le esplorazioni alla ricerca del petrolio. La scoperta dei giacimenti di greggio risale al 1978. Non era il "mare" di petrolio su cui poggiano l'Arabia Saudita e l'Iraq, ma era abbastanza da fare del Sudan un membro potenziale dell'OPEC, specie dopo che la compagnia canadese Talisman Energy, acquistati i diritti dell'Arakis, entrò nel paese con l'esperienza della sua tecnologia avanzata.
Il Sudan però è tutt'altro che un paese tranquillo. Ci sono in Sudan 19 gruppi etnici principali e oltre 600 sottogruppi che parlano centinaia di idiomi. La classe dominante è costituita da una elìte di musulmani arabizzati che governano le popolazioni del sud del paese, africane, non musulmane e da sempre in lotta con il governo centrale per una più piena autonomia. La situazione politica del Sudan si intreccia con questa realtà composita e difficile che ha portato il paese ad uno stato di guerra permanente. Si calcola che in 20 anni, dal 1983, fra guerre ed esodi forzati, carestie ed epidemie, ci siano stati in Sudan oltre due milioni di morti e quattro milioni di profughi.
La scoperta dei giacimenti di greggio ha determinato per il paese una svolta cruciale. Nella guerra ventennale fra il governo di Khartoum e i ribelli del sud, organizzati nell'esercito di liberazione popolare (SPLA), si sono inserite le compagnie per lo sfruttamento petrolifero dei giacimenti a sud del paese. Quasi tutta la parte meridionale del Sudan è stata data in concessione dal Governo alle multinazionali del petrolio. Ma queste concessioni, anziché contribuire allo sviluppo e a sollevare le popolazioni dalla miseria e dall'abbandono, sono diventate motivo di ulteriori distruzioni, devastazioni e massacri e sono all'origine di un esodo forzato di proporzioni bibliche.
Il Governo, inoltre, ha utilizzato le infrastrutture costruite per il trasporto del greggio (strade, ponti, stazioni ed aeroporti) per far muovere lungo di esse le proprie truppe regolari (esercito) e anche irregolari (militanti islamici) per combattere le forze dello SPLA e le popolazioni meridionali. La guerra serve però anche a fare terra bruciata attorno, allo scopo di liberare le aree ricche di giacimenti petroliferi, costringendo la gente ad andarsene, senza alcun risarcimento né una nuova sistemazione. Le popolazioni costrette ad abbandonare le loro terre, nella maggior parte Nueri e Dinka dediti all'agricoltura e alla pastorizia, accusate dal Governo centrale di connivenza con il ribelli dello SPLA, e per questo attaccate, hanno persino subito bombardamenti aerei effettuati con i velivoli da guerra acquistati con i proventi del petrolio. Le cifre (per difetto) dell'esodo riportate nel dossier sono di oltre 280.000 profughi negli anni dal '98-'99 al marzo 2002 e di decine di migliaia di vittime della guerra, degli abusi da parte dell'esercito e dei ribelli, e delle sofferenze, delle malattie e della fame che li accompagnano nelle lunghe ed estenuanti marce via dalla loro terra.
Le compagnie petrolifere interessate alla regione, sono inoltre accusate di impiegare personale fatto venire dai propri paesi di origine o dal nord del Sudan, piuttosto che personale locale. Le compagnie si difendono dichiarando di non sapere nulla delle violenze perpetrate sulle popolazioni e di assumere personale esterno perché "i locali sono incapaci di apprezzare i vantaggi derivanti dallo sfruttamento del greggio" .
Dopo l'11 settembre 2001, il governo del Sudan, che aveva ospitato Osama Bin Laden sul suo territorio dal 1990 al 1996, si affretta ad offrire agli USA la propria disponibilità a firmare accordi di pace con lo SPLA. Gli accordi di pace sancirebbero la fine dei conflitti e, forse, il ritorno dei profughi, a meno che altri gruppi interessati a porre le mani sul greggio non decidano, per i propri interessi, di mantenere instabile la situazione. Allora la guerra del petrolio continuerebbe con il suo prezzo di morti e di profughi.

i Affermazione fatta da USAP (United Sudanese African Parties) e riportata sul Sudan Democratic Gazette, anno X n.115, Londra, Dicembre 1999, p.9.

 

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